Una riprova per l’Iran

IRAN, NUCLEARE

CORRIERE Dom. 30/4/2006  
Franco Venturini


Per verificare fino a che punto il presidente iraniano
AHMADINEJAAD è disposto a spingere il confronto sul nucleare, occorre un
negoziato diretto USA-IRAN.

Il presidente iraniano fa di tutto per vanificare i
tentativi di mediazione. Ipotesi:

  • è un pazzo senza cognizione di causa (ma i suoi
    trascorsi non lo indicano tale)
  • conta sul fatto che gli USA restino paralizzati dalle
    difficoltà in IRAQ e dall’opposizione di RUSSIA, CINA e alcuni europei
  • punta sul nucleare per combattere una battaglia
    interna all’IRAN contro il clero conservatore sciita che lo avversa.

Per verificare gli spazi negoziali prima del ricorso
alla forza serve un confronto diretto USA-IRAN.


Il vero mistero della
questione iraniana si chiama Mahmoud Ahmadinejad
. Lui minaccia di «cancellare Israele dalla carta
geografica», lui ironizza pesantemente sull’Olocausto, lui esprime disprezzo
verso l’Occidente e provoca persino la Russia, lui sfida le «inutili» decisioni
dell’Onu e annuncia che l’Iran sarà presto una «superpotenza». Una definizione,
questa di «superpotenza», che mal si attaglia alla nascita di un nucleare
civile. E’ insomma lui, il Presidente, a dar l’impressione di voler essere
attaccato da chi non accetta un Iran dotato dell’atomica. O per lo meno è lui,
Ahmadinejad, a fare e a dire tutto il possibile per fornire munizioni ai falchi
e rendere più probabile un ricorso alla forza.

Perché? Dal momento che Teheran non può ignorare quanto sia grande il
potenziale militare americano – per parlare soltanto di quello – le possibili
spiegazioni sono soltanto tre. E forse nascondono, tra un’asprezza e l’altra,
gli ultimi spiragli disponibili per cercare davvero quella «soluzione
diplomatica» che tutti affermano di auspicare.
La prima ipotesi è che Mahmoud Ahmadinejad sia semplicemente un fanatico
ignorante delle cose del mondo e dunque incapace di valutare la portata del
rischio, oppure pronto a correrlo in spregio della società che lo ha eletto
.
Il premier israeliano Olmert ha detto proprio ieri che Ahmadinejad è «uno
psicopatico» che parla come Hitler. Può darsi, ma il poco che si sa dei suoi
trascorsi non depone a sostegno di questa tesi.

La seconda possibilità è che Ahmadinejad non consideri attuabile un attacco.
Che veda gli Usa prigionieri del pantano iracheno, che conti sulla opposizione
all’uso della forza di Russia e Cina
(e probabilmente di molti europei), che
faccia leva sugli altrui interessi e sulle conseguenze che un blitz contro
l’Iran potrebbe avere
: il prezzo del petrolio alle stelle, una ulteriore
fiammata terroristica senza frontiere, la rivolta in Iraq dei fratelli sciiti
rimasi legati a Teheran, l’aggravamento dei problemi in Afghanistan, la
destabilizzazione di governi arabi amici dell’Occidente a cominciare
dall’Arabia Saudita e lo stabilimento così di una unità di azione con Al Qaeda.

Se di questo si tratta, ha ragione Shimon Peres quando dice che Ahmadinejad
«rischia di fare la stessa fine di Saddam»
. Non perché l’Iran possa essere
invaso come l’Iraq da truppe di terra, ma piuttosto perché la prospettiva di
una proliferazione nucleare senza controllo innescata dalla paventata bomba
iraniana rappresenta una «linea rossa» che la comunità internazionale (e
tacitamente anche la Russia e la Cina) non si può permettere di superare
.
Come ha opportunamente ricordato Henry Kissinger, il gioco della deterrenza
reciproca può funzionare quando i soggetti con il grilletto atomico sono pochi.
Ma se diventassero molti sull’esempio iraniano (e nord-coreano) basterebbe un
qualunque dottor Stranamore, ovunque nel mondo, a scatenare l’apocalisse. E
questo gli Usa sono i primi (ma non gli unici, si pensi a Israele) a non
poterlo consentire.
La terza ipotesi è che Ahmadinejad sia impegnato in una dura battaglia
politica sul suo fronte interno, e che la questione nucleare sia diventata strumento
di questa battaglia
. Alì Khamenei, Rafsanjani, Khatami, tutti i nomi più
noti della Nomenklatura religiosa sciita si sono schierati pubblicamente con
Ahmadinejad e l’«irreversibilità» della sua corsa al nucleare dichiarato
civile. Ma esistono indizi di una crescente difficoltà di rapporti tra il
laico ex pasdaràn Ahmadinejad e i settori più conservatori del clero sciita

(l’ultimo episodio riguarda il permesso alle donne, concesso dal Presidente, a
recarsi allo stadio). Gli Ayatollah non gradirebbero il populismo di
Ahmadinejad. Ahmadinejad utilizzerebbe il nucleare proprio per dare forza al
suo populismo nazionalista.
E’ verosimile che ognuna delle tre interpretazioni contenga qualche granello di
verità. Ma se a tutti risulta chiaro che il ricorso alla forza avrebbe
conseguenze potenzialmente catastrofiche, come si può esplorare fino in fondo
l’alternativa negoziale?
In tempi recenti lo hanno indicato ufficiosamente
gli europei, il senatore repubblicano Lugar e altri esponenti Usa, la
Trilaterale, un gruppo di ex ministri degli Esteri che ha scritto a Bush: per
scoprire le carte di Ahmadinejad e degli altri centri di potere iraniani prima
di giungere a sanzioni non simboliche o all’ultima ratio del ricorso alla
forza, bisogna che Washington parli con Teheran. Come si era concordato di fare
sull’Iraq, prima che Ahmadinejad si ritirasse dal progetto
. Tutto, il
precedente iracheno visto oggi, la crisi di popolarità interna, l’opportunità
di fare politica prima di fare la guerra, dovrebbe spingere Bush a provarci. E
così ne sapremmo di più anche su Ahmadinejad.

Leave a Reply

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.