L’assassinio del ricercatore friulano Giulio Regeni al Cairo, che ci indigna e rattrista profondamente, apre un doloroso squarcio sui sistemi di sfruttamento e spietata oppressione dei regimi mediorientali come in gran parte dei paesi “emergenti” e in via di sviluppo, ma anche sulle complicità dei paesi imperialisti, Italia in testa, al di là delle proteste ufficiali.
Le circostanze dell’assassinio nel corso o dopo bestiali torture (leggiamo di 31 ossa fratturate, bruciature su tutto il corpo, ferite da taglio, un orecchio mozzato, trauma cranico) sono ormai certe. Giulio, che studiava il movimento operaio indipendente egiziano, sarebbe stato arrestato insieme a una quarantina di oppositori egiziani che si preparavano ad organizzare proteste nel quinto anniversario (25 gennaio) delle grandi proteste di piazza Tahrir e doveva intervistare attivisti sindacali di Giza, uno dei centri delle lotte operaie. Le cronache riferiscono del centro del Cairo semideserto e pullulante di poliziotti che perquisivano tutti i passanti alle stazioni del metrò per prevenire ogni forma di protesta. Giulio era da tempo sorvegliato per i suoi contatti con lavoratori esponenti dei sindacati indipendenti, duramente contrastati dal governo perché collegati con militanti dell’opposizione di sinistra.
Non è un caso che 55 di queste organizzazioni indipendenti si erano rivolte al Consiglio Nazionale per i Diritti Umani contro una circolare governativa che dava indicazione di trattare solo con il sindacato ufficiale ETUF, dando ampio spazio mediatico, e di boicottare i sindacati indipendenti che stavano organizzando ampie proteste nel settore pubblico. In fondo è la stessa politica portata avanti dai governi italiani con la vecchia “concertazione” con i sindacati confederali, e con le leggi su rappresentanza e scioperi in preparazione, che mirano a dare ai confederali il monopolio della rappresentanza e a impedire e punire l’effettuazione di scioperi da parte di organizzazioni indipendenti dei lavoratori. L’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014, sottoscritto anche da diversi “sindacati di base” anticipa questa politica di regime.
Sono state le lotte operaie ad avviare la primavera araba, e ogni governo borghese vede nell’organizzazione indipendente degli operai la principale minaccia al dominio di classe. Ancora lo scorso novembre i 17 mila operai della fabbrica tessile Misr di Mahalla, il più grande stabilimento del paese, hanno effettuato 11 giorni sciopero sfidando l’ultimatum del Ministro del Lavoro, riprendendo il lavoro solo dopo la firma su un aumento del 10% del salario, retroattivo da luglio. Ma quasi ovunque gli scioperi sono seguiti da arresti e condanne degli organizzatori.
La repressione delle lotte operaie in Egitto è aperta e sistematica, con innumerevoli arresti di attivisti sindacali e oppositori, spesso senza seguire neppure le procedure legali, da parte di tutti i governi, sotto Mubarak come sotto Morsi e ora al Sisi, che al momento di andare al potere si era presentato come difensore dei diritti sindacali soppressi dal predecessore. Nel 2015 ci sono state 314 sparizioni documentate di oppositori, di cui almeno 5 ritrovati in obitorio; più 35 in questo primo scorcio di 2016, di cui due trovati morti. Il generale al Sisi non solo garantisce alla borghesia privata egiziana e internazionale l’esercizio di un brutale sfruttamento, rappresenta direttamente il capitale di Stato egiziano, di proprietà dei militari, che controllano oltre un terzo dell’economia del paese, esercitando quindi direttamente lo sfruttamento sulla parte più concentrata del proletariato egiziano.
È ironico che l’assassinio di Giulio Regeni sia venuto alla luce mentre una delegazione di 60 industriali italiani guidati dal ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi era in visita in Egitto per firmare contratti di affari con i loro colleghi egiziani. Erano cioè là per prendere parte allo sfruttamento del proletariato egiziano, garantito dalla repressione statale, e per approfittare dei bassissimi salari, in gran parte inferiori ai 100 euro al mese, oltre che della crescita del mercato locale. L’uccisione del ricercatore italiano ha rotto le uova nel paniere alla Guidi e agli industriali, che come il coccodrillo hanno dovuto mostrare indignazione per il sistema di repressione che garantisce i loro profitti.
Per questa complicità oggettiva non saranno le autorità italiane, che ora hanno in mano la salma di Giulio Regeni, ad andare a fondo sul suo assassinio, anche se le versioni ufficiali egiziane, prima l’incidente stradale, ora la delinquenza comune con due arresti, sono palesemente tentativi di depistare e scagionare gli apparati dello stato, i veri responsabili. Poco importa se gli autori delle torture e dell’assassinio abbiano operato su diretta indicazione del governo o abbiano agito maldestramente in autonomia sottovalutando le ripercussioni internazionali, oppure sia stata opera di apparati “deviati” miranti a screditare internazionalmente al Sisi per conto di una frazione rivale. Il fatto è che la repressione antioperaia è una pratica quotidiana del regime egiziano.
Il caso Regeni verrà fatto rientrare anche in un gioco diplomatico che vede l’imperialismo italiano in contrasto con il governo al Sisi sulla Libia, dove gli egiziani sostengono il generale Haftar del governo di Tobruk, mentre l’Italia punta a una mediazione con il governo di Tripoli, vicino ai Fratelli Musulmani. Il governo italiano potrebbe usare l’assassinio per fare pressione sull’Egitto, ma questo non ha nulla a che fare con la nostra opposizione alla repressione antioperaia in Egitto e in tutto il mondo.
L’uccisione di Giulio Regeni sia di sprone per molti altri giovani e militanti ad abbracciare la causa dell’internazionalismo proletario, ad organizzare l’opposizione di classe nel nostro paese e internazionalmente.
Comunisti per l’Organizzazione di Classe