Vilnius: tra gli oligarchi della Nato, patti di morte e liti per il bottino

Pubblichiamo un articolo del Puntogolorosso sul vertice della NATO svoltosi nei giorni scorsi a Vilnius

Si sa come andrà a finire, comunque vada a finire: si divideranno il bottino – almeno sulla carta – negoziando le quote di partecipazione all’affare della guerra e dell’eventuale “pace”, sulla pelle dei proletari, e anzitutto, dei proletari dell’Ucraina.

Nella capitale della Lituania si apre oggi una “due giorni” della Nato – e già questa è la prima menzogna perché sarà un summit dei capi di stato in guerra contro la Federazione Russa, e non solo dei capi militari. La cosa può sembrare marginale, ma basta a ricordare che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi e, precisamente, con mezzi da combattimento militare – assunto che, per noi marxisti, la politica è, a sua volta, con tutte le mediazioni del caso, “economia concentrata” (e chi parla di questa guerra scansandone il contenuto economico è un baro, o almeno, se non ha potere, un buffone). Certamente Stoltenberg non mancherà, non mancherà Crosetto e, a lato ma sempre direttamente interessati, i loro omologhi di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud, dato che ognuno di questi stati ha qualche pretesa da avanzare rispetto alla Cina (a cui sognano di infliggere un altro secolo di umiliazioni) e, in genere, nella zona del Pacifico.

Biden ha già detto la sua rispetto all’immaturità dell’Ucraina per l’ammissione nella Nato: “Prima finisca la guerra”. Il motivo, almeno quello ufficiale, riguarda il vincolo del Patto Atlantico che prevede l’intervento di tutti gli alleati in difesa anche di uno solo dei suoi componenti. Dunque se l’Ucraina entra nella Nato, tutti i paesi del Patto che appoggiano lo sforzo bellico di Kiev diventeranno ufficialmente belligeranti – e qui una seconda colossale menzogna, perché tutti i paesi della Nato sono già dentro questa guerra a tutti gli effetti con armi e uomini! Ma nessuno dei più forti azionisti del Patto ha avuto niente da dire: è più comoda la situazione attuale di guerra (formalmente) per procura i cui massimi costi sono accollati all’Ucraina, cioè – la specificazione è essenziale – alle lavoratrici e ai lavoratori ucraini, mentre Stati Uniti, Germania, Italia, Francia, Regno Unito, etc., pur essendo anch’essi in guerra, si limitano a poche perdite umane, con rischi di rappresaglie ridotte all’aspetto economico, e forniture di aiuti militari già garantite dalle furiose trattative e ricatti “al coperto” sui pezzi di economia, carne umana e terra ucraina presi in pegno.

Hanno qualcosa da ridire, ovviamente, Zelensky e la sua banda banderista: “Assurdo che non ci sia un calendario per l’adesione alla Nato”! Possibile che a pagare il terribile conto debba essere solo l’Ucraina? – con il rischio crescente di dover pagare lui di persona con la propria vita, ove le classi sfruttate all’oggi narcotizzate dal nazionalismo si accorgessero di quale terribile inganno sono cadute prigioniere credendo che davvero la Nato si faccia garante della “libertà” e della “auto-determinazione” dell’Ucraina. Biden, Macron e soci, però, hanno subito dei buoni argomenti per calmare Zelensky e i suoi: tranquilli, vi diamo le bombe a grappolo, per rafforzare il vostro potenziale terroristico; vi diamo i missili a lungo raggio per colpire più in profondità la Russia; noi “siamo e saremo sempre al vostro fianco” (Meloni). Dopotutto, il principio politico guida della Nato è “guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino”, e a dettare tempi e modi del suicidio ucraino sono i capi-bastone, non certo i “governanti” di Kiev.

Ma poiché nelle contese tra imperialisti, specie se belliche, il cinismo è illimitato, ecco che interviene, accigliata, la signora morale. Gli alleati di Biden sono contrari alla fornitura di bombe a grappolo, o meglio, contrariati. I più luridi guerrafondai, dall’Inghilterra all’Italia, si scoprono adepti della guerra “cavalleresca”: quella protocollata a Wellington nel 2008 quando si accordarono per rendere le loro stragi più “decenti”, dato che le bombe a grappolo seminano sul terreno una parte inesplosa del loro carico difficile da “bonificare” a fine guerra, lasciando un ulteriore orribile “ricordo” del conflitto – siccome si tratta di residui inesplosi colorati, spesso ne restano vittime dei bambini. Anche in questo caso non si smentisce il tipico doppiogiochismo italiano, dal momento che l’Italia ufficialmente fa il broncio a Biden, ma Crosetto, con un commento sibillino su twitter, ci tiene a ricordare che “… i Russi le usano da sempre”… Del resto, non è questa la morale che ha spinto a suo tempo la maggioranza dei paesi europei a ratificare la convenzione contro le bombe a grappolo, lasciando che ad usarle fosse Washington, loro principale alleato, nonché artefice massimo dei massacri con ogni mezzo e “decisore di ultima istanza” delle guerre e del loro carico di orrori? Non è forse quella stessa morale che spaccia inesistenti scrupoli etici, ma, ad esempio, non batté ciglio quando in Iraq la “coalizione dei volonterosi” martirizzò Falluja con le bombe al fosforo? O quando Israele, come fa da sempre, riserva analogo trattamento alle masse palestinesi?

Come mai allora gli alleati europei degli Usa stanno scoprendosi – in questo caso – così squisitamente umanitari e rispettosi degli “accordi di guerra”? I motivi di questo falso soprassalto di etica sono due: il primo ed essenziale è che – su spinta degli Stati Uniti che hanno fatto di questa guerra anche una guerra contro l’Unione europea – il loro coinvolgimento nel conflitto si fa sempre più massiccio, e i segnali di insofferenza delle popolazioni crescono sotto il peso delle spese di guerra, anche se questa insofferenza, finora, non ha portato a una contrarietà di massa alla guerra stessa. Se questa dovesse ampliare il suo scenario, però, diventerebbero più probabili delle massicce manifestazioni contro la guerra con un possibile contagio da un paese agli altri. Un altro aspetto riguarda l’esposizione alle rappresaglie, non più solo sul piano economico, di sanzioni e controsanzioni, strozzamenti delle forniture e delle esportazioni, e tutti questi sviluppi si svolgerebbero primariamente sul suolo europeo per motivi geografici e geopolitici facili da intuire. Anche il fatto che il summit si tiene al confine con la Federazione Russa è un altro segno della escalation militare, finora continua, che preoccupa i governi europei della Nato – salvo Polonia e stati baltici che scalpitano per lucrare la posizione di più fedeli alleati della superpotenza d’oltre Atlantico.

Abbiamo più di un motivo per credere che l’argomento bombe innescherà una trattativa con la quale compensare i soci in affari: le liti tra questi grandi banditi, oligarchi del capitale globale, sono sempre per la spartizione del bottino. Anche la resistenza di Erdogan all’ingresso della Svezia nella NATO – per “sacri motivi di principio”, non c’è dubbio… – pare superata non solo, e forse non tanto, con l’accelerazione dell’ingresso di Ankara nella UE, ma grazie alla fornitura di F16 al plenipotenziario del Bosforo, attore-pedina dell’accordo sul grano ucraino e di molte altre operazioni border-line sul fronte sud dell’alleanza atlantica. Inoltre non è detto che il programma per dotare l’Ucraina di bombe a grappolo sia così massiccio come si presenta ed i limiti d’impiego, anche nel tempo, sono stati illustrati dal sottosegretario alla Difesa, Colin Kahled, che sostiene che esse saranno usate in maniera responsabile” (sic!). L’aspetto più importante resta, quindi, la preparazione dell’attacco sul suolo russo mentre dal punto di vista politico e propagandistico è da sottolineare lo scopo di minacciare la Russia con un tipo d’intervento che non è quello di ventilare il ricorso all’atomica, la cui sola dichiarazione avrebbe l’effetto di rendere ancora più impopolare di quanto già non sia la politica di Biden e degli Usa. Almeno per il momento si lascia a Medvedev e altri consiglieri del Cremlino questo compito, salvo – naturalmente – operare spostamenti di testate atomiche anche in Italia…

Insomma, l’Ucraina ancora non è ridotta ad un deserto di modo che si possa dare il via ad una “comoda” sua spartizione tra i contendenti, ma dopo Vilnius è sulla strada giusta per diventarlo. Anche perché sul fronte russo, ovviamente, si risponde con un tentativo di nuovo patto tra il gruppo intorno a Putin e gli ex-ammutinati della Wagner, ritornati patrioti dopo essere stati pro-tempore traditori e pugnalatori alla schiena. Davvero, anche per gli imperialisti dell’Est, non meno che per quelli dell’Ovest, lo sbandieramento di valori morali e ideali “sacri” ma … economicamente trattabili è sempre e solo un inganno per i proletari, spinti a massacrarsi vicendevolmente per gli interessi dei loro sfruttatori. La Cina, a sua volta, in quanto potenza imperialista in ascesa, è combattuta fra la spinta all’incancrenimento e all’estensione della guerra in Europa, che contribuirebbe a logorare totalmente o parzialmente i vecchi poteri imperialisti (spianando la strada a quel “nuovo ordine” multipolare cui aspira), e la paura che il gioco sfugga di mano a tutti, precipitandola, e con essa il mondo intero, in un conflitto generale per Pechino oggi prematuro, ancorché, presto o tardi, inevitabile.

Più che mai, perciò, come stabilito nell’assemblea di Milano dell’11 giugno, l’imperativo è: “uniamo le forze per fermare la loro guerra”. Lasciamo perdere le nostalgie togliattiane, le chiusure nazionali, le formule frustre tipo “fuori l’Italia dalla guerra”, e le illusioni infantili (nel migliore dei casi) di fermare la corsa alla guerra attraverso i referendum. Battiamoci con tutte le nostre forze per tessere i fili di una sollevazione internazionale degli sfruttati contro la guerra in Ucraina e la tendenza sempre più accesa ad un nuovo macello mondiale!

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