I britannici hanno votato. Ma il risultato delle elezioni è tutt’altra cosa rispetto al loro voto.
Valanga laburista? I laburisti hanno ricevuto 9,7 milioni di voti, perdendo oltre 500 mila voti sul 2019, e oltre 3 milioni sul 2017, ma sono balzati da 201 a 412 seggi, conquistando una maggioranza assoluta di 174 seggi in più rispetto alle opposizioni, analoga a quella conquistata dal primo governo Blair nel 1997 (418 seggi) con 13,5 milioni di voti. Non c’è neppure stato uno spostamento a sinistra degli elettori (se a sinistra si può collocare il Labour), ma semmai uno a destra: decisivo il successo, in termini di voti, di Reform UK dell’anti-UE e anti-immigrati Nigel Farage che ha ottenuto oltre 4 milioni di voti, il 14,3% del totale, sottraendoli ai Conservatori, che hanno dimezzato i propri voti da quasi 14 milioni a 6,6 milioni, crollando da 373 a 121 seggi: una debacle.
Ha contribuito anche il crollo dello Scottish National Party, che ha perso mezzo milione di voti e 39 seggi su 48, in buona parte a favore del Labour. Parte dei voti in uscita da Conservatori e Laburisti, oltre che all’astensione (+3,2 milioni) e a Reform è andata ai Verdi e ai candidati Indipendenti. Il sistema elettorale maggioritario che in ogni collegio elettorale elegge solo il primo arrivato, senza ballottaggio, ha dato al un partito laburista il 63% dei seggi a fronte del 34% dei voti… Ma se sommiamo i voti di Conservatori e Reform UK otteniamo il 38%.
Le intenzioni di voto espresse il giorno prima del voto mostrano anche per questa tornata elettorale poca differenza tra diversi strati sociali, mentre più marcata è la differenza per età, con il 47% dei giovani fino a 24 anni pro-Labour (in calo rispetto al 60% e più di qualche mese prima), e solo il 15% pro-conservatori, mentre gli over-65, hanno votato conservatore per il 40% (più il 17% a Reform) e solo 24% Labour.
Nessuna “valanga laburista”, quindi, ma abbandono dei conservatori dopo 14 anni di governo. Secondo un’indagine condotta da YouGov pochi giorni prima del voto, il 48% di chi intendeva votare Labour lo faceva “per liberarsi dei conservatori”, e solo il 5% perché condivideva il programma laburista… Al “successo” laburista hanno contribuito alcuni mass media come il tabloid “popolare” (nel senso del sensazionalismo tutto immagini e titoli) The Sun del magnate australiano Murdoch, che dopo aver pilotato l’ascesa dei Conservatori li ha attaccati negli ultimi mesi favorendo, più che lo spostamento verso i laburisti, quello verso Reform.
Va inoltre notato un forte aumento dell’astensionismo, + 7,8 punti sul 2019, con una partecipazione al voto scesa al 59,75% degli elettori, la più bassa dal 1885, dopo quella del 2001. C’è quindi un netto contrasto tra il comportamento degli elettori, che hanno mostrato una minore fiducia nel voto e nei due maggiori partiti, e la traduzione parlamentare del voto che ha dato una schiacciante maggioranza al partito laburista di Keir Starmer, ben visto dai capitalisti.
Ma c’è un altro aspetto, per quanto limitato, del voto, che ha mostrato fenomeni controcorrente: il successo di diversi candidati indipendenti, con 6 di essi eletti, di cui 4 professionisti di origine pachistana, che si sono impegnati nelle proteste pro-Palestina, rompendo in un caso con il Labour e in un altro con i Liberaldemocratici, e hanno battuto i candidati laburisti in circoscrizioni con forte componente di immigrati. Uno di essi, il medico oculista Shockat Adam, si è presentato con una piattaforma di tipo pacifista anche rispetto a Ucraina, Sudan e Congo, e per il rafforzamento e gratuità del sistema sanitario. Lo stesso ex leader laburista di sinistra Jeremy Corbyn, escluso dalle candidature del partito, e contrario anche all’invio di armi all’Ucraina, è stato eletto a Londra con quasi il 50% dei voti, e con una partecipazione del 67%, superando di gran lunga il candidato laburista (e anche i voti ricevuti dallo stesso Keir Starmer). Questo significa che parte dell’astensione non è apatia, ma richiesta di posizioni più radicali contro il sistema.
Il nuovo governo si è subito messo all’opera, “scoprendo” che i conservatori hanno lasciato le finanze in dissesto – cosa che darà l’alibi per dire che mancano le risorse pubbliche per mantenere tutte le promesse con fondi pubblici, e si dovrà fare ricorso al finanziamento privato secondo il modello PFI (Private Finance Initiative): appalto di opere pubbliche a gruppi finanziari, ai quali vengono assicurati profitti per decenni attraverso la fornitura di servizi a tariffe di favore – avviato da Mayor nel 1992 e ampliato dal governo di Tony Blair a metà degli anni ’90. Questo metodo, introdotto anche in Italia – si pensi alle autostrade ma anche agli ospedali –fa di servizi pubblici come scuola e sanità un business che assicura lauti profitti ai privati, aumentando il costo dei servizi sociali. I vari governi britannici hanno utilizzato i PFI anche per la raccolta rifiuti,le abitazioni “popolari”, caserme e prigioni, e ora i laburisti vogliono aprire il mercato della “transizione verde”.
Un’inchiesta che riproduciamo a parte di openDemocracy, un’associazione che vorrebbe una impossibile democrazia parlamentare dal basso nel capitalismo, rivela che da un anno, da quando con la caduta del governo di Liz Truss è risultato evidente che i conservatori erano destinati alla sconfitta, tutte le grandi imprese hanno inviato i loro lobbisti a “istruire” i politici laburisti nella stesura dei programmi di governo: dalle società finanziarie della City ai produttori di armi (inclusa Leonardo): il programma di governo è stato steso in stretta collaborazione, se non sotto dettatura, dei maggiori gruppi finanziari, dei servizi e industriali del Regno Unito.
Per questo organi di stampa tradizionalmente pro-conservatori, come il citato The Sun, hanno aperto al Labour e favorito la fuga di voti dai Conservatori a Reform UK.
Un altro campo nel quale i nuovi ministri si sono subito messi all’opera è lo svincolo anche di parte delle “cinture verdi” intorno alle città, che verranno aperte all’urbanizzazione con le nuove leggi sui piani regolatori, oltre alle aree industriali dismesse. Sulla carta c’è la costruzione di 1,5 milioni di nuove abitazioni in 5 anni, anche con la costruzione di nuove città, che dovrebbe contenere i valori giunti a livelli stratosferici della rendita immobiliare delle maggiori città, Londra in primis. Enormi interessi sono in ballo: se un ettaro di terreno agricolo vale £25.000, una volta reso edificabile ne varrà £ 1,95 milioni. Applausi dalle associazioni dei costruttori che vedono aprirsi un enorme business, osteggiate dai proprietari immobiliari che temono il ridursi delle proprie rendite.
Il Partito Laburista, costituito all’inizio del secolo scorso dai maggiori sindacati, e che formalmente ancora si presenta come espressione del “lavoro”, con gli undici sindacati affiliati che ancora hanno statutariamente il diritto ad esprimere il 50% dei delegati al congresso annuale (era l’80% fino a fine anni ’90), porterà avanti in realtà un programma dettato dal grande capitale. È una prova ulteriore della profonda integrazione delle stesse burocrazie sindacali nel sistema capitalistico e nello Stato, come in tutti i paesi capitalistici avanzati, nonostante condizioni dei lavoratori britannici che vedono un progressivo peggioramento, ben lontane da quelle delle aristocrazie operaie della Gran Bretagna imperiale.
Il partito laburista è da decenni un partito borghese dell’imperialismo britannico a tutti gli effetti, come dimostra anche l’esordio di Starmer al vertice NATO di Washington, dove ha confermato le posizioni guerrafondaie del suo predecessore. Ed è sempre meno un partito operaio-borghese, anche dal punto di vista elettorale, perché quasi 4 lavoratori su 5 non sono organizzati in sindacati, e nelle intenzioni di voto (di coloro che intendevano votare) gli strati a più basso redito hanno espresso una propensione per il Labour (39%) comunque minoritaria e solo di 3 punti superiore agli strati con reddito sopra la media. Il Labour è così organicamente legato agli interessi borghesi che i tentativi delle organizzazioni della sinistra britannica tese a spostarne a sinistra l’asse partecipando ai suoi congressi tramite le trade union sono destinati a fallire come nel passato, distogliendo i comunisti dal lavoro per separare da e contrapporre a il Labour i lavoratori più coscienti in senso anticapitalista. Anche le organizzazioni della sinistra che non praticano l’entrismo nel Partito Laburista, alimentando l’illusione che il Labour possa essere recuperato a posizioni di classe disperdono energie di classe che dovrebbero essere dirette verso la costruzione di un partito alternativo, rivoluzionario. Il che non significa che, a fronte di un ciclo di forti lotte operaie, il partito laburista non possa cavalcarle per mantenere il controllo sui sindacati.
Non c’è da aspettarsi che Starmer abroghi le leggi antisindacali varate dai tempi della sconfitta del grande sciopero dei minatori nel 1985 sotto il governo di Margareth Thatcher, che i governi Blair hanno mantenuto, e neppure le nuove leggi anti-sciopero, con l’imposizione di servizi minimi nei trasporti, sanità, ecc. da parte dell’ultimo governo Sunak, né che abroghi il limite di due figli per gli assegni familiari, introdotto dai conservatori, che penalizza fortemente le famiglie numerose, per lo più di immigrati, una misura discriminatoria di chiara impronta razzista.
Il successo di alcuni candidati indipendenti di opposizione, e le partecipate dimostrazioni per la Palestina, insieme all’aumento delle astensioni, al permanere di un fitto calendario di scioperi nei trasporti, sanità, e altri servizi, e all’assenza di illusioni sul nuovo governo da parte di settori combattivi della classe, indicano l’esistenza di una opposizione sociale e politica che non emerge dal dato elettorale complessivo. Come in Italia, questa opposizione dovrà esprimersi chiaramente demolendo definitivamente le residue aspettative di parte dei lavoratori e dei giovani per rafforzare una opposizione di classe e internazionalista al nuovo governo della borghesia britannica e alla sua politica di guerra.
Solo sulla base di una decisa opposizione “disfattista” alla politica di guerra del governo Starmer sarà possibile far crescere anche in Gran Bretagna le posizioni internazionaliste, e contribuire agli sforzi per la formazione di un “campo proletario” internazionale contro il “nemico in casa propria” appartenente al vecchio campo imperialista occidentale e contro quello in formazione ad Oriente.
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