In 4 delle 18 province irachene non si può garantire un voto sicuro
Il tenente generale METZ: in almeno 4 delle 18 province irachene (dove vive quasi 1/3 della popolazione) “non esistono le condizioni” per un voto sicuro alle prossime elezioni; ma la guerriglia sarebbe in difficoltà dopo la perdita di Falluja e gli attentati contro gli USA si sono ridotti a 70 al giorno.
Il Pentagono manda a Bagdad l’ex-generale GARY E. LUCK per rivedere strategie delle forze USA (stabili a 150 mila uomini) e addestramento di quelle irachene.
Foglio: preoccupazione in FRANCIA per la scomparsa di FLORENCE AUBENAS, inviata di Libération. CHIRAC ha invitato i giornalisti a non andare in IRAQ.NASSIRIYA – La parola proibita «insurrezione» fa il suo ingresso nel vocabolario della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti in Iraq. Il tenente generale Thomas Metz, comandante del Corpo d’armata multinazionale, a tre settimane dal voto del 30 gennaio che viene considerato in Occidente la medicina magica capace di dissolvere la minaccia del terrorismo, ammette per la prima volta che l’insurrezione esiste e che potrebbe anche riuscire a sabotare in parte le elezioni.
In una conferenza stampa a Bagdad, nella base di Camp Victory vicino all’aeroporto, il generale americano ha fatto un’ammissione significativa. In almeno quattro delle 18 province dell’Iraq, ha detto, «non esistono le condizioni» per garantire una sicurezza sufficiente al regolare svolgimento di quelle che erano state presentate al mondo come le prime votazioni libere dopo la caduta di Saddam.
Metz ha calibrato le parole: «Al momento non ci sono le condizioni per garantire la completa sicurezza… Non possiamo certo scortare uno per uno gli elettori da casa fino al seggio». Ma ha anche manifestato la certezza che l’insurrezione sia comunque «destinata al fallimento». Lo dimostrerebbe, ha insistito, anche la minore frequenza attuale degli attacchi contro le forze americane, che è diminuita rispetto ai livelli di novembre e si aggira sui 70 attentati giornalieri. D’altra parte, ha avvertito, è da mettere in bilancio un nuovo picco di attività terroristica rivolta contro le forze della coalizione almeno fino alla scadenza elettorale.
«La mia previsione – ha aggiunto Metz – è che il numero degli attacchi salga a una media di circa 80 al giorno. Ma sul fatto che l’insurrezione è indebolita non ci sono dubbi, perché le forze anti-irachene hanno perso il controllo di Falluja». L’attività che il comandante americano ha definito anti-insurrezione si concentrerà di conseguenza nel futuro su quattro direttrici: la provincia di Anbar, cuore dell’opposizione sunnita, che comprende Falluja e Ramadi; i due distretti di Ninive e di Salahdin, che fanno capo rispettivamente a Mosul, la seconda città dell’Iraq con una popolazione di circa 3 milioni di abitanti, e a Tikrit, la città natale di Saddam; e infine una parte imprecisata dell’agglomerato urbano di Bagdad.
Se si fanno i conti non occorre molto per capire che, nelle quattro regioni descritte come «non sufficientemente sicure», si concentra quasi un terzo della popolazione dell’Iraq. A Bagdad, è vero, dove vivono oltre 5 milioni di persone, nessuno pensa che il voto venga disertato in massa nonostante l’ovvio potenziale intimidatorio degli attacchi terroristici. Non si può però negare che alcune parti della capitale, come i quartieri che si estendono ai due lati della centralissima Haifa Street, siano diventate per le forze di sicurezza irachene – e spesso anche per le pattuglie americane – poco meno che «no go areas».
Che il controllo del territorio da parte del governo ad interim di Allawi e della stessa coalizione sia, per usare un eufemismo, «a maglie larghe», è d’altronde dimostrato dalla cronaca. Durante le ultime 36 ore, in uno dei più micidiali attacchi da oltre un mese, 7 militari americani sono morti nei dintorni di Bagdad dentro un cingolato da battaglia Bradley sventrato da un’autobomba. La stessa sorte hanno subito poco dopo in un altro attentato due marines. Sale così a 1.350 il numero dei militari americani uccisi e a oltre 10.000 quello dei feriti. Ma non è tanto l’anagrafe di queste perdite, né dei sequestri, a dare il quadro esatto. Il timore diffuso in molti ambienti è che in Iraq si vada diffondendo un clima di violenza dove le elezioni, qualunque sia il loro risultato e il livello di partecipazione, rischiano di diventare irrilevanti.
Solo il presidente Bush a Washington rimane fermo nell’incrollabile fiducia nel voto popolare dell’Iraq. I terroristi, insiste, «hanno paura della libertà» ma saranno le elezioni del 30 gennaio a isolarli. Sul terreno, intanto, mentre i generali americani ripetono che la strategia attuale resta valida è il Pentagono a sollecitare la più spregiudicata revisione. Sta per arrivare a Bagdad, infatti, con un mandato «straordinario» conferitogli dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, il generale a riposo Gary E. Luck, richiamato in servizio con il compito di rivedere a fondo strategie, livello delle truppe (destinate a rimanere a quota 150mila con i riservisti), addestramento delle forze irachene e sicurezza.
Foglio Sab 8/1/2005
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Parigi è “preoccupata” per la reporter scomparsa in Iraq assieme al suo interprete, di cui non si hanno notizie da più di 48 ore. Sulla sorte di Florence Aubenas, inviata di Libération, ieri il ministro degli Esteri francese, Barnier, ha fatto sapere che “non si sa se è stata rapita. Si fanno diverse ipotesi, ma non se ne privilegia alcuna”. Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente francese, Chirac: “Le autorità francesi sconsigliano formalmente l’invio di giornalisti in Iraq”. Il direttore di Libération, Serge July: “Chi sta in Iraq lo fa per sua libera scelta”.
Sette marine uccisi a Baghdad per l’esplosione di una bomba piazzata sul ciglio di una strada. Altri due marine hanno perso la vita nell’Iraq occidentale. Il presidente degli Stati Uniti, Bush, ha detto di essere ottimista sullo svolgimento delle elezioni in programma il prossimo 30 gennaio in Iraq, “un momento storico per gli iracheni”.
Il segretario alla Difesa statunitense, Rumsfeld, ha inviato in Iraq un ex generale dell’Esercito, Gary Luck, per riesaminare l’operazione militare e verificare l’addestramento delle forze locali. Luck era a fianco del generale Franks nel 2003 quando, dal Qatar, era stata messa a punto la missione americana in Iraq.
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