riceviamo e pubblichiamo il seguente report inviatoci da una compagna sulle lotte degli ultimi mesi a Spoleto [Tratto dal prossimo, e unico, numero di RIOT. Giornalino spoletino autoprodotto che verrà stampato nei prossimi giorni]
Il corteo del 16 gennaio
Il 16 gennaio un grande corteo invade le strade di Spoleto. Quattrocento lavoratori e studenti sfilano contro il violento avvitamento della crisi, che i padroni delle principali aziende cittadine hanno imposto ai lavoratori. Ad aprire il corteo sono gli operai della IMS – Industrie Metallurgiche Spoleto (conosciuta in città come ex Pozzi), ma ci sono anche gli operai della Panetto&Petrelli, di Novelli, dello spolettificio di Baiano e molti studenti e solidali. L’iniziativa è stata presa dagli operai della Pozzi, in totale autonomia, scavalcando il sindacato. I lavoratori devono ricevere dal padrone ben quattro stipendi (tre mensilità più la tredicesima). Proprio quella mattina si sarebbe dovuta tenere l’udienza in Tribunale, per dare conto ai diritti dei creditori (i più deboli dei quali sono appunto gli operai). In un primo momento il corteo è stato boicottato da tutti. La Fiom regionale si era detta dispiaciuta di non essere stata coinvolta nell’indizione della manifestazione. Il Consiglio Comunale, per far fallire l’evento, ha indetto una seduta aperta proprio in concomitanza della manifestazione. Lunedì 14 si comincia però a capire che l’evento sarebbe riuscito, così fioccano in un solo giorno le adesioni dei soliti opportunisti (Prc, Sel, che comunica alla stampa che avrebbe sfilato con i capolista delle prossime elezioni), persino i commercianti mandano un messaggio di solidarietà e abbassano le saracinesche durante il corteo.
Mercoledì mattina, davanti alla Stazione, alla fine si presentano tutti: anche i vertici regionali della Cgil, i sindaci di Spoleto e Campello. In tutto circa quattrocento persone sfidano quella che era stata la mattinata più fredda fino a quel momento. Comincia pure a nevicare, ma il corteo parte lo stesso. La rabbia è tanta. Una grandinata di petardi accompagna tutto il percorso del corteo, che si arrampica su per il centro storico. La marcia si ferma per un’ora davanti al Tribunale, è quello il momento più duro; le finestre tremano per gli slogan contro il padrone ed i botti esplodono di continuo. Poi il corteo riparte, in un percorso non previsto, verso il Municipio.
Il padrone non paga, il sindacato dorme. Le giornate di maggio.
La moda di non pagare è iniziata più di due anni fa: i ritardi prima erano di 10 giorni, poi due settimane, tre. La scorsa primavera si era arrivati a 2 mensilità arretrate. Di fronte ad un sindacato che non osava mai mettere in dubbio la parola del padrone, nasce un Comitato spontaneo che organizza una settimana di sciopero, con adesioni praticamente al 100%. Venerdì 4 maggio uno sciopero spontaneo blocca la produzione. Sabato 5 maggio in 200 salgono in corteo fino al municipio e costringono il sindaco ad ascoltarli. Finalmente sabato sera le r.s.u. decino di proclamare lo sciopero ad oltranza, con presidio ai cancelli. Lunedì 6 maggio l’adesione è di nuovo al 100%. Non c’è nemmeno il bisogno del blocco ai cancelli, dato che non ci sono crumiri che vogliono entrare. Il Direttore la mattina cerca di forzare il blocco, investendo due operai che poi cercherà di comprare per evitare denunce. La polizia interviene, ovviamente a difesa del padrone, che riesce ad entrare. Inutilmente dato che la fabbrica è vuota. Martedì 7 maggio il Direttore entra senza problemi, dato l’allentamento del blocco nelle prime ore del mattino, ma è solo nella sua fabbrica. Il presidio serve solo come assemblea cittadina, dato che non ci sono crumiri che cercano di entrare. Il pomeriggio alle 16,30 arriva Cremaschi. Intorno a lui centinaia di operai inscenano una assemblea spontanea dai toni durissimi. Vengono insultati e quasi malmenati le rsu e i capoccia locali della FIOM. Viene raccontato a Cremaschi il ruolo vergognoso del sindacato, i due anni in cui i delegati hanno coperto ogni mancanza da parte del padrone, anche sulla sicurezza. Li invita (ma è un presa d’atto in realtà) a fare un comitato di lotta, dato che non credono più nei sindacati, e gestire collettivamente la vertenza. Mercoledì 8 maggio è il sesto giorno di sciopero. L’adesione è di nuovo al 100%, in fabbrica c’è solo il Direttore con i suoi scagnozzi. Sabato 11 maggio un breve corteo di centinaia di operai interrompe la storica Corsa dei Vaporetti nel centro di Spoleto. Viene imposto allo speaker la lettura di un comunicato del comitato di fabbrica e si cerca di sensibilizzare gli spettatori dell’evento. Molta solidarietà dai passanti.
Estate di cassa integrazione per i “ribelli”
La lotta paga e si recuperano i due stipendi arretrati. Nel frattempo si diffondono pratiche di piccola/grande insubordinazione operaia. Un’assembla sindacale viene trasformata, obtorto collo, in un’assemblea del Comitato di fabbrica, che nasce ufficialmente in quel momento e a cui aderiscono 130 operai su 300. I sindacati imparano la lezione, da quel momento per fare un’assemblea bisogna pregare in aramaico.
Pagano anche i lavoratori. Il Direttor Santoro, dimostrando tutta la sua altezza amministrativa, sciupa tutte le ore di cassa integrazione per tenere a casa quegli operai che si erano resi maggiormente protagonisti delle lotte.
Altro giro, altra corsa. Le giornate di gennaio.
E così si arriva in autunno, con le ore di cassa che stanno per finire. La Fiat, che è il principale cliente delle Industrie Metallurgiche, come è noto è in forte calo di vendite e diminuisce le commissioni. E il padrone ricomincia a non pagare. Per tre mesi non si vede un lira, così come non arriva la tredicesima.
Soltanto il 7 e l’8 gennaio i sindacati si decidono a proclamare 48 ore di sciopero. Martedì 8 infatti è previsto l’incontro presso l’Associazione Industriali con il padrone per la proroga della cassa integrazione esaurita per punire gli operai più duri. Lunedì 7, un corteo spontaneo di 80 operai non autorizzato raggiunge il comune. Martedì 8 una cinquantina di operai, con una decina di “solidali”, va in trasferta a Perugia. All’arrivo all’Associazione Industriali, l’auto di Santoro viene bersagliata di uova. Anche i sindacalisti vengono contestati.
L’incontro si conclude con un nulla di fatto. La Fiom, per una volta giustamente, non firma la proroga della cassa integrazione fino a quando non si vedono i soldi. Il Direttore promette che i soldi arriveranno in quattro rate. Così i sindacalisti gli scappa di affermare che, visto la promessa, si può anche tornare a lavorare. Non lo avessero mai detto: vengono ricoperti di improperi. L’assedio si interrompe solo perché nel frattempo sta uscendo Santoro. La sua auto viene di nuovo bersagliata dalle uova. Questa volta gli viene rovesciato sopra anche un sacco di farina.
Di fatto lo sciopero, legalmente proclamato solo per 48 ore, è ancora in corso. Gli operai non hanno nessuna intenzione di tornare a lavorare gratis. Ci sono delle commesse ordinate dalla Fiat, che non devono uscire. Costi quel che costi. Il 14, giorno del Patrono di Spoleto, gira voce che si sarebbe approfittato della Festa per far uscire le commesse. E così gli operai, invece di fare San Ponziano con i parenti, si costringono anche a questo presidio.
Nel frattempo arriva la notizia che il 16 è fissata l’udienza al Tribunale di Spoleto. E in una settimana si mette in piedi una grandissima manifestazione.
L’ultima infamia del sindacato
Mentre si svolge lo straordinario corteo di cui abbiamo parlato, i sindacalisti, approfittando della distrazione per la partecipazione alla manifestazione, lasciano uscire le commesse della Fiat. La motivazione delle rsu della Fiom è la seguente: era importante per l’azienda. Non hanno ancora capito che gli interessi del padrone non sono i nostri?
Questa è la Fiom: a livello nazionale litiga con Marchionne, ma a Spoleto gli sblocca i cancelli per fargli arrivare i pezzi!