Con l’annunciato ritiro delle truppe americane dalla Siria giunge a un epilogo la breve storia dell’indipendenza dei curdi di Siria.
I curdi di Siria, già considerati dei paria in gran parte privi di cittadinanza sotto Assad, avevano acquisito una relativa autonomia quando, all’inizio della guerra civile siriana, il regime aveva ritirato le truppe per schierarle contro le varie armate “ribelli”. Assad contava sul fatto che altri (la Turchia) avrebbero impedito ai curdi di conquistare l’indipendenza.
Abbiamo reso onore all’eroismo con cui gli abitanti di Kobane, uomini e donne, difesero la città dall’attacco di forze superiori dell’ISIS, appoggiate dalla Turchia.
Diversamente dalle province curde irachene, dove una borghesia avida di petrolio è passata alla repressione dei proletari e delle altre etnie non appena ottenuta l’autonomia all’ombra delle armi americane, abbiamo visto con simpatia la costituzione di cantoni indipendenti nel Nord della Siria, che in questi anni hanno costituito isole illuminate dal sole in mezzo al mare tempestoso di barbarie, di odi e di massacri cui è stata ridotto il paese. Cantoni a carattere multietnico, non confessionale e democratico, con parità di diritti e di ruoli delle donne, con relativa libertà di espressione e associazione, e una forte solidarietà popolare anche se non l’abolizione delle disuguaglianze sociali. Queste isole illuminate dal sole hanno attratto l’attenzione e gli entusiasmi e le speranze di migliaia di giovani in Europa e oltre, molti dei quali hanno voluto portare il proprio contributo fattivo a sostegno di quell’esperimento sociale e politico, contro le forze della reazione più oscurantista, locale e internazionale.
Ma in mancanza del sostegno di un fronte internazionale proletario e internazionalista, non era pensabile che le popolazioni curde di Siria, abitanti di regioni relativamente povere e industrialmente arretrate, circondati a 360 gradi da armate reazionarie, potessero non diciamo rovesciare e superare i rapporti sociali capitalistici con una rivoluzione proletaria, ma neanche solo mantenere l’indipendenza con le proprie forze. Per questo non hanno trovato altra soluzione che appoggiarsi agli americani. Dopo aver profuso inutilmente denaro per fare di alcune bande islamiche della Free Syrian Army i propri mercenari (sauditi, emirati qatarini potevano offrire di più), gli americani hanno individuato nell’esercito curdo YPG, disciplinato e coalizzato con milizie arabe nelle SDF (Forze Democratiche Siriane), le truppe affidabili (in quanto necessitavano delle armi e della logistica americane) per le operazioni militari con cui hanno preso controllo della Siria nord-orientale da cui avevano cacciato l’ISIS: scarponi sul terreno per conquistarsi un posto al tavolo delle trattative. Ma Russia, Iran e Turchia (+ Assad) hanno escluso l’America dal tavolo di Astana.
Il sostegno ai curdi significava inoltre per gli USA scavare un solco sempre più profondo con la Turchia, che nell’esistenza di un Kurdistan con un proprio esercito ai propri confini vede una minaccia all’ “unità nazionale” ossia al dominio turco sui vasti territori a maggioranza curda. Per questo la Turchia si è avvicinata alla Russia (da cui ha comprato armi) e all’Iran, ottenendo subito in cambio l’abbandono russo dei curdi di Afrin all’occupazione militare e repressione turca (con massacri e violenze). Ora anche Trump come già Putin sceglie di sacrificare i curdi alla Turchia (sta anche trattando per l’estradizione del nemico giurato di Erdogan, Gülen) per riconquistare un’influenza su di essa.
Trump non aveva ancora terminato l’annuncio del ritiro – deciso contro il parere del Pentagono, e al prezzo delle dimissioni del Segretario alla Difesa Mattis – che Erdogan faceva partire blindati e carri per l’offensiva contro i “terroristi” della Rojava, mentre in campo americano si parlava di disarmo dei curdi. Abbandonati dagli americani, per non fare la fine di Afrin in pasto ai turchi, ai curdi della Rojava non restava che chiedere la protezione del vecchio oppressore Assad. Che in questo modo potrà chiudere il cerchio della riconquista territoriale. È facile immaginare che le condizioni saranno lo scioglimento dell’esercito YPG, lo smembramento della Rojava in più province senza continuità territoriale, una limitata autonomia amministrativa locale.
Prevedibilmente, una libertà che dipendeva dall’interesse e dai calcoli della più grande potenza imperialista è durata solo fino a tanto che a questa è servita. Una lezione per tutti i popoli oppressi, e per il proletariato internazionale. Ogni “scelta di campo” tra le potenze significa asservimento e repressione futura. Occorre che i lavoratori e tutti i proletari, dai paesi a capitalismo avanzato a quelli più arretrati, si organizzino come classe e creino un fronte proletario internazionale contro tutti gli sfruttatori e i loro Stati, a partire da quelli di casa propria. Questa è la nostra “scelta di campo”.