Niglia – docente per le relazioni internazionali presso la St John University di Roma, in un contributo a DGAP:
– il governo Monti cerca una “nuova cultura del dialogo con i leader tedeschi”. Alcuni commentatori hanno chiesto “una nuova alleanza Merkel-Monti … e una versione politicamente corretta del vecchio “asse” Roma-Berlino, in cui l’economia avrebbe un ruolo centrale.
– La Germania continua ad essere il maggior acquirente delle merci italiane, ma soprattutto l’Italia è un mercato chiave per la Germania:
o nel 1998-2009 (dopo l’introduzione dell’euro) il surplus commerciale tedesco con l’Italia è aumentato del 543%;
o per gruppi come Deutsche Bank l’Italia è il secondo maggior mercato, dopo la Germania;
o Audi – che ha di recente acquisito Ducati – ha dimostrato l’importanza dell’Italia per gli investitori tedeschi.
– Quasi il 30% degli Investimenti Esteri Diretti (IED) in Italia proviene dalla Germania, che nel 2010 e 2011 ha raggiunto un surplus di €14MD verso l’Italia,
– denaro questo che manca al bilancio statale italiano e che, mentre rafforza le casse tedesche, peggiora la crisi italiana.
– Crescenti proteste in Italia – con la ripresa di vecchi slogan contro le ambizioni egemoniche della Germania – contro le misure di austerità imposte da Berlino, che dopo aver rovinato l’economia di Grecia, Portogallo e Spagna minacciano di far sprofondare anche quella italiana,
o la protesta contro il diktat tedesco ha caratterizzato anche la manifestazione di massa di domenica scorsa a Roma.
– A fronte di tali proteste di massa, frazioni dell’elite finanziaria italiana chiedono il rafforzamento della cooperazione Italia-Germania,
o (tra gli istituti finanziari che traggono vantaggio dalle relazioni economiche con la Germania, Unicredit, che nel 2005 ha acquisito la bavarese HypoVereinsbank, il 5° maggior istituto tedesco per bilancio).
– Esperti politici tedeschi (Fondazione DGAP, Società tedesca per la politica estera) rispondono all’appello aprendo un dibattito a riguardo.
o La critica alla Germania è profondamente radicata nel modo di pensare italiano, non è un fenomeno spontaneo derivante dalla crisi, critica avanzata non solo dai “cittadini normali”, ma anche dalla elite politica e diplomatica. Roma ha sempre cercato di contenere l’ascesa tedesca.
o Ma, neppure le due guerre mondiali (fino alla recente sentenza della procura tedesca che ha archiviato le indagini sulle SS responsabili del massacro di centinaia di civili l’8 agosto 1944 a Sant’Anna di Stazzema) avrebbero completamente distrutto l’idea che Germania e Italia abbiano un passato e un futuro comuni.
– Dopo la Seconda guerra mondiale il dibattito pubblico in Italia è stato caratterizzato dalla guerra fredda,
o da una parte Bonn era ritenuto un alleato politico ed economico;
o dall’altra c’era il timore che la Germania fosse “troppo grande” per opporsi al suo tentativo di imporsi in Europa.
o La paura del tentativo di egemonia tedesca si è confermata nei primi anni Novanta, dopo la riunificazione della Germania,
o ed è stata combattuta da “una piccola ma influente elite” che ha assunto funzioni di governo:
o il primo ministro Giuliano Amato (1992-1993, 2000-2001) e Carlo Azeglio Ciampi (1993- 1994, presidente 1999-2006, 1979-1993 presidente di Banca d’Italia).
o A favore di una stretta cooperazione con la Germania e il progetto europeo una elite tecnocratica di istituzioni economiche pubbliche (Banca Italia, ministero Finanze …)
– Il governo Berlusconi (1994-95) non ha cambiato questo orientamento,
– perseguito anche dai due governi di centro-sinistra (Prodi e D’Alema), e terminata con l’approvazione dei criteri di Maastricht e la creazione della Unione economica e monetaria,
– l’unione monetaria fu già dagli inizi interpretata come “allargamento delle regole monetarie tedesche al resto dell’Europa;
– la Germania venne presto vista da gran parte dell’opinione italiana come ricco e grande paese, che si muove senza curarsi dei problemi degli alleati europei,
o e questo a causa delle rigide misure che vari governi di centro-sinistra avevano imposto a rispetto di Maastricht;
o non ha facilitato le relazioni il fatto che Berlino vinse la competizione economica contro Roma, anche grazie alle misure di austerità di Hartz IV, non attuabili in Italia.
– Risultato: gruppi e banche tedeschi hanno sostituito quelli italiani in molti paesi dei Balcani ed in Est Europa;
o l’Italia, vista come vittima della dinamica tedesca, ha perso influenza nei confronti della Germania: ad es. nonostante l’Italia fosse il maggior partner commerciale di Tehran, nel 2006 fu esclusa dai negoziati con l’Iran del gruppo 5+1.
o I governi Berlusconi cercarono relazioni speciali con gli Usa e la Russia, per evitare il predominio franco-tedesco sulla UE, ma senza successo.
– Nella corrente crisi dell’euro Berlino è riuscita a imporsi a Roma: il governo Monti, uscito dalla parte filo-tedesca dell’elite finanziaria italiana, è stato formato su pressioni tedesche.
– Sotto la pressione tedesca, nella lotta contro la crisi dell’euro la UE si sta trasformando in una Unione a due classi, con i pericoli che ne derivano:
o al primo posto quello della disintegrazione, a causa del carattere anti-democratico delle misure d’austerità imposte dalla Germania nonostante le forti proteste nei paesi del Sud Europa.
o Già a metà anni Novanta parlò di un’Europa nocciolo duro classi l’attuale ministro Finanze tedesco Schäuble (CDU);
o a fine 2011 uno documento di DGAP rilevava come i 17 paesi dell’euro si stavano unendo più strettamente, rafforzando le loro istituzioni e procedimenti, differenziandosi più chiaramente dai paesi non-euro;
o poi subito istituito un vertice dell’euro da riunire due volte l’anno per prendere decisioni su tutte le questioni di politica finanziaria ed economica, mentre i paesi non-euro (10 paesi tra cui GB) saranno informati su dibattiti e decisioni.
– L’eurozona sta divenendo una “Europa nocciolo duro”, un’Europa tedesca, condizionata dalla politica di austerità di Berlino, alla quale spettano le decisioni più importanti senza che i paesi non-euro possano dire la loro.
o Anche la Francia ha dovuto piegarsi al diktat tedesco.
– Il britannico The Guardian: nel Novanta tutti parlavano di Germania europea, oggi invece di una Europa tedesca.
– (Eigener Bericht) – Angesichts wachsender Proteste in Italien gegen die Berliner Spardiktate stellen deutsche Polit-Experten einen italienischen Aufruf zum Ausbau der bilateralen Kooperation zur Debatte. Es gebe in dem südeuropäischen Land eine weitverbreitete "Unfähigkeit, die positive Rolle zu akzeptieren, die ein vereinigtes Deutschland in Europa spielen könnte", heißt es in dem Beitrag. Diese italienische "Unfähigkeit" sei die Ursache dafür, dass jetzt "alte Slogans gegen Deutschlands hegemoniale Ambitionen aus der Mottenkiste" geholt würden.
– Gemeint sind nicht zuletzt Unmutsbekundungen gegenüber Berlin, wie sie bei den Massendemonstrationen am vergangenen Sonntag in Rom geäußert wurden: Die von Berlin erzwungene Austeritätspolitik sei umgehend zu stoppen, hieß es dort.
Der Autor des jetzt in Berlin verbreiteten Papiers weist darauf hin, dass die deutsche Dominanz in der EU in Italien schon seit langem auf Vorbehalte stößt,
o dass sich Teile der Finanzelite jedoch stets als zuverlässige Partner der Bundesrepublik erwiesen haben. Hintergrund ist die dominierende deutsche Position in der italienischen Wirtschaft.
– Unter dem Titel "Vergangenheit und Vorurteil im italienischen Deutschland-Bild" hat die Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) unlängst einen Beitrag von Federico Niglia publiziert, einem Dozenten für Internationale Beziehungen an der St. John’s University in Rom. Niglia erklärt eine italienische "Unfähigkeit", die "positive Rolle" Deutschlands in der EU zu akzeptieren, zur eigentlichen Ursache für die wachsende italienische Kritik an den Berliner Spardiktaten, die – nach Griechenland, Portugal und Spanien – jetzt auch Italien in den wirtschaftlichen Abgrund zu stürzen drohen.
– Um zu verdeutlichen, dass es sich bei dieser Kritik und bei der ihr angeblich zugrunde liegenden "Unfähigkeit" nicht um ein spontan entstandenes Krisenphänomen, sondern um eine tief verankerte und nicht zu vernachlässigende Haltung handelt, skizziert Niglia die Entwicklung des italienischen Blicks auf die Bundesrepublik seit den späten 1940er Jahren.
– Selbst "die Katastrophe zweier Weltkriege und die Tragödie der Jahre 1943-1945" hätten den "Glauben", dass "Deutschland und Italien eine gemeinsame Vergangenheit und eine gemeinsame Zukunft" hätten, "nicht vollständig erschüttert", erklärt Niglia.[1]
o Zu den Ereignissen, die er in höflicher Zurückhaltung als "Tragödie" umschreibt, zählen diverse Massaker der Wehrmacht an italienischen Zivilisten, die bis heute nicht gesühnt wurden. Erst unlängst hat eine deutsche Staatsanwaltschaft die Ermittlungen zum Mord an hunderten Zivilpersonen am 8. August 1944 in Sant’ Anna di Stazzema eingestellt. Man könne den beschuldigten SS-Männern, die namentlich bekannt sind und von italienischen Gerichten verurteilt wurden, nichts nachweisen, heißt es zur Begründung.[2]
– Niglia zufolge bestimmte jedoch schon bald nach dem Zweiten Weltkrieg eine andere Befürchtung den "öffentlichen Diskurs" in Italien. Demnach habe man einerseits Bonn als einen "der engsten politischen und wirtschaftlichen Partner" im Systemkonflikt betrachtet,
o andererseits jedoch immer wieder die Angst erkennen lassen, die Bundesrepublik sei "zu groß", "um der Versuchung zu widerstehen, in der Europäischen Gemeinschaft Macht an sich zu reißen".
– Dieser "Verdacht, Deutschland könnte Führungsansprüche hegen", sei "im italienischen Denken tief verwurzelt, und zwar nicht nur bei den normalen Bürgern", sondern auch in "der politischen und diplomatischen Elite". Niglia zufolge hat Rom immer wieder versucht, "den Aufstieg Deutschlands einzudämmen".
o Anfang der 1990er Jahre sah es sich aber "einer neuen kontinentalen Macht gegenüber, die frei von den Fesseln" war, die sie "40 Jahre lang eingeschränkt hatten".
– Die Furcht vor deutscher Dominanz sei zwar in den nächsten Jahren nicht verschwunden; doch habe es "eine kleine, aber einflussreiche Elite", die ihr entgegenwirkte, zunächst geschafft, höchste Regierungsfunktionen zu übernehmen. Niglia nennt ausdrücklich die Ministerpräsidenten Giuliano Amato (1992 bis 1993, 2000 bis 2001) und Carlo Azeglio Ciampi (1993 bis 1994, Staatspräsident 1999 bis 2006, 1979 bis 1993 Präsident der Banca d’Italia).
– Er präzisiert: "Für eine enge Kooperation mit Deutschland und dem europäischen Projekt setzte sich hauptsächlich eine technokratische Elite aus Vertretern öffentlicher Wirtschaftsinstitutionen ein (Banca d’Italia, Finanzministerium etc.)."[3]
– Zu den Entscheidungen, die damals von dieser Elite gefällt wurden, gehört die Zustimmung Italiens zum Vertrag von Maastricht und damit zur Schaffung der "Wirtschafts- und Währungsunion". Wie Niglia berichtet, galt der Vertrag in Italien damals weithin als "typisch ‘deutsches’ Produkt": Er sei "in starkem Maße beeinflusst" gewesen "von der deutschen ökonomischen Tradition und Vision mit ihrer Betonung von Stabilität".
– Die Währungsunion sei deshalb von Beginn an "als Ausweitung der deutschen Währungsregeln auf den Rest Europas" interpretiert worden. Schon früh sei Deutschland "bei einem Großteil der öffentlichen Meinung Italiens als großes und wohlhabendes Land" gesehen worden, "das handelt, ohne sich um die Probleme der europäischen Partner zu scheren".[4]
o Ursache seien "harte Maßnahmen" gewesen, die mehrere Mitte-Links-Regierungen durchgesetzt hätten, um nicht gegen die Maastricht-Kriterien zu verstoßen. Nicht erleichtert habe es die Debatte, dass Berlin den ökonomischen Konkurrenzkampf gegen Rom gewonnen habe – nicht zuletzt mit umfassenden, in Italien kaum durchsetzbaren Sparmaßnahmen ("Hartz IV").
o Die Folgen: "Deutsche Unternehmen und Banken ersetzten die italienischen Präsenzen in vielen Ländern auf dem Balkan und in Osteuropa". Italien habe als "Opfer der deutschen Dynamik" gegolten.
– Niglia weist darauf hin, dass Rom tatsächlich gegenüber Berlin stark an Einfluss verlor.
o So wurde Italien beispielsweise im Jahr 2006 aus der Gruppe der Staaten ausgeschlossen, die Verhandlungen mit Iran führen ("5+1-Gruppe", die Mitglieder des UN-Sicherheitsrats sowie die Bundesrepublik) – "obwohl Italien Teherans wichtigster Handelspartner war".
o Berlusconis Rechtsregierungen hätten durch Sonderbündnisse mit Washington und Moskau eine deutsch-französische Dominanz über die EU zu verhindern gesucht – ohne Erfolg.[5]
o Tatsächlich hat sich Berlin auch in der aktuellen Euro-Krise gegen Rom durchsetzen können;
o die Regierung von Mario Monti, der dem prodeutschen Teil der italienischen Finanzelite entstammt, ist maßgeblich auf deutsches Betreiben installiert worden (german-foreign-policy.com berichtete [6]). Entsprechend ist Berlin "für den Durchschnittsitaliener (…) eng verbunden mit den wirtschaftlichen Problemen", unter denen das Land und die EU derzeit leiden, erläutert Niglia. Dies zeigt sich immer deutlicher bei Protesten wie der Demonstration vom vergangenen Sonntag in Rom, die sich ausdrücklich auch gegen die Rolle Berlins beim Oktroi von Spardiktaten in der EU richtete.
– Niglia weist darauf hin, dass Montis Regierung sich bemüht, "eine neue Dialogkultur mit der deutschen Führung zu etablieren". Manche Kommentatoren verlangten "eine neue Merkel-Monti-Partnerschaft", "gleichsam eine politisch korrekte Version der alten ‘Achse’ Rom-Berlin".[7] In der Tat könne bei einer solchen Achsenbildung die Wirtschaft eine zentrale Rolle spielen, meint Niglia.
– Deutschland sei weiterhin "der Hauptabnehmer italienischer Güter"; vor allem aber sei Italien "ein Schlüsselmarkt für Deutschland":
o Von 1998 bis 2009 – maßgeblich in den Jahren nach Einführung des Euro – sei der deutsche Exportüberschuss beim Handel mit dem südeuropäischen Land um 543 Prozent gestiegen.
o Unternehmen wie die Deutsche Bank, "für die Italien der zweitwichtigste Markt nach Deutschland" sei, und Audi, das erst unlängst den traditionsreichen Motorradhersteller Ducati übernahm, zeigten "Italiens Stellenwert für deutsche Investoren".
o Tatsächlich kommen beinahe 30 Prozent der ausländischen Direktinvestitionen in Italien aus der Bundesrepublik, die in den Jahren 2010 und 2011 einen Überschuss von um die 14 Milliarden Euro gegenüber Italien erzielte – Geld, das dem italienischen Staatshaushalt letztlich fehlt, was das Land weiter in die Krise treibt, jedoch deutsche Kassen stärkt.
o Angesichts der wirtschaftlichen Verflechtungen, von denen immerhin ein Teil der italienischen Finanzelite profitiert – als Beispiel kann die Finanzholding Unicredit gelten, die im Jahr 2005 die Münchner HypoVereinsbank übernommen hat, das nach Bilanzsumme fünftgrößte deutsche Finanzinstitut -, spricht sich Niglia dafür aus, italienische ": "Es gibt gute Gründe für Italien und Deutschland, ihre Beziehungen in der Krise wiederzubeleben."
[1] Federico Niglia: Deutsche Europapolitik aus Sicht Italiens 1992-2012. Vergangenheit und Vorurteil im italienischen Deutschland-Bild, DGAPanalyse kompakt No. 7, September 2012
[2] Das ungesühnte Verbrechen; www.tagesspiegel.de 15.10.2012
[3], [4], [5] Federico Niglia: Deutsche Europapolitik aus Sicht Italiens 1992-2012. Vergangenheit und Vorurteil im italienischen Deutschland-Bild, DGAPanalyse kompakt No. 7, September 2012
[6] s. dazu Europa auf deutsche Art (III)
[7] Federico Niglia: Deutsche Europapolitik aus Sicht Italiens 1992-2012. Vergangenheit und Vorurteil im italienischen Deutschland-Bild, DGAPanalyse kompakt No. 7, September 2012
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– (Eigener Bericht) – Unter heftigem deutschem Druck transformiert sich die EU im Kampf gegen die Euro-Krise in eine Zwei-Klassen-Union. Wie Berliner Außenpolitik-Experten urteilen, ist die Union[e] dabei, die Eurozone systematisch in ein "Kerneuropa" umzuwandeln, das für das gesamte Staatenbündnis äußerst wichtige Entscheidungen ohne jede Mitwirkung der Nicht-Euroländer fällt.
– Über dieses "Kerneuropa" heißt es, es sei ein zutiefst "deutsches Europa" – auch weil es durch die harte Austeritätspolitik Berlins geprägt sei. Zuletzt habe sich Frankreich dem Diktat Deutschlands in Sachen Sparpolitik beugen müssen. Allerdings sei die Zwei-Klassen-Union[e] erheblichen Risiken ausgesetzt, die auf die eine oder andere Art überwunden werden müssten.
– Ein ehemaliger deutscher Außenminister schlägt die Gründung der "Vereinigten Staaten von Europa" vor. Experten schließen jedoch auch einen Verfall der EU ("Desintegration") nicht mehr aus. Im Ausland wird insbesondere der offen antidemokratische Charakter der von Berlin forcierten Politik kritisiert, die unter anderem darauf setzt, die gegen heftigen Widerstand durchgesetzte deutsche Austeritätspolitik als Sachzwang darzustellen und sie mit Hilfe sogenannter Expertenkabinette auch gegen entschlossene Proteste in den südlichen Eurostaaten zu exekutieren. Das habe, heißt es etwa in der britischen Presse, mit Demokratie nichts mehr zu tun.
– Strukturell befindet sich die EU seit dem Krisengipfel von Ende Oktober auf dem Weg in eine Zwei-Klassen-Union, wie sie deutsche Politiker, unter ihnen der heutige Finanzminister Wolfgang Schäuble (CDU), bereits Mitte der 1990er Jahre unter dem Schlagwort "Kerneuropa" in den Blick genommen hatten. "Die Richtung" sei "seit Ende Oktober klar", heißt es exemplarisch in einem vor wenigen Tagen veröffentlichten Papier der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP):
o "Die (noch) 17 Euro-Länder schließen sich enger zusammen, verstärken ihre eigenen Institutionen und Verfahren und grenzen sich dabei deutlicher als bisher von den Nicht-Euro-Ländern ab."[1]
o Ab sofort werde ein sogenannter Euro-Gipfel etabliert, der zweimal jährlich tagen und Entscheidungen in allen wichtigen finanz- und wirtschaftspolitischen Fragen treffen werde. Der Euro-Gipfel müsse künftig "dafür Sorge tragen, dass die Nicht-Euro-Länder über die Diskussionen und Beschlüsse (…) informiert werden", heißt es bei der DGAP. Zu den Nicht-Euro-Ländern, die über maßgebliche, ihr souveränes Handeln in erheblichem Maße betreffende Entscheidungen jetzt nur noch "informiert" werden sollen, gehören zur Zeit zehn EU-Staaten, darunter mit Großbritannien eine der stärksten Mächte Europas.
Vorteile und Nachteile des "Kerneuropa"-Modells werden von der politischen Spitze wie auch von den Think-Tanks sorgsam abgewogen. Dass es sich bei dem im Entstehen begriffenen Kern faktisch um ein "deutsches Europa" handelt, wird in der Bundesrepublik wie auch im Ausland ohne jegliche Illusion festgehalten.
– Das eurozonenweit oktroyierte Austeritätsmodell, das jetzt auch in Frankreich übernommen werde, lasse daran keinen Zweifel, urteilt eine deutsche Außenpolitik-Expertin.[2]
– Die britische Presse erinnert sich, dass in den Jahren um 1990 ein "europäisches Deutschland" in aller Munde gewesen sei [3], während man heute in Berlin scherze, dieses "europäische Deutschland" sei keineswegs in Vergessenheit geraten – es befinde sich jedoch mitten in einem "deutschen Europa". Allerdings berge die faktische Unterwerfung von Ländern außerhalb des Euro-Kerns, zum Beispiel Großbritanniens, unter deutsch-französische bzw. deutsche Diktate "politische Sprengkraft", räumt die DGAP ein: "Seit Wochen schon gucken die Nicht-Euro-Länder in die Röhre, während unter deutsch-französischer Führung die Europäische Union[e] umgebaut wird".[4] Es gilt als ungewiss, ob etwa London sich auf Dauer mit einer offenen Beschränkung seiner Handlungsfreiheit durch Berlin und Paris zufriedengibt. Zusätzlich weist EU-Kommissionspräsident José Manuel Barroso auf weitere Risiken hin. Ein reiches "Kerneuropa" könne auf Dauer nur schwerlich mit einem in Armut versinkenden Süden verbunden bleiben, ohne gravierende Verwerfungen hervorzurufen: "Eine gespaltene Union[e] würde nicht funktionieren".[5]
– Angesichts der absehbaren Schwierigkeiten werden in Berlin die Rufe nach einem immer engeren politischen Zusammenschluss der Eurozone lauter, der zumindest "Kerneuropa" stabilisieren soll.
– Eine Fiskalunion, wie Berlin sie verlangt, "kann nicht nur mit härterer Fiskalüberwachung geführt werden" [6], heißt es im deutschen Büro des European Council on Foreign Relations: "Das System braucht Peitsche, aber auch Zuckerbrot."
– Vorteilhaft sei es, wenn die Diktate nicht unmittelbar von der Bundesrepublik, sondern von einer "Euroland"-Regierung oktroyiert würden, eventuell mit der Legitimation eines Eurozonen-Parlaments versehen.
– Unlängst hat der frühere Außenminister Josef Fischer gefordert, gar die Gründung eines neuen Staates einzuleiten: Die "Vereinigten Staaten von Europa" müssten ins Leben gerufen werden.[7] Für den Fall, dass kein engerer Zusammenschluss zustande komme, sei mit einer folgenreichen "Disintegration" zu rechnen, heißt es beim European Council on Foreign Relations. Eine derartige Desintegration entwickele "ihre eigene Logik": "Sie geschieht oft schneller, als man denkt. Sobald sie beginnt, kann sie kaum noch gestoppt werden", heißt es mit Hinweis auf den Verfall der Sowjetunion. Es sei "höchste Zeit", entgegenzusteuern: "Wenn nicht, dann könnte Europa den Weg von Weimar gehen".[8]
– Während Berlin die Transformation der EU mit Macht vorantreibt, nimmt die Zahl der sogenannten Expertenkabinette, die in der Eurozone regieren, zu. Offiziell heißt es, Wirtschaftsfachleute sorgten nun dafür, dass die Staatshaushalte zunächst Griechenlands und Italiens geordnet würden. Sie seien dazu in der Lage, weil sie sich keiner demokratischen Wahl stellen müssten und daher auch brutale Sparmaßnahmen ohne Rücksicht auf Widerstände durchpeitschen könnten. Tatsächlich jedoch sind die Sparmaßnahmen nicht Resultat vermeintlichen ökonomischen Zwangs, sondern das Mittel einer harten neoliberalen Politik, wie sie Berlin verficht – und im Verlauf der Krise auf EU-Ebene gegen Frankreich durchgesetzt hat, das bis vor kurzem alternative, weniger exzessiv auf Sozialkürzungen setzende Programme verfolgte. Der deutschen Sparpolitik verhelfen nun unter dem Deckmantel des "Experten" in Griechenland Lucas Papademos und in Italien Mario Monti zum Durchbruch. Beide sind in der deutschen Hauptstadt gern gesehen. Papademos hat als Vizepräsident der Europäischen Zentralbank (2002 bis 2010) nachgewiesen, dass er den finanzpolitischen Vorstellungen Berlins in höchstem Maße entspricht; über Monti wird in den deutschen Medien augenzwinkernd berichtet, er habe sich noch vor wenigen Tagen in der deutschen Hauptstadt aufgehalten und dort mit Politikern und Finanzexperten konferiert, bevor er zu seiner Inthronisierung als Ministerpräsident nach Rom zurückgereist sei. Exemplarisch heißt es über ihn in einer deutschen Tageszeitung: "Kritische Worte gegenüber Europa (…) sind von Monti nicht zu erwarten." Er werde hingegen "alles tun, um den Verbleib Italiens in der Eurozone zu sichern – mehr wird von ihm auch nicht verlangt".[9]
– Eine deutliche Einschätzung des sich unter deutschem Druck herausbildenden Europa hat bereits in der vergangenen Woche eine britische Tageszeitung veröffentlicht. Darin hieß es mit Bezug auf die "Frankfurt-Gruppe", ein informelles, von der Bundesregierung angeführtes Treffen, das im Oktober in Frankfurt am Main den Euro-Krisengipfel vorbereitete und auch während des Brüsseler Gipfels – die regulären Sitzungen immer wieder unterbrechend – zusammenkam, um die Entscheidungen in kleiner Runde abzustimmen:
o "Die tatsächlichen Entscheidungen in Europa werden nun durch die Frankfurt-Gruppe getroffen, eine nicht gewählte Clique von bis zu acht Personen". Ihr gehören neben Merkel und Sarkozy die IWF-Chefin, der EZB-Präsident, der Präsident der EU-Kommisson, der Vorsitzende der Eurogruppe, der Präsident des Europäischen Rats und der EU-Wirtschafts- und Währungskommissar an. "Diese Gruppe, die niemandem verantwortlich ist, hat in Europa das Sagen", hält der "Guardian" fest. "Diese Clique entscheidet, ob man Griechenland erlauben soll, ein Referendum abzuhalten, und ob und wann Athen die nächste Tranche der Bailout-Mittel bekommt". Die wachsende Entfernung von demokratischen Grundsätzen müsse selbst dann Besorgnis wecken, "wenn man zeigen könnte, dass die ökonomischen Heilmittel der Frankfurt-Gruppe wirken, was sie nicht tun."[10] Der "Guardian" resümiert: "Es ist, als wenn die demokratische Uhr bis zu den Tagen zurückgedreht worden wäre, als Frankreich von den Bourbonen beherrscht wurde."
Weitere Berichte und Hintergrundinformationen zur Euro-Krise und zur fortlaufenden Entdemokratisierung in der EU finden Sie hier: Die deutsche Transferunion, Die Germanisierung Europas, Teilsieg für Deutsch-Europa, Aus der Krise in die Krise, Steil abwärts, Alles muss raus!, Im Mittelpunkt der Proteste, Der Wert des Euro, Die Widersprüche der Krise, Der Krisenprofiteur, In der Gefahrenzone, Erkenntnisse einer neuen Zeit, Souveräne Rechte: Null und nichtig, Die Folgen des Spardiktats, Auf Kollisionskurs, Europa auf deutsche Art (I), Europa auf deutsche Art (II) und Ausgehöhlte Demokratie.
[1] Almut Möller: Kommt jetzt Kerneuropa? In Brüssel wurden die Weichen für eine neue Europäische Union[e] gestellt; DGAPstandpunkt No. 11, November 2011
[2] Ulrike Guérot: Germany in Europe: the politics of disintegration; ecfr.eu 10.11.2011
[3] Bailout to breakup; The Guardian 10.11.2011
[4] Almut Möller: Kommt jetzt Kerneuropa? In Brüssel wurden die Weichen für eine neue Europäische Union[e] gestellt; DGAPstandpunkt No. 11, November 2011
[5] Barroso will Euro-Zone auf alle EU-Mitglieder ausdehnen; www.handelsblatt.com 10.11.2011
[6] Ulrike Guérot: Germany in Europe: the politics of disintegration; ecfr.eu 10.11.2011
[7] Es wird einsam und kalt um Europa; www.sueddeutsche.de 01.11.2011
[8] Ulrike Guérot: Germany in Europe: the politics of disintegration; ecfr.eu 10.11.2011
[9] Mario Monti; www.welt.de 12.11.2011
[10] Larry Elliott: This is no democracy – Europe is being run by a cabal; The Guardian 09.11.2011
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