BOTTAIOLI, Giovanni “Butta”

(Cremona, 1900 – 1959), bracciante, muratore

 

Nato in una famiglia di braccianti, anch’esso fin da giovanissimo sperimentò la dura vita dei campi, dove ebbe i suoi primi contatti con le leghe contadine e il sindacato; autodidatta, studiò ed approfondì la propria preparazione teorica nelle ore libere, al termine di pesanti giornate di lavoro. A 19 anni aderì alla FIGS; il biennio successivo, caratterizzato da un ciclo intenso di lotte proletarie, a Cremona vide il giovane Butta tra i protagonisti. Nel gennaio 1921 Butta con altri giovani socialisti cremonesi aderì al PCDI; di qui in poi Butta e gli altri compagni furono impegnati in prove durissime, con la lotta armata e l’autodifesa proletaria contro le scorribande degli squadristi neri di Farinacci. Nel 1923 la sua permanenza nel Cremonese è ormai impossibile e Butta, dopo un tortuoso itinerario che toccava Sardegna e Calabria, raggiunse Marsiglia. La fatica non lo abbandonò, l’ex bracciante divenne muratore.

Schierato con la Sinistra, contro il Centro di Gramsci e Togliatti, difese le proprie posizioni nelle riunioni di sezione in Francia  contro la degenerazione dell’internazionale e la fallimentare politica dei “fronti unici”. Nella riunione della cellula di Butta, nel 1926, a difendere la linea imposta da Stalin vi era Maurice Thorez (futuro segretario generale del PCF); Butta durante il suo intervento venne interrotto da Thorez: “Rappelle-toi, Jean, que je suis mineur!” Al che Butta gli ribatté tranquillo: “Rappelle-toi, Maurice, que je suis maçon”.

Passa poco tempo e cominciarono le massicce espulsioni dal Partito dei militanti della Sinistra; Butta fu tra questi, e con altri espulsi fu presente, nel 1928, a Pantin, vicino a Parigi, alla riunione che diede vita alla Frazione di Sinistra. Negli anni successivi fino alla seconda guerra mondiale il lavoro militante di Butta nella Frazione assunse i tratti caratteristici che egli porterà, una volta rientrato in Italia, nel PCInt: il Partito, così come la Frazione, benché piccoli non possono e non devono essere staccati dal processo delle lotte proletarie, tutti i militanti rivoluzionari devono intervenire nel sindacato, l’avanguardia dev’essere nella classe. Decenni di militanza caratterizzata dal lavoro e dalla lotta fecero sì che Butta comprendesse assai meglio di certi sedicenti teorici intellettuali la condizione degli operai, i loro problemi, le loro aspettative ed aspirazioni.

Rientrato in Italia Butta aderì al PCInt. I primi anni del dopoguerra lo videro affrontare interminabili viaggi sulle tradotte ferroviarie, lunghi percorsi a piedi sotto il sole o nella notte per raggiungere le sezioni più lontane; gli operai di Portoferraio gremirono più volte la piazza Cavour per ascoltare le parole di Butta, quell’oratore dall’accento cremonese che denunciò la politica dei partiti di unità nazionale incitando i proletari elbani ad aderire al PCInt, unica organizzazione che li appoggiava fino in fondo nella lotta contro la fame e lo smantellamento degli altiforni; i braccianti del cremonese riconobbero in quel compagno che girava le campagne per propaganda colui che col fratello e con altri aveva resistito fino all’ultimo alle violenze fasciste, e lo difesero dalle calunnie e dalle accuse di tradimento e di provocatore lanciate dai bonzi locali del partito staliniano.

La sezione internazionalista di Cremona fu l’unica, con quella di Catanzaro, a stampare un proprio giornale ciclostilato, «L’Eco dei Comunisti». Nel 1951 in una lettera indirizzata al C.E., da cui si dimise, rivendicò la “partecipazione dei nostri compagni dell’OM Alle elezioni della Commissione Interna” che era stata fonte di dissidi nel Partito. “Sono io responsabile di detta partecipazione e nessun altro, e la rivendico in nome di Firenze” [il congresso del 1948, ndr].

Dopo la scissione del 1952 aderì al troncone del PCINT – Battaglia Comunista. Il rifiuto del settarismo lo portò a favorire la collaborazione con compagni che formalmente non aderivano al Partito. Tra questi il più noto è Danilo Montaldi, che considerava Butta il suo maestro; Montaldi nel 1957 fondò a Cremona il Gruppo di Unità Proletaria, su posizioni simili a quelle del gruppo francese di Socialisme ou Barbarie, e condusse approfondite inchieste sulla condizione operaia.

Butta rifiutò sempre il settarismo, tanto da arrabbiarsi a volte anche coi suoi; secondo una testimonianza sul GUP di Gianfranco Fiameni “la prima scarpa picchiata sul tavolo non è stata quella di Krusciov bensì quella di Bottaioli, che una volta si è cavato una scarpa e la voleva picchiare in testa ai suoi compagni di partito perché non volevano i bordighisti”.

Arrigo Cervetto definì Bottaioli “il miglior quadro rivoluzionario che avesse incontrato negli anni di Azione Comunista. In conversazioni private ne metteva in risalto il carattere determinato, ma anche l’estrema modestia e la giovialità cameratesca che metteva nei rapporti coi compagni”.

Butta morì improvvisamente nel 1959, mentre con Romano Alquati (poi operaista negli anni Sessanta) trasportava una levigatrice sulle scale.

 

FONTI: Un fiore per Butta, « Pagine Marxiste », dicembre 2009; G. Amico, Azione Comunista da Seniga a Cervetto (1954-1966), Massari 2020

 

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