ITALIA, POLITICA
CORRIERE Mar. 25/4/2006
ANGELO PANEBIANCO
Bertinotti e la competizione nell’Unione
BERTINOTTI, forse unico vincitore alle elezioni, userà
la presidenza della Camera per erodere a sinistra i DS.
Per resistere all’erosione la maggioranza di
centro-sinistra dovrà usare “politiche di governo che facciano muro contro la
sinistra radicale” e accelerare la costruzione del Partito Democratico.
Con gentilezza, ma anche con malizia, Fausto Bertinotti,
ringraziando i Ds per il loro passo indietro nella questione della presidenza
della Camera, si è augurato che un ex comunista (si noti: non ha detto «un
diessino») possa salire al Quirinale. Bertinotti è un politico di razza,
uno che grazie al suo coraggio e alle sue indubbie qualità di leadership è
riuscito in un’impresa che non molto tempo fa si sarebbe detta impossibile:
ridare grande visibilità, peso politico e forza di governo, in un Paese
occidentale, al «comunismo», sia pure nella variante, non priva di suggestioni
libertarie, che egli si è sforzato di promuovere. Parlano i suoi successi. La
forte affermazione elettorale di Rifondazione comunista (quel sette per
cento raggiunto al Senato fa davvero impressione) e l’alto numero di seggi
parlamentari conquistati fanno di Bertinotti, all’interno di una coalizione in
cui quasi tutti gli altri risultano ammaccati e indeboliti, un sicuro
vincitore, forse l’unico. Il suo trionfo nel braccio di ferro per la
presidenza della Camera suggella quel successo. Naturalmente, l’ottima
prova elettorale della sinistra estrema (in cui, oltre a Rifondazione, vanno
ricompresi i Verdi, il Pdci e forse anche Di Pietro), che ha spostato
sensibilmente a sinistra l’asse politico della costituenda maggioranza di
governo, non può non preoccupare quella schiacciante maggioranza di italiani
(ivi compresa la schiacciante maggioranza degli elettori del centrosinistra)
che, non considerando la proprietà un furto, col comunismo, in qualunque
variante, non vuole avere a che spartire.
Si è diffusa in questi giorni l’inverosimile «teoria» secondo cui, ottenuta
la vittoria «simbolica» della conquista della presidenza della Camera,
Bertinotti si acquieterà, non darà più problemi al governo. Chi avanza questa
tesi sottovaluta Bertinotti (che peraltro si è subito premurato di smentire
gli ottimisti con l’attacco a Mediaset) e anche il fatto che la sua non è
solo una vittoria simbolica. Come ha ben spiegato il costituzionalista
Stefano Ceccanti (L’Unità, 23 aprile), quello di cui dispone il presidente
della Camera è un potere vero: egli può condizionare la formazione dell’agenda
parlamentare e, per questa via, l’intera attività della maggioranza di governo.
Sarebbe strano se Bertinotti non si apprestasse a fare un uso, certo
prudente ma anche deciso, di quel potere. La politica è competizione e
Bertinotti non può non puntare ad erodere i Ds nel loro fianco sinistro, oltre
che ad egemonizzare l’intera area dell’estrema sinistra. Magari in vista di una
possibile interruzione anticipata della legislatura.
Bertinotti fa (bene) il suo mestiere. Toccherà agli altri, nella coalizione, se
ci riescono, tentare di neutralizzarlo. Hanno solo due modi per provarci. In
primo luogo, con politiche di governo, dalle questioni economico-sociali alla
politica estera, che facciano «muro» contro le pressioni, che saranno
fortissime, dell’estrema sinistra. In secondo luogo, superando le resistenze
degli apparati e costruendo il partito democratico. Consapevoli che,
altrimenti, la competizione da sinistra non sarà arginabile.
Sono compiti che ricadono sui Ds e la Margherita ma anche, e forse soprattutto,
su Romano Prodi. Egli, non avendo dietro di sé un partito, non potrà mai
assicurare stabilità al governo, come qualcuno immagina, con una politica
(l’asse con Bertinotti a spese dei Ds) simile a quella che, un tempo, vide la
Dc alleata di fatto del Partito Comunista contro Bettino Craxi. Prodi, che è un
uomo accorto, lo sa.