Quando si parla di IT, Information Technology, si pensa ad un settore in grado di facilitare ed accelerare oltre alla comunicazione-informazione anche l’organizzazione sociale e con essa in generale il benessere delle persone. Questo secondo effetto in realtà non esiste. Lo dimostrano da una parte la tendenza, proprio grazie a queste tecnologie, dell’insieme dell’economia ai tagli occupazionali prodotti dall’aumento della produttività e dalla riduzione dei costi del capitale fisso investito, e dall’altro le condizioni di lavoro e retributive del settore stesso.
Condizioni a cui in Italia si stanno ribellando i lavoratori delle telecomunicazioni, e in particolare quelli dei Call Center.
È da due anni che non viene rinnovato il CCNL del settore e i salari non vengono aumentati da 28 mesi.
Dopo la rottura, a fine 2016, delle trattative tra Assotelecomunicazioni-Asstel e le rappresentanze sindacali di settore sul rinnovo del contratto, è stato proclamato per il 1° febbraio uno sciopero nazionale che ha visto una serie di manifestazioni in diverse città, da Milano, a Torino, a Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Cagliari, Catania, etc. L’adesione allo sciopero avrebbe raggiunto punte dell’80% (dati SLC-CGIL).
Le telecomunicazioni sono un settore ad alta intensità di forza lavoro,[1] sarebbero 130 000 gli addetti complessivi,[2] a cui si aggiungono i dipendenti dei call center. Alta intensità di lavoro è un termine tecnico un po’ astruso, ma che nel concreto non significa altro che gli investimenti per il capitale fisso (impianti, apparecchiature, strumenti, etc.) che il padrone deve ammortizzare sono relativamente bassi rispetto al numero di lavoratori impiegati; per questo il tasso di profitto che il padrone ne ricava è alto.
Oltre ai dipendenti con “contratto” nelle tlc, come abbiamo detto, ci sono quelli dei call center, il cui numero sarebbe attorno agli 80 000.[3] Chi sono questi lavoratori? Li conosciamo in genere perché entrano nelle nostre case chiamandoci all’ora dei pasti, e per questo rischiano spesso un congedo brusco, poco solidale con la loro condizione di lavoratori altamente precari che lavorano 6 giorni la settimana, ad orario continuato che spesso giunge alle 10 ore giornaliere, con contratti dichiarati come collaborazioni occasionali e pagamento in voucher, voucher che facilitano di per sé l’utilizzo di lavoro in nero; periodi di prova non retribuiti e corsi di formazione obbligatori.
Leggiamo su un esposto del 2014 del Sindacato lavoratori della Comunicazione (SLC) CGIL di Taranto «a San Giorgio Jonico esiste un call center, che lavora per Fastweb e Vodafone, in cui i lavoratori firmano un contratto in cui si sancisce che il collaboratore viene pagato 1 euro lordo per ogni contatto utile prodotto in un’ora fino a un massimo di cinque contatti all’ora. Quindi se un lavoratore in gamba riesce a trovare sei contatti utili, cioè sei utenti disposti a valutare l’offerta commerciale, il sesto non viene pagato. Ma ancora peggio è che se in un’ora non riesce a trovare contatti utili quel lavoratore non sarà pagato».
Il settore dei Call Center è forse quello in cui ai lavoratori vengono riconosciuti meno diritti e che, a causa della forte concorrenza internazionale e delle delocalizzazioni, sta subendo rilevanti tagli occupazionali. Nel primo trimestre 2016 la Cgil calcolava che su ottantamila lavoratori italiani impiegati nei Call Center ci fossero già quasi diecimila licenziamenti, con il rischio di altri dodicimila tagli entro il primo semestre del 2016.[4]
I dipendenti dei Call Center sono considerati i “braccianti del terzo millennio”. La retribuzione media mensile per un part time con 20 ore/settimana è di circa 500-600 euro; per 35 ore settimanali oscilla tra i 700 e i 900 euro; per i tempi pieni con circa 10 anni di anzianità può arrivare al massimo a 1 200 euro.
A questo occorre aggiungere che quasi tutti gli addetti del settore non sono stati assunti con il contratto collettivo delle telecomunicazioni.
Uno dei più importanti call center è Almaviva, venuto alla ribalta delle cronache a fine 2016 per le lotte condotte nel corso dell’anno dai suoi lavoratori contro 1666 licenziamenti e per i diritti.
Anche in questa vertenza la proprietà ha utilizzato l’antica arma della divisione, subita e di fatto accettata dalle burocrazie dei maggiori sindacati di categoria, che invece dovrebbero lavorare ad unire il fronte di lotta. Ce lo spiega il Sindacato è un’altra cosa”: «In primo luogo si è sganciata la situazione di Almaviva da quella di tutto il settore: pur essendo questa l’azienda principale,[5] non si è chiamato ad una mobilitazione generale contro una proposta padronale che comunque inciderà su tutto il comparto. Una mobilitazione generale che avrebbe potuto dare maggior forza alla stessa resistenza in Almaviva. In secondo luogo, si è separato i lavoratori tra le due sedi, Roma e Napoli, accettando di dividere le procedure e quindi mettendole una contro l’altra. Infine, si è isolata la RSU romana: l’unica realtà che aveva dimostrato compattezza e capacità di resistenza davanti al ricatto padronale (votando all’unanimità).» «Tutto questo alla vigilia del rinnovo del ccnl, dove queste soluzioni potranno esser estese e consolidate dal padronato, prendendo proprio esempio da Almaviva. … E’ il modello Marchionne che si rinnova e si estende: ricattare i lavoratori e le lavoratrici, obbligandoli a mettere in gioco anche i propri diritti e ad accettare minor salari per maggior lavoro.» [6]
Ma, anche sotto la minaccia dei licenziamenti, nonostante la complicità e pavidità dei vertici sindacali, il 44% dei lavoratori di Roma ha detto NO all’accordo proposto a dicembre dal ministero. E al ricatto «si stanno opponendo i lavoratori della TIM con scioperi generali, presìdi e manifestazioni in tutta Italia. Ed ora anche i lavoratori di Sky sono in agitazione e hanno discusso, in una prima assemblea, un pacchetto di quattro giornate di sciopero contro 200 esuberi e 300 trasferimenti da Roma a Milano. Per unire queste mobilitazioni, è necessario organizzarsi e porsi degli obiettivi chiari.»[7]
Facciamo nostro questo invito all’unione dei lavoratori, aggiungiamo che essa deve essere realizzata non solo al di là dei confini aziendali, ma anche al di là dei settori di produzione e delle sigle sindacali di appartenenza, facendo leva:
Contratti a tempo indeterminato e salari dignitosi per tutti i lavoratori, i soldi ci sono, lo ha dimostrato il governo con i 20 miliardi di euro trovati in breve tempo per il Monte dei Paschi.
Anche “i braccianti del terzo millennio” stanno comprendendo che solo la lotta paga; che è possibile ribellarsi anche partendo da condizioni di semi-schiavitù. Le dure lotte e alcune vittorie riportate dai facchini della logistica organizzati nel SiCobas lo stanno a dimostrare. E stanno anche a dimostrare che gli “esposti”, gli appelli rivolti al governo per il rispetto delle regole dai sindacati CGIL-CISL-UIL, le espressioni di condanna e di sdegno da parte di alcuni giornali di “sinistra”, tutto questo non porta a nulla senza l’autorganizzazione e soprattutto senza rivendicazioni politiche di classe che respingano qualsiasi discorso di compatibilità aziendale. Le “compatibilità”, la produttività, i costi, tutti argomenti usati da ogni borghesia nazionale per arruolare i lavoratori nella propria contesa con le borghesie di altri paesi concorrenti sul mercato mondiale. Argomenti della classe avversa, argomenti da combattere con i fatti.
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Riportiamo qui l’appello allo sciopero del 1° febbraio del sindacato di base Cobas Telecomunicazioni:
Per un CCNL TLC a tutela di diritti e salario. Basta ricatti, basta sacrifici!
1° Febbraio 2017 – Sciopero Nazionale del settore TLC – Intero turno
Le imprese di Telecomunicazioni attaccano prepotenti. TIM ha disdetto i contratti aziendali tagliando diritti e salario in tutti i comparti e a tutti i livelli inquadramentali; la fusione di Wind con H3G rischia di produrre forti esuberi; Almaviva ricatta lavoratori e sindacati e guadagna tagli al salario, controllo individuale a distanza e 1666 licenziamenti; Comdata e Sky dichiarano esuberi; lo spostamento delle attività di call center all’estero continua inesorabile; non vi sono più remore a dichiarare che diritti, dignità e salario devono essere messi in discussione pena la disoccupazione.
Il Governo soffia sul fuoco della deregolamentazione, sostiene le imprese, non adotta alcun provvedimento che limiti il lavoro all’estero e il continuo ricorso agli appalti sia nelle reti che nei servizi di contact center, anche in caso di commesse pubbliche. Per la prima volta un ammortizzatore sociale (cassa integrazione) viene usato dallo Stato per ricattare i lavoratori Almaviva di Napoli costretti tra tre mesi ad accettare la firma sindacale su tagli al salario e controllo individuale a distanza per evitare il licenziamento altrimenti certo e comunque, probabilmente, solo procrastinato.
Le Organizzazioni Sindacali trattanti sono partite con una piattaforma rivendicativa debole, priva di contenuti, senza alcun miglioramento significativo sulla parte normativa. Per la parte economica i rinnovi contrattuali appena conclusi (Metalmeccanici, Igiene Ambientale, Trasporti Pubblici Locali) introducono aumenti salariali bassi e in buona parte destinati a rimpinguare le casse del Welfare Aziendale (Sanità, Fondi Pensione ecc.) co-gestiti proprio dagli stessi sindacati firmatari. E il prezzo di questi esborsi datoriali è stato, ancora una volta, scaricato sulla pelle dei lavoratori
Tavolo CCNL saltato, settore piegato, famiglie esasperate.
Noi lavoratrici e lavoratori del settore TLC siamo un esercito, composto da quasi centomila donne e uomini. Siamo una forza sociale che crea profitti immensi e fa funzionare, tra mille difficoltà, il sistema delle telecomunicazioni e dei servizi clienti di tutto il paese.
Per difendere ed estendere diritti e salario dobbiamo iniziare a ragionare come soggetto collettivo.
Di fronte a vicende pesanti come in Tim e a vertenze drammatiche come in Almaviva, che fungono da apripista per politiche aziendali e governative di ricatto e ulteriore impoverimento dei lavoratori, la risposta SAREBBE DOVUTA ESSERE DI SETTORE, COMPATTA E DI FERMA OPPOSIZIONE. Sono vicende che riguardano tutti noi da vicino perché il CCNL delle Telecomunicazioni non potrà che esserne specchio.
Ogni vertenza e ogni tragedia sociale si è consumata nell’isolamento, nell’impotenza e nella pace sindacale complessiva del settore, legittimando così di fatto le aziende a proseguire in questa direzione. Serve invece una strategia complessiva di mobilitazione dei lavoratori del settore che inchiodi il governo alle sue responsabilità e limiti lo strapotere delle imprese responsabili di perdite di posti di lavoro, di diritti e di salario.
Per questo COBAS DEL LAVORO PRIVATO, in continuità con quanto accaduto il 13 dicembre scorso, per migliorare il CCNL TLC e per difendere i lavoratori del settore ha proclamato per l’intero turno di lavoro
Sciopero delle Tlc per mercoledì 1 Febbraio 2017!
- Affinché venga modificato l’art.26 sull’orario di lavoro nelle parti che danno piena libertà alle aziende di variare le turnazioni, senza accordo sindacale, limitando l’attuale pesante flessibilità degli orari di lavoro.
- Affinché venga modificato l’art.18 togliendo alle imprese la facoltà di disporre dell’orario di lavoro dei PART-TIME e ripristinando la corresponsione economica della loro eventuale prestazione lavorativa supplementare.
- Per impedire qualsiasi ipotesi di controllo individuale della prestazione lavorativa modificando l’art.57, al fine di garantire la dignità dei lavoratori e lavoratrici e porre un argine all’abuso che i datori di lavoro intendono fare delle modifiche apportate dal Governo Renzi all’art 4 della legge 300/1970.
- Per aumenti salariali dignitosi e reali e per scongiurare il ritorno al cottimo con l’erogazione di premialità in base alla prestazione lavorativa.
- Per richiedere un intervento del governo che limiti sia la delocalizzazione selvaggia all’estero, sia il continuo ricorso agli appalti nelle reti e nei servizi di CONTACT CENTER.
COBAS LAVORO PRIVATO – SETTORE TELECOMUNICAZIONI
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Riportiamo anche l’appello di un comitato dei licenziati di Almaviva:
BASTA RICATTI, BASTA SFRUTTAMENTO!
Siamo i 1666 licenziati di Almaviva Contact di Roma.
Secondo il Governo e la stampa dei suoi amici padroni, saremmo noi i colpevoli del nostro stesso licenziamento e non un’azienda che l’ha sempre voluto, che da anni usa questa minaccia per intascare soldi e commesse pubbliche, che da anni vessa i propri dipendenti e li mette gli uni contro gli altri. Un’azienda che mentre chiude le sedi di Roma e Napoli dove i lavoratori sono più anziani e le costano di più perché hanno ancora dei diritti, non si fa scrupolo di delocalizzare in Romania e chiedere ore di straordinario nelle sedi di Milano e Rende.
L’accordo che Roma ha rifiutato, dopo che il Governo ha fatto la mossa criminale di dividerla da Napoli quando per mesi le vertenze avevano corso insieme, non interrompeva i licenziamenti. Li avrebbe congelati per tre mesi, il tempo necessario a farci accettare condizioni che avrebbero decurtato stipendi già miseri, reso ancora più insopportabile la nostra vita lavorativa vessandoci e umiliandoci. La verità è che l’azienda con la complicità del governo è riuscita ancora una volta ad andare a trattare sul costo del lavoro e sul controllo a distanza. Tutte proposte avanzate dall’associazione padronale di categoria (ASSTEL) per il rinnovo del contratto nazionale dei dipendenti delle telecomunicazioni e che i sindacati in quella sede hanno dichiarato intrattabili!
Questo il bluff per guadagnare tempo, che ha portato su Roma da un esubero di 918 persone alla chiusura del centro di Casal Boccone con 1666 licenziamenti. Il bluff consiste nel facilitare le aziende a cancellare la forza lavoro con più anzianità contrattuale, permettendogli di approfittare con la politica sul lavoro e con leggi inique di settore a vantaggio solo degli imprenditori.
Questa è ormai storia. Una storia purtroppo simile a tante altre nel nostro paese, in cui si moltiplicano i ricatti ai danni dei lavoratori, costretti ad accettare condizioni sempre più umilianti pur di portare a casa uno stipendio. Questa volta però, nonostante le incertezze e i tentennamenti che nessuno può non provare di fronte a situazioni così tragiche, quando la scelta sembra essere quella tra la miseria e il nulla, il copione è stato diverso dal solito: un accordo che non salvava niente ma che campeggiava nei titoli dei giornali ancor prima di essere approvato è stato rifiutato, facendo imbestialire i cosiddetti salvatori della patria. All’improvviso siamo diventati “irresponsaibili”, “masochisti”, quasi terroristi. Perché così viene dipinto in questo paese chi non accetta di essere un servo pur di lavorare.
Ora la nostra lotta va avanti, per conquistare innanzitutto ammortizzatori sociali dignitosi. Ed è una lotta che porteremo avanti tutti uniti perché al di là delle divisioni passate noi ci sentiamo molto vicini, perché questa situazione la viviamo sulla nostra pelle, a differenza di quelli che hanno strumentalizzato le nostre incertezze e difficoltà, di quelli che ci si sono gettati come sciacalli.
Ma soprattutto continua la lotta per il rispetto della dignità di chi lavora. Per questo è il messaggio che abbiamo voluto mandare a tutti i lavoratori, disoccupati, studenti che vivono in questo paese: c’è un limite che non vogliamo più superare, perché bisogna fermare a tutti i costi questa corsa al ribasso che sta distruggendo i nostri diritti, che sta impoverendo tutti noi per arricchire le tasche di pochi.
Per questo ci appelliamo a tutti i lavoratori, a tutte le organizzazioni sociali e culturali di questa città per manifestare con noi SABATO 21 GENNAIO alle 15.00 a Piazza della Repubblica. Perché sentiamo che la nostra lotta è la lotta di tutti.
BASTA RICATTI, BASTA SFRUTTAMENTO!
Comitato 1666 ex Almaviva
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Segnaliamo le prossime manifestazioni dei lavoratori del settore al Festival di Sanremo sabato 11 febbraio:
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[1] Dal Rapporto ASSTEL-TELECOMUNICAZIONI 2015, risultava che nel 2014, “l’incidenza del costo del personale Italia sul totale costi è pari al 72% e sul totale ricavi è pari al 67% (con realtà che arrivano anche a più dell’80% dei ricavi).
[2] Sole24Ore, 24.12.2016
[3] Dati SLC CGIL
[4] L’Espresso, 17.03.2016
[5] Con 45.000 persone, di cui 13.000 in Italia e 32.000 all’estero, Almaviva è il sesto gruppo privato italiano per numero di occupati al mondo con un fatturato nel 2015 pari a 709 milioni di euro. A livello globale, Almaviva conta 38 sedi in Italia e 21 all’estero, con un’importante presenza in Brasile, oltre che negli Stati Uniti, Cina, Colombia, Tunisia, Sudafrica, Romania e a Bruxelles, centro nevralgico della UE. [dal sito di Almaviva: http://www.almaviva.it/IT/ChiSiamo/Pagine/default.aspx]
[6] Sincadatoaltracosa, 28.12.2016
[7] Ibid