Riportiamo dal Pungolo Rosso l’intervento di Laila alla manifestazione di sabato 15 maggio a Venezia sotto il palazzo della RAI (che ha ignorato l’iniziativa) in solidarietà con il popolo palestinese; una vibrante denuncia dell’oppressione subita dai palestinesi.
Laila
“Noi, palestinesi di tutta la Palestina storica siamo uniti come UN SOLO POPOLO, una sola storia, una sola terra e per un’unica causa. Siamo scesi per le strade di ogni città e di ogni villaggio palestinese, manifestando e protestando contro l’ingiustizia inflitta al nostro popolo: dalla minaccia di pulizia etnica del quartiere arabo di Gerusalemme, Sheikh Jarrah, alle violenze impunite dei coloni sionisti, fino ai bombardamenti di Gaza dove centinaia di civili stanno morendo ogni giorno. Stiamo resistendo agli assassini e al furto delle nostre proprietà e della NOSTRA PATRIA. Per opprimere le proteste dei palestinesi, le forze di occupazione e la polizia israeliane stanno armando folle di coloni organizzando gruppi come “lahava”, “la familia”, “hills youth” e “pay the price”, gruppi che distruggono le proprietà arabe, minacciano ed assalgono i palestinesi. Gruppi di estremisti sionisti cantano per le strade “Morte agli arabi!”, “Violentiamoli tutti”, “Uccidiamo donne e bambini”. Le stesse incitazioni sono veicolate in chat di gruppo con il beneplacito degli ufficiali israeliani. I coloni, armati, sono protetti dalla polizia mentre attaccano i palestinesi, che protestano e cantano pacificamente. La polizia, oltre a permetterglielo, si unisce a loro negli attacchi ai palestinesi, prelevando arbitrariamente persone da strade e case. Noi chiediamo dunque alla Comunità Internazionale di esprimere solidarietà con i palestinesi che, disarmati e paralizzati, sono ormai privati di qualsiasi diritto umano”.
Queste sono le parole di un gruppo di ragazzi palestinesi del ’48 che mi hanno espressamente chiesto di far arrivare la loro voce a voi. La settimana scorsa a Gerusalemme, durante la preghiera dell’ultimo venerdì di Ramadan, i militari israeliani rispondono con la forza alle proteste dei palestinesi che da giorni stanno manifestando per Sheikh Jarrah. In poco tempo l’indignazione e la frustrazione dei palestinesi del ‘48 si infiamma e dappertutto, dal nord al sud di Israele, i villaggi arabi insorgono e si organizzano in manifestazioni e proteste.
È la prima volta che la società civile palestinese di Israele esce per strada in massa per far sentire la sua voce, per far capire a Israele che no, non ci sta più, che lo Stato non è riuscito nel suo intento di far tacere i cosiddetti “arabi-israeliani”, cittadini di serie B discriminati con vere e proprie leggi che di democratico non hanno nulla. Così gli arabi, musulmani e cristiani, ragazze e ragazzi, insieme, si mobilitano e si espongono in prima linea. La reazione dell’esercito è immediata: gas lacrimogeni, spari di proiettili di gomma, colpi d’arma da fuoco, arresti arbitrari. La polizia entra nelle case e preleva le persone senza motivo. L’obiettivo è uno: seminare il terrore e bloccare le manifestazioni. A San Giovanni d’Acri i militari entrano nei negozi degli arabi e li devastano, distruggendo e riversando per strada tutto quello che trovano. Ad Al-Taybe sparano sui manifestanti. Ad Emm el Fahem i pompieri rifiutano di spegnere un incendio. Led è circondata, gli abitanti chiedono aiuto, ma la polizia glielo nega e impedisce ai soccorsi di entrare nella città. E questi sono solo alcuni degli esempi che si possono fare.
L’entrata dei villaggi arabi viene presidiata. Il villaggio di Jdeide proprio questa notte è stato assediato e con blocchi di cemento è stato trasformato in pochi minuti in una prigione a cielo aperto. Nei villaggi palestinesi viene imposto il coprifuoco, ma solo agli arabi. Gli ebrei sionisti, camuffati da palestinesi, possono entrare ed aggredire impunemente chi trovano per strada. Nei paesi a popolazione mista vengono apposti dei segni colorati sulle case arabe in modo da riconoscerle e assalirle più facilmente durante la notte. E quando questo non basta, i sionisti si mettono d’accordo tra di loro per spegnere le luci in modo da identificare le abitazioni degli arabi, che ignari tengono la luce accesa. Sembra di tornare indietro nel tempo ai tempi delle piaghe d’Egitto, quando con il sangue il popolo israelita difendeva i propri primogeniti dalla morte, o quando durante la seconda guerra mondiale con le svastiche i nazisti marcavano le case degli ebrei. I sionisti, che tanto fanno appello alla Shoah, strumentalizzandola, sembrano averlo dimenticato. I coloni, sostenuti dall’esercito, sparano sugli arabi, profanano le loro tombe, incendiano le loro case e le loro macchine. E le persone che ci abitano. Per strada come sui social inneggiano alla morte degli arabi. Mentre su Facebook e Instagram chi si esprime a sostegno di Gaza, Gerusalemme e la Palestina, viene bloccato.
Ma questo non basta a fermare e a zittire il popolo palestinese, che continua a resistere anche se la tattica dello Stato sionista di provocare e portare i palestinesi all’estenuazione è una delle strategie preferite di Israele. E così, come ribadiscono i media, quando i palestinesi protestano, l’esercito israeliano RISPONDE e si difende. Si difende anche quando usa la sua forza contro ragazzi prelevati dalle loro abitazioni, picchiandoli e percuotendoli ripetutamente e violentemente? O spara sui manifestanti che lanciano sassi? O quando non interviene e anzi incoraggia una parte della popolazione ad aggredire la minoranza araba, mentre non fa altrettanto se accade il contrario? O quando aggredisce i civili indifesi? I video che girano in rete sono tanti, attraverso i social i palestinesi comunicano fra di loro, si mettono in guardia gli uni con gli altri, documentano e le testimonianze dei soprusi delle forze israeliane, a differenza del passato, sono evidenti e facilmente diffondibili.
Ma ai governi e alle forze internazionali questo non basta. Le informazioni vengono veicolate a favore dell’occupante. Perché bisogna dirlo e dirlo chiaramente: in questa guerra ci sono un occupante e un occupato. Ci sono uno Stato ebraico etnocratico e non democratico!, come qualcuno continua ad osannare, e una minoranza araba discriminata. E in queste ore tutto è diventato più evidente. Uno Stato, attraverso le forze dell’ordine, dovrebbe proteggere i suoi cittadini, di qualsiasi etnia e religione essi siano. In Israele questo non accade. Il popolo palestinese necessita di un suo Stato, della sua terra, di pace e di libertà e ancor prima di diritti, di giustizia e di VERITÀ. Oggi siamo qui a cercare di raccontarla questa verità che viene spesso distorta e monopolizzata, perché non conviene schierarsi contro Israele. Quindi grazie a tutti voi, che questo coraggio invece lo avete avuto. La vostra presenza è fondamentale per i palestinesi, le idee, la solidarietà e l’umanità di persone come voi, e la verità che con voi vede uno spiraglio di luce, sono la loro arma. L’unica che vogliamo. Grazie di cuore, anche a nome del popolo di Palestina.