In questo weekend elettorale per eccellenza (elezioni europee, presidenziali in Ucraina (25 maggio) e Egitto (26 e 27 magio), due elementi accomuna Ucraina ed Egitto: l’esito scontato (Al Sissi per l’Egitto, il re del cioccolato Poroshenko per l’Ucraina) e la probabile bassa affluenza alle urne. Un ipocrita rito democraticistico queste elezioni, che semplicemente devono legittimare lo status quo dei rapporti di potere.
Gli exit poll a lui più favorevoli accreditano Poroshenko del 57,31% dei voti, ma c’è guerra sulla percentuale dei votanti, si va dal 40,32 a “circa il 60%” . Inoltre poiché i 5 milioni di elettori dell’Est di fatto non hanno votato, gli aventi diritto si riducono da 36 a 31 milioni. Non è chiaro su che base sono calcolati i votanti. Gli altri candidati di peso, cioè Julia Timoshenko e Oleg Lyashko si trovano a diverse lunghezze dal vincitore (12,9% e 8% dei voti validi). Modestissimo il risultato elettorale del candidato di Pravy Sector (0,9%)
Ancor prima di conoscere i risultati era scontato che la stampa occidentale lo considerasse un referendum democratico della vera Ucraina e i separatisti ne denunciassero la falsità; ma Putin si è dichiarato disponibile a trattare con l’eventuale eletto .
Il programma di Poroshenko non presenta svolte di rilievo rispetto al governo attuale: Poroshenko si è dichiarato contrario a un’Ucraina federativa, ribadendo che sarà uno stato unitario, che non riconoscerà l’annessione della Crimea alla Russia, procederà nel percorso di integrazione con la UE .
Resta l’incognita dell’operazione militare di Kiev per sottomettere le repubbliche separatiste, per ora inconcludente, ma che produce sempre più vittime e rancori.
Ma Poroshenko non è alla sua prima esperienza politica, è in parlamento dal 1998, è stato ministro degli esteri (2009-10) e ministro dell’economia, oltre che responsabile della Sicurezza Nazionale e della difesa. Si è già dimostrato un negoziatore pragmatico (NYT 26 maggio), ha solidi legami con l’elite degli affari in Russia e ha persino una nuora russa. Le dichiarazioni bellicose potrebbero essere quindi solo una premessa per l’inizio delle trattative con la Russia. Del resto ha dichiarato alla Novaya Gazeta che Euromaidan segnava ul distacco non dalla Russia, ma dall’Urss. (The Guardian 25 maggio). D’altro canto parla fluentemente inglese e in tempi non sospetti ha dichiarato di essere favorevole a un allargamento della Nato; inoltre non è legato, per i suoi affari né all’energia, né all’industria siderurgica, né al settore armi, i più condizionati dal pregresso rapporto economico con la Russia. Ma da buon oligarca i suoi affari spaziano dai dolci ai cantieri navali, dall’edilizia ai media. E da autentico uomo d’affari ha ben presente che la UE può essere il partner giusto per fare investimenti in Ucraina, ammodernare gli impianti, svecchiare la burocrazia, ridurre il costo parassitario della corruzione.
Del resto la presa di posizione ufficiale di Akhematov, il boss dell’est, contro i separatisti potrebbe dare la misura e il dosaggio del compromesso possibile con la Russia e coi russofili dell’est, compromesso misurabile nel grado di autonomia concedibile alle regioni dell’est in rivolta.
Il fatto che Poroshenko abbia in passato collaborato con Yanukovich si colloca invece nella tradizione di trasformismo e doppiogiochismo della classe dirigente ucraina. In più Poroshenko può esibire solidi legami con la Chiesa ortodossa, ha generosamente finanziato monasteri e opere di carità, è un assiduo praticante. Una carta che potrebbe giocare nei confronti dei filorussi. Un altro vantaggio è che non è mai stato coinvolto in scandali per corruzione.
Non c’è discontinuità soprattutto dal punto di vista di classe: ancora un oligarca al potere, che ha l’appoggio di alcuni oligarchi, fra cui il corrotto Dmytro Firtash, e di alcuni membri della nomenclatura come Serghey Liovochkin, ex collaboratore di Yanukovich), e questo non potrà non condizionarlo.
Il governo di Kiev, nato da una rivolta armata guidata in gran parte da forze neonaziste e xenofobe, è ora in mano a un nuovo presidente eletto che inaugura il proprio regno intensificando la sanguinosa offensiva contro i separatisti. Quali che siano i risultati di eventuali negoziati con la Russia, per i lavoratori non c’è speranza di riscatto né in nuovi governi borghesi né in secessionismi; nelle trattative come nelle offensive militari, essi restano massa di manovra per gli interessi della borghesia. Ma proprio in Ucraina i proletari passano alla controffensiva: dall’11 maggio a Krivoy Rog, nell’Ucraina sud-orientale, i minatori sono in lotta per rivendicare aumenti salariali, appoggiati fra gli altri dall’unione socialista “Opposizione di Sinistra”. La speranza è che da questa lotta non solo maturi una chiara coscienza di classe, ma anche che nasca un’organizzazione in grado di abbattere il sistema che produce guerre, sfruttamento e repressione.
Comunisti per l’Organizzazione di Classe