Sull’assalto neo-fascista alla Cgil, il prima e il dopo – Tendenza internazionalista rivoluzionaria

1. A differenza della vulgata di stato e dell’anti-fascismo democratico (o di stato), la protesta di sabato 9 a Roma ha due aspetti che non coincidono: l’attacco neo-fascista alla sede della Cgil, la grossa folla dei manifestanti.

Che l’attacco fosse preordinato, è ovvio. Sia stato preordinato solo da Forza Nuova o no, l’essenziale è che è stata attaccata la sede della Cgil, non quella di Confindustria o del governo, i due poteri che hanno voluto e imposto il “green pass”.

Perché questo bersaglio? Di sicuro per approfondire la divisione tra i lavoratori iscritti a Cgil Cisl e Uil, in larga maggioranza aderenti al programma di vaccinazione, e i lavoratori non vaccinati, molti dei quali non sindacalizzati. Il “green pass” è il mezzo escogitato dal governo Draghi per spingere questi lavoratori alla vaccinazione così da eliminare ogni intralcio alla “ripresa” e per attizzare la divisione tra lavoratori vaccinati e non vaccinati, attribuendo ai padroni la potestà di licenziare anche per ragioni “sanitarie”. Nell’indicare la Cgil come prima responsabile di questa odiosa misura non sanitaria, i falsari di Forza Nuova hanno cercato di rendere ancora più profondo il solco tra proletari vaccinati e non vaccinati tracciato dal governo.

Ma il disegno politico che li ha portati in questa direzione va ben oltre il contingente della pandemia e del no al “green pass”. Forza Nuova, Casa Pound e altri gruppi della galassia neo-fascista, ciascuno con le sue proprie particolarità, puntano a raccogliere consensi, inquadrare e indirizzare in senso reazionario quelle componenti sociali, anche proletarie, che la crisi globale nella quale siamo immersi ha bastonato e gettato allo sbando, riempiendole di paure per il presente e per il futuro, e di risentimenti nei confronti di chi da tempo li ha abbandonati e traditi. In bocca ai figuri che sono alla testa di questi gruppi, fa specie l’accusa di “venduti” ai capi della Cgil; eppure ha il preciso senso di screditare il “comunismo” e l’organizzazione sindacale operaia in quanto tale (benché la Cgil non abbia più nulla a che vedere con ciò), per accreditare altri ideali (i propri) e altre forme di “socialità” (popolar-nazionali). Non da oggi, del resto, il “fascismo del terzo millennio” si veste di panni “sociali”. Alba Dorata è cresciuta distribuendo pasti ai nullatenenti. A Roma come in altre città le forze dell’estrema destra puntano da tempo per il loro reclutamento sulle periferie urbane e sui diseredati. Bisogna dargli atto di avere saputo intercettare l’ampio scontento che la gestione capitalistica della pandemia e la misura del “green pass” hanno creato prima in ristoratori e commercianti, poi in strati di proletari. Non si tratta di dilettanti allo sbaraglio. Né vanno sottovalutate le loro connessioni a livello internazionale, dal momento che l’Internazionale nera, con il suo epicentro negli Stati Uniti nella potente galassia trumpiana, è tutto salvo che una meteora.

Con l’assalto alla sede centrale della Cgil Forza Nuova & Co. hanno fatto il botto, presentandosi, con l’aiuto dell’informazione di regime, come i veri antagonisti dello status quo, i catalizzatori del malessere sociale. Guarda caso, due giorni prima dello sciopero unitario del sindacalismo di base che mancava da un decennio e si candidava proprio a tale compito – sciopero che l’informazione di regime ha opportunamente silenziato, o presentato in modo stravolto come se fosse una semplice prosecuzione delle manifestazioni anti-“green pass”.

2. Ad attaccare la Cgil – l’unico attacco realmente avvenuto sabato a Roma, l’attacco al parlamento e a palazzo Chigi sono frottole – non è stato l’intero corteo, né la maggioranza della manifestazione: è stata una minoranza organizzata molto influente nella piazza. La grande maggioranza della folla si è indirizzata non verso e contro la Cgil, ma verso il centro, dove sono i palazzi del potere politico. Per assaltarli? No. Per farsi sentire, come molti dimostranti hanno rivendicato.

Parliamo di folla, e non di massa, perché i suoi livelli di coesione e di organizzazione erano decisamente scarsi. Lo si è visto anche a Milano dove lo stesso giorno il corteo ha cambiato più volte percorso senza una vera e propria guida, una vera e propria meta. Una folla di individui o di piccoli gruppi amicali, di familiari, colleghi di lavoro, minimi circuiti organizzati, unita dal rifiuto del “green pass”. No vax, li etichetta per lo più la stampa di regime. Come mai, all’improvviso, le scarne piazze No vax sono diventate tanto partecipate e rabbiose? Chi non è accecato dall’antifascismo e dal vaccinismo di stato, ed è ancora in grado di scrutare i fatti realmente accaduti e la loro dinamica, non può non notare che le proteste delle ultime settimane segnano una parziale discontinuità non solo numerica, anche sociale e politica rispetto alle mobilitazioni di alcuni mesi fa.

Una parziale discontinuità sociale perché da quando il 9 agosto la ministra Lamorgese rassicurò i ristoratori con due frasi inequivocabili: “Gli esercenti nonsono tenuti a fare i poliziotti”, “ci potrà essere qualche controllo a campione” (fatto dalle forze dell’ordine), costoro sono scomparsi dalle piazze, e in diversi casi hanno protestato contro i successivi cortei. In piazza, quindi, sono rimasti in larga prevalenza elementi appartenenti ai ceti medi stipendiati (insegnanti, ad es.), lavoratori autonomi più o meno spiantati dalle chiusure, proletari e salariati. Poi, sabato 2 ottobre a Trieste, per la prima volta, sono scesi in piazza centinaia di portuali organizzati e determinati, almeno finora, a scioperare ad oltranza se il “green pass” non sarà ritirato.

Tra le piazze “no vax” e quelle “no green pass” c’è di mezzo l’approvazione da parte del governo Draghi dell’obbligo generalizzato del lasciapassare per andare al lavoro. Non a caso nelle ultime settimane le manifestazioni si sono sempre più caratterizzate come “no green pass”. Solo un furbo camuffamento? Non crediamo. La decisione del governo è stata vista come un sopruso e un ricatto non soltanto da noi, che fin dal primo momento l’abbiamo denunciato, e non soltanto dai proletari non vaccinati, che sono comunque intorno ai 3 milioni. Il riscontro è nel fatto che in tutte le principali città gruppi di operai e di proletari hanno bussato alle porte dei sindacati “di base” per avere protezione da quello che avvertono come l’obbligo di pagare per andare al lavoro, un preavviso di licenziamento o, al minimo, la perdita provvisoria del salario. Né è un caso che i portuali di Trieste abbiano aderito allo sciopero dell’11 (seppure con una motivazione, per noi, troppo angusta) e ci siano stati scioperi operai contro il “green pass” all’Elettrolux di Susegana, alla San Benedetto di Scorzé e altrove proclamati da strutture dell’opposizione in Cgil o del sindacalismo “di base”.

A questo parziale cambiamento di composizione sociale si è accompagnato anche un parziale cambiamento di umore politico. Per qualche mese le piazze “no vax” sono state quasi ovunque egemonizzate dalla presenza consistente e rumorosa di gruppi di destra, e intrise di una brodaglia di individualismi, complottismi, irrazionalismi, etc. Di esse abbiamo detto: non sono le nostre piazze, né piazze che possono diventare nostre – ed è pura allucinazione immaginare che attraverso piazze del genere passi addirittura la ripresa del movimento di classe. Nelle piazze “no green pass” delle ultime settimane qualcosa (senza esagerare) è cambiato anche sul piano politico, perfino a Roma che rimane la piazza più favorevole ai neo-fascisti (vedi l’intervento di stile e contenuto gandhiano-legalitario-costituzionale della vice-questora). La presenza crescente di operai e proletari nelle dimostrazioni ha un peso, ma non è di per sé una garanzia di un orientamento di classe, o per lo meno classista. Tutto è più fluido e complicato. Però, se siamo materialisti e guardiamo alle classi sociali come entità concrete, percorse da contraddizioni, e non meramente ideali, non ci possiamo accontentare di liquidare né le dimostrazioni “no vax”, né – tanto meno – quelle “no green pass” come mere gazzarre reazionarie, senza domandarci come mai hanno attratto un certo numero di proletari/e, non insignificante di questi tempi. E se, come rivoluzionari comunisti, abbiamo qualcosa da dire anche a loro, oppure no.

3. A noi sembra che il messaggio che è arrivato dall’umore profondo dei proletari che a quelle piazze hanno spontaneamente aderito nei mesi scorsi ci riguarda. Anzitutto perché si tratta comunque di contingenti della nostra classe di riferimento, per lo più marginalizzati, usurati, totalmente disorientati, quasi in preda alla disperazione (dei piccolo borghesi declassati ci occuperemo altra volta). E ci riguarda anche perché la percezione diffusa tra di loro è che stia arrivando “dall’alto”, dai “grandi poteri” che governano il mondo, qualcosa di terribile e radicale che costituirà un attentato alle nostre vite e alla nostra libertà/dignità. Marchiare a fuoco un tale sentimento come reazionario in quanto si mescola in modo quasi indecifrabile alle spiegazioni fornite da mestatori o da gruppi di mestatori che impazzano nella galassia “no vax”, sputarci sopra, non è da gente dotata di superiore coscienza di classe, la “pura coscienza operaia” (!?!); è invece essere paurosamente al di sotto della comprensione di come procede quella crisi storica del modo di produzione e riproduzione della vita sociale capitalistico sulla quale si è pronti a giurare. È nutrire un ‘aristocratico’ senso di schifo verso i proletari più schiacciati, e anche sprovvisti sul piano culturale, che si addice ad un’aristocrazia, questa sì, piccolo-borghese, o anche borghese tout-court, à la Manifesto che ha titolato il giorno dopo: “marci su Roma”. Marci tutti i 30 mila, o quanti erano. I sani a Roma sarebbero, invece, i Landini&Co. che se la fanno con Mattarella, Draghi, Pd, Confindustria, Forza Italia, la Lega di Giorgetti (e perché escludere Salvini?, sarebbe maleducato), i 5 Stelle, Calenda, Renzi e… Fratelli d’Italia, con cui si è pronti a fare un fronte “anti-fascista” largo, larghissimo, compresi gli ex-fascisti riverniciati, purché si mettano fuori legge quattro mazzieri di merda. Il fronte unito dei capitalisti e dei partiti borghesi a braccetto con i “rappresentanti” della classe operaia e dei salariati (una rappresentanza sempre meno tale, tra l’altro) nel ruolo di controllori dei lavoratori in nome del supremo pericolo proveniente dai gruppi neo-fascisti. Fa specie vedere quanti all’estrema sinistra si sono precipitati a dirsi pronti a un patto “antifascista” in tutto e per tutto anti-operaio, che porterebbe acqua a quella “pacificazione nazionale”, a quella “unità nazionale” di cui il governo Draghi è espressione, e a cui ormai anche Salvini si appella.

4. L’antifascismo di classe implica, al contrario, la rottura con le forze borghesi, e l’organizzazione della auto-difesa operaia senza nessuna dilazione di tempi – altro che consegnare nelle mani di polizia e magistratura la lotta ai gruppi fascisti e alle nuove agenzie Pinkerton private, che abbiamo visto all’opera negli scorsi mesi alla FedEx contro i facchini del SI Cobas, totalmente libere di colpire e impunite come le squadre di mazzieri assoldati dai padroncini di Prato!

L’assalto alla sede centrale della Cgil è stato adoperato dalle istituzioni statali in crisi di credibilità (basti pensare al livello di astensionismo delle ultime elezioni), per presentarsi come le indispensabili garanti, oltre che della salute, anche della pace sociale, della legalità con l’arresto immediato di alcuni dei caporioni di sabato 9. Gli stessi caporioni che sono stati lasciati liberi di organizzarsi, agire, colpire come e quando hanno voluto, quasi scortati il giorno 9 da polizia e carabinieri. Eppure è proprio al governo Draghi e ai dirigenti di Fratelli d’Italia, che la Cgil di Landini ha aperto le porte, quasi si trattasse anziché di nemici giurati della classe operaia, di suoi protettori. L’attacco fascista è diventato così un’altra occasione di stringersi a coorte con quel governo che gli scioperi dell’11 e del 15 ottobre hanno preso, giustamente, a proprio bersaglio insieme alla Confindustria. E c’è da scommettere che se per caso un giro di vite sarà dato a Forza Nuova e ad altri gruppi neo-fascisti, ne saranno dati almeno due agli “estremisti di sinistra”.

5. I fatti di Roma ci consegnano un doppio compito: rivolgerci da un lato ai lavoratori e alle lavoratrici della Cgil, dall’altro agli stessi lavoratori/lavoratrici catalizzati dalle piazze “no green pass” con un solo, unitario, messaggio di classe riconoscibile, stagliato, nella paurosa confusione del presente – confusione che non appartiene solo ai proletari delle piazze “no green pass”, ma all’insieme della classe (con un numero minuscolo di eccezioni).

Ai primi diciamo: siamo pienamente solidali con voi, bersaglio dell’attacco fascista, come lo siamo noi del resto. Siamo convinti che si debba affrontare la lotta anche ai neo-fascisti, ma non possiamo essere solidali con la burocrazia che vi inquadra e vi sta conducendo al macello. Una burocrazia che, agitando lo spauracchio del fascismo, vi porta a sottomettervi a un regime democratico sempre più dispotico, guidato da sofisticati allievi del vecchio “rozzo” fascismo. “Abbiamo sconfitto il fascismo”, dice Landini, dimenticando che un secolo fa ad aprire le porte al ventennio è stato proprio il patto di pacificazione tra i Landini del tempo, il fascismo ascendente ed i suoi mandanti democratici. Oggi non c’è un nuovo fascismo alle porte. È al potere una Confindustria che parla e agisce come i vecchi padroni delle ferriere. È in atto un autoritarismo democratico altrettanto asservito del fascismo alle necessità imperiose dello sfruttamento del lavoro, razzista, colonialista e guerrafondaio, rappresentato dal governo Draghi. Se non affrontiamo di petto questi grandi poteri nemici che ci tolgono quotidianamente la vita e il respiro, e li prendiamo addirittura per alleati, a che serve una protesta contro i loro tirapiedi neo-fascisti? Se la parte più stabile e in qualche modo organizzata della classe non si fa carico del grande malessere sociale che prova una quantità crescente di vite di proletari/e e di salariati/e sbattute senza tregua di qua e di là, regala ai gruppi neo-fascisti un enorme campo d’azione in cui seminare i propri fiori del male. Sì, quindi, alla comune battaglia antifascista, ma condotta su una linea di classe.

Ai lavoratori e alle lavoratrici catalizzati dalle piazze “no green pass” possiamo dire, invece: anche noi, che riteniamo i vaccini utili a contrastare se non altro gli effetti più gravi del virus, siamo stati dal primo momento contro il “green pass”, in quanto è un’arma messa nelle mani dei padroni per dividere e reprimere i proletari, ed è per giunta pericolosa sul piano sanitario. E però questa lotta la inquadriamo in una più generale lotta al “virus dei virus”, che è il capitalismo. L’attacco che stiamo subendo dai governi e dai padroni passa anche attraverso misure dispotiche e discriminatorie come il “green pass”, ma passa al tempo stesso per la precarietà, lo sfruttamento e le umiliazioni sui posti di lavoro, i salari che perdono potere d’acquisto, le guerre che si stanno preparando, il razzismo e il sessismo con cui ci avvelenano, etc. – come mai i caporioni delle vostre manifestazioni si guardano bene dal parlare di tutto ciò? Anche noi vediamo cataclismi in arrivo, ma per noi non derivano da oscuri complotti di questo o quel settore dei grandi poteri globali, derivano dal declino storico di questo sistema sociale che è sempre più avvolto in un caos distruttivo. Non si tratta, perciò, di salvarci da manipolazioni occulte. La sequenza di virus che attraversa il pianeta non è qualcosa di immaginario, finora si era limitata a colpire duro l’Asia e l’Africa (informatevi!); né è uscita dal laboratorio di qualche dott. Stranamore: è uno dei risultati inevitabili della devastazione ambientale. Per cui, se vogliamo salvarci dal caos crescente e dalla serie di catastrofi capitalistiche in arrivo, lo scontro da condurre è a tutto campo – non ci si può certo limitare a dire no, a torto o a ragione, a certe medicine per esaltarne altre.

La battaglia non ci fa paura, né tanto meno l’attacco vero ai santuari del potere nazionali e globali – lunedì 11 ottobre, per fare un solo esempio, eravamo a Piacenza al blocco del grande magazzino di Amazon, la più potente multinazionale del mondo! Solo vogliamo dare battaglia per noi stessi, una battaglia vera, senza trucchi demagogici, per la liberazione di tutti oppressi e gli sfruttati, per riprenderci davvero la vita, la libertà, la dignità, la felicità, per conquistare un futuro di esseri liberi ed uguali. E questo è possibile solo espropriando ed estirpando dalla faccia della terra il sistema sociale che ci impedisce di goderne: il capitalismo.

Le migliaia di proletari/e e di compagni/e che hanno animato lo sciopero dell’11 ottobre sulla spinta delle lotte della logistica con perno sui proletari immigrati del SI Cobas e dell’Assemblea delle lavoratrici e lavoratori combattivi, il solo polo di opposizione di classe oggi esistente, sono chiamati ad affrontare questi difficili compiti.

14 ottobre

Tendenza internazionalista rivoluzionaria

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