L’altroieri presso la Sala Consiliare del VI Municipio di Roma (quartiere Torpignattara) un gruppo di compagne/i ha ricordato Mohammed Muzaffar Alì, detto Sher Khan, morto in piazza Vittorio nel dicembre 2009. Ci si è resi conto che l’eredità più importante che egli ci ha lasciato è la capacità di resistere: una capacità tanto più preziosa in questo momento di crisi economica, ma anche di difficoltà oggettiva e soggettiva ad organizzare una lotta costante nel territorio romano. Ciò, laddove in altre parti d’Italia, il conflitto di classe si esprime in termini di notevole radicalità, spesso nel segno del protagonismo di quegli immigrati che vivono condizioni di lavoro e di vita estreme. Si pensi a quelli impegnati nella raccolta delle arance, che hanno dato vita alla rivolta di Rosarno, o a coloro che lavorano nelle cooperativa della logistica, che nel nord est si organizzano, col sostegno del SI Cobas, entrando in sciopero per difendere i propri diritti (a partire dal rispetto del contratto nazionale) e resistendo alla dura repressione poliziesca ed ai ricatti padronali.
E’ come se l’esempio dato da Sher Khan sia stato raccolto da queste lotte, che – in qualche modo – costituiscono una prosecuzione in uno scenario in parte mutato di quelle che egli ha portato avanti nei decenni scorsi.
Ricordare queste ultime, dunque, vuol dire resistere e fondare su basi solide le forme conflittuali cui gli immigrati danno vita oggi. Come ha sottolineato, durante la riunione, Giulia, è importante, parlando di Sher Khan, soffermarsi anche sulla sua collaborazione con Dino Frisullo, legata in particolare all’ottenimento del permesso di soggiorno per tutti.
L’attività di Sher Khan inizia al principio degli anni novanta a Roma, dove è tra i protagonisti di una ormai celebre occupazione: quella che sottrae l’ex pastificio Pantanella ad un destino di degrado ed in particolare alla riduzione a sede di spaccio dell’eroina. Questa esperienza ha rappresentato un momento decisivo nella prima fase della lotta degli immigrati nella capitale. Lo sgombero dell’edificio chiamato dai suoi abitanti “Shish Mahal” (Palazzo di cristallo in lingua hindi-urdu) non ha visto Sher Khan recedere di un passo, convinto della necessità di proseguire la sua battaglia.
Per questo, egli ha partecipato anche ad altre occupazioni a scopo socio-abitativo. Inoltre, si è mobilitato fino all’ultimo suo giorno di vita per richiedere una sanatoria generalizzata, una casa e un lavoro per tutti. Per non dire del suo impegno contro ogni forma di razzismo ed a fianco delle popolazioni aggredite dall’imperialismo, che lo ha visto sempre presente alle manifestazioni in solidarietà con i palestinesi.
Per questi motivi, i presenti alla riunione hanno deciso di dedicare a questo compagno una targa commemorativa da collocare nel giardino di Piazza Vittorio (laddove,in particolare, si trova quello che ormai viene chiamato “l’angolo di Sher Khan”). Naturalmente, per ottenere l’apposizione della targa, bisognerà seguire un preciso iter legale.
Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma (19/12/12)
fonte: Il Pane e le Rose
In memoria di Mohammad Muzafar Alì, detto Sher Khan
“Le classi degli oppressori hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con incessanti persecuzioni; la loro dottrina è sempre stata accolta col più selvaggio furore, coll’odio più accanito e colle più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a ‘consolazione’ e a mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce”.
Lenin, “Stato e rivoluzione”
Una vita vera quella di Sher Khan. Emigrato dal Pakistan, girò tutto il mondo come marinaio sulle petroliere, prima di arrivare in Italia a metà degli anni ’80. Quì divenne uno dei più accaniti lottatori per i diritti degli immigrati, tutti, senza nessuna distinzione di nazionalità, razza, etnia o religione, unendo tale battaglia a quella degli sfruttati italiani. Il suo carisma, il suo coraggio, la sua generosità e la sua umanità lo portarono sempre in prima fila, in ogni manifestazione, scontro, occupazione. E per questo fu ribattezzato per l’appunto Sher Khan, “tigre”, che nella sua cultura è un onore riservato solo a chi possiede tali qualità. Il sistema e le sue istituzioni, non riuscendo a comprarlo o “normalizzarlo”, magari con qualche fasulla carica in comune, lo braccarono con accuse infamanti, denuncie, carcere e cie, minandogli la salute. E forse ora gli dedicheranno qualche encomio di facciata.
Ma chi era dalla sua stessa parte della barricata lo omaggerà in altro modo, a lui più congeniale e gradito, prima o poi.
Fieri di averti conosciuto, Sher Khan!!
Fieri della tua vita, tutta!!
Il tuo esempio ci guiderà, nella lotta e nella vittoria!!
Onore a te, Sher Khan, cuor di leone!!
(Combat dicembre 2011)