Ancora scontri nelle piazze di più di 85 città dell’Iran, l’ennesima rivolta.
I media occidentali la presentano come una rivolta per i diritti civili, contro il velo, l’oppressione sulle donne. È anche questo naturalmente. Ma quello che si vuol nascondere è la protesta sociale, di classe, che da anni serpeggia nel paese contro una borghesia oppressiva e violenta che si fa “velo” di una ideologia religiosa.
I disordini sono scoppiati dopo la morte in carcere, il 16 settembre, di Masha (Ihina) Amini, una ragazza ventiduenne fermata a causa di un ricciolo che le sfuggiva dal hejab (velo nero), imposto a tutte le donne sopra i nove anni. Masha era una giovane donna, era ribelle, ed era anche curda, membro cioè di una delle minoranze ostili al regime al potere. Non a caso i disordini per la sua morte sono partiti dal Kurdistan che attualmente vede molte città sotto assedio militare (per ora 10 morti e 450 feriti denunciati nel solo Kurdistan) – (nota 1).
Le “Guardie della morale”, che controllano le donne per strada non sono nuove a simili violenze, quindi sarebbe errato leggere questo omicidio di stato come un incidente di percorso, ma sarebbe errato anche vederlo genericamente come una forma di coerente misoginia religiosa (nota 2).
Si opprimono le donne e le minoranze etniche per dividere il fronte di protesta degli oppressi e gli sfruttati. Allo stesso modo gli stati occidentali stentano a impedire le violenze domestiche, in modo che il maschio sfruttato e vessato, invece di prendersela coi suoi sfruttatori, se la possa prendere, con poco danno, come compensazione, con le donne, gli immigrati e le minoranze oppresse. Certo le donne occidentali non sono imbrigliate nel chador, perché lavorano, anzi i loro corpi sono associati alle merci che si vogliono vendere.
Le donne iraniane devono starsene quiete a casa, perché sono concorrenti degli uomini sul lavoro in un paese dove la disoccupazione è in aumento (ricordiamoci che anche il fascismo italiano fece questa operazione, dopo la prima guerra mondiale), anche se molte di loro sono più istruite degli uomini (nota 3).
In questi giorni assieme alle ragazze coraggiose che bruciano il velo in pubblico, sono scesi in piazza studenti, lavoratori a decine di migliaia. È uno scenario ricorrente, con crescente frequenza negli ultimi anni in Iran, dopo la pausa che seguì la “Rivoluzione verde” del 2009. Quello di oggi è il punto di arrivo di un intenso periodo di lotte sociali (cfr. di seguito: Breve sintesi delle proteste recenti). Amina è stata arrestata e uccisa come sono stati arrestati e picchiati, spesso anche uccisi i lavoratori che protestano per i bassi salari e le morti sul lavoro, gli studenti, i sindacalisti, gli avvocati che difendono i lavoratori. In Iran le ragioni di protesta da anni sono la mancanza d’acqua, i continui blackout della elettricità, l’inflazione fuori controllo dei prezzi dei generi di prima necessità, la mancanza di posti di lavoro per i giovani, il degrado dei servizi come scuola e ospedali. Se nel 2017 gli iraniani che vivevano sotto la soglia di povertà erano circa il 18% del totale, secondo dati ufficiali dell’Istituto statistico di stato questo tasso è raddoppiato fra il 2017 e il 2020. In particolare nelle aree periferiche o abitate da minoranze si patisce letteralmente la fame (cfr. Iranwire, 2 nov. 2021)
Il regime è sempre più violento perché non può più usare la carota dei prezzi calmierati sui beni di prima necessità. È un regime le cui risorse economiche, basate principalmente sul petrolio, si stanno assottigliando, dopo decenni di mancati investimenti nel settore dell’estrazione, ma anche sotto il peso del parassitismo, delle clientele e della corruzione.
Khameini e Raisi cercano di addossare la responsabilità delle restrizioni nei consumi e nei servizi solo sulle sanzioni Usa (effettivamente i prezzi delle merci importate sono cresciute esponenzialmente, si calcola del 400% fra il 2019 e il 2021). Le sanzioni hanno il loro peso ovviamente e anche il Covid ha inciso pesantemente. Ma giustamente i manifestanti denunciano i costi abnormi dell’apparato repressivo e soprattutto le enormi spese, militari e non, legate alla presenza in Iraq, Siria, Libano, Yemen ecc.
Secondo le ultime stime disponibili (2019) l’esercito regolare iraniano conta 350 mila uomini (più altrettanti riservisti). A questi si affianco i Guardiani della rivoluzione (IRGC) che contano 120 mila uomini (da soli costano il doppio delle forze armate in stipendi e benefits). Ci sono poi i cosiddetti Basiji, reclutati su base volontaria e calcolati in 12,7 milioni, anche se gli effettivi immediatamente utilizzabili in missioni militari all’estero o di polizia sono più di mezzo milione. Quindi si valuta che in Iran calcolando anche i neonati, c’è un militare ogni 83 cittadini. (Fonte Ispi, 9 aprile 2021). I costi sono secretati ma sono certamente cospicui. Ancora più alti i costi delle missioni all’estero che comprendono corpi di spedizione militari veri e propri, ma anche interventi di addestramento delle forze sciite locali, costruzione di scuole coraniche, distribuzione di beni di consumo alle comunità locali ecc.
Il regime è odiato, ma non è vero quello che affermano alcuni giornali, cioè che “Khamenei e Raisi hanno di fronte 80 milioni di iraniani”. Dirlo significa voler cancellare il carattere di classe del regime, dietro il quale si schierano strati sociali che godono di privilegi che sono disposti a difendere con le unghie e coi denti, anche sparando sulla folla inerme e picchiando a morte una ragazza arrestata.
Il potere di Khamenei è saldamente garantito ideologicamente dal clero sciita, ma militarmente dai Guardiani della Rivoluzione, o Pasdaran, che sono un’ala militare autonoma i cui capi hanno un forte peso nella politica estera, ma che soprattutto sono presenti nei vertici delle Fondazioni, enti statali che controllano le bonyad, le multinazionali di stato iraniane. I Pasdaran controllano banche e la maggior parte del settore immobiliare. Esercitano una ferrea supervisione sulla magistratura e sui mezzi di comunicazione, compreso Internet. Hanno in mano l’istituto pensioni. Appartenere alla Guardia Rivoluzionaria ha consentito a un numero significativo di sottoproletari urbani e di contadini di far carriera,, dal 1979 in poi, di compiere carriere eccezionali, conseguendo vantaggi economici e politici. Un esempio sono Qassem Soleimani, la longa mano iraniana in Iraq, assassinato da agenti Usa, o l’ex presidente Ahmadinejad, che ha sposato la figlia di un ayatollah. Le loro sorti personali si sposano con quelle dei proprietari terrieri e dei bazari (grandi commercianti), dei banchieri e degli industriali. Anche i vertici dell’esercito regolare sono associati alla direzione dell’apparato economico.
Il carattere di classe dell’attuale movimento è confermato anche dalle azioni di lotta, non più solo blocchi stradali, occupazioni di edifici pubblici, incendi di cassonetti, manifestazioni, ma anche incendi di banche (appartenenti alle Guardie della Rivoluzione), accoltellamenti di pasdaran, attacchi alle loro sedi.
Attualmente nonostante la repressione, le proteste si allargano a macchia d’olio. I motivi della protesta, come si è detto, sono complessi, insieme politici, economici e sociali. Vedono scendere in lotta vari strati sociali. Non siamo in grado di valutare se ci sono forze politiche in grado di coordinare le singole azioni e di unificare queste lotte. I lavoratori, le donne, i combattenti iraniani hanno già lasciato sul terreno migliaia di morti, hanno combattuto con il coraggio della disperazione, senza riuscire a scalfire il regime che li opprime. Negli anni è risultato evidente quanto sia inutile affidarsi alle cosiddette frazioni moderate del governo. Da Khatami in poi hanno condotto operazioni “cosmetiche” per rendere meno odioso il regime ma non vogliono, o non possono, mettere in pericolo la struttura del potere. Khamenei lascia loro spazio quando sono utili (ad esempio mentre si negozia con Usa ed Europa sul nucleare o per ottenere l’alleggerimento delle sanzioni), ma non c’è reale contraddizione di classe fra loro. Il cambiamento può arrivare solo dal basso o non sarà.
Se il nostro cuore batte per i rivoluzionari proletari iraniani, la cui lotta è la stessa dei proletari che in tutto il mondo si battono contro lo sfruttamento e l’oppressione, se la nostra speranza è che questo movimento sia capace di mettere solide radici dentro la classe lavoratrice iraniana e affrontare il potere clerical-borghese da una base più solida, dobbiamo constatare che la debolezza organizzativa dei comunisti internazionalisti, in Italia come in altri paesi, non ci permette di dare un apporto di aiuto concreto, di sviluppare lotte che possano affiancare quella dei proletari iraniani. È un’altra prova, mentre in Ucraina infuria la guerra tra imperialismi, dell’urgenza di lavorare per la costituzione di un’area internazionalista, una nuova “sinistra di Zimmerwald” in Italia e nel mondo.
Una breve sintesi delle proteste recenti
Per restare al periodo recente ricordiamo:
Nel 2017-18 Le manifestazioni contro l’insicurezza sociale; in particolare nelle campagne si lamenta la carenza d’acqua legata alla costruzione di enormi dighe che hanno drenato troppa acqua dalle terre a valle dei fiumi Karoon, Maroon, Dez e Karkheh. Una conseguenza evidente è stata anche il prosciugamento delle paludi di Hoor-ol Azim e la distruzione del loro ecosistema. Le manifestazioni sono state chiamate le “rivolte degli assetati”. U altro problema che assilla tutti gli strati più poveri della popolazione, in campagna come in città, sono i continui blackout dell’energia elettrica. Partecipano alle proteste anche i minatori del Golestan, in lutto per i loro 33 compagni morti sul lavoro, e gli operai di una fonderia di Isfahan. I manifestanti abbattono le effigi del clero islamico, bruciano centinaia di moto dei basigi, la milizia del regime, assaltano tribunali, caserme della polizia, prefetture. Le donne chiedono nuove leggi su questioni come il divorzio, la custodia dei figli e il diritto al lavoro e ai viaggi senza l’approvazione di un tutore maschio e contro altre discriminazioni.
Novembre 2019 Proteste contro l’aumento dei prezzi del gasolio. Secondo Amnesty International, sono 321 le persone uccise dalle forze di sicurezza (morti accertati), mentre Reuter li stima in 1.500
Sempre nel 2019, Nasrin Sotoudeh, un avvocato iraniano che difendeva le donne che si toglievano il velo, è stata condannata a 38 anni di carcere e 148 frustate con l’accusa di “collusione contro il sistema” e “insulto” all’ayatollah Khamenei.
Gennaio 2020 Le forze di sicurezza iraniane abbattono un jet uccidendo 176 persone. Le autorità cercarono di farlo sembrare un attentato. L’indignazione contro l’inefficienza che deriva dalle ruberie dei funzionari esplode.
Luglio 2021 La rivolta è di nuovo divampata nel Khuzestan per la mancanza di acqua potabile. La protesta si estende negli stati vicini e arriva nella capitale. Anche nel Kurdistan iraniano si manifesta, la polizia spara direttamente sulla folla. A Karaj le manifestazioni di solidarietà si collegano con lo sciopero dei dipendenti dell’ospedale Khomeini che protestano perché i loro salari non sono pagati con regolarità e per la mancanza di medicine e strumentazioni sanitarie sul lavoro contro il Covid 19. Morti fra i manifestanti (forse 30) e centinaia di arresti, ma anche fra le forze dell’ordine ci sono deceduti e molte delle loro macchine sono state incendiate. Il 6 e 7 settembre 2021 in tutto l’Iran manifestazioni contro i bassi salari e l’inflazione. Stesso scenario dal 9 al 27 novembre. Aumenta il numero delle donne nelle manifestazioni (manca il cibo per i bambini, manca l’acqua da bere). Le proteste sono represse con violenza. Scioperano i dipendenti degli ospedali e degli insegnanti.
Febbraio 2022 Gli insegnanti hanno organizzato proteste in diverse città del paese, a cui si sono uniti i sindacati dei lavoratori, tra cui il Sindacato dei lavoratori di Teheran e Suburbs Bus Azienda. Oltre 80 gli insegnanti arrestati, molti di più malmenati, le loro case perquisite, le famiglie minacciate. Arrestati anche i sindacalisti e gli avvocati scesi in loro difesa. La TV li ha accusati di minacciare la sicurezza del paese e ha descritto le manifestazioni come opera di infiltrati stranieri.
In maggio nel Khuzestan, regione abitata da popolazioni arabe, scoppiamo proteste dopo che un edificio di 10 piani è crollato ad Abadan il 23 maggio, provocando oltre 40 morti. Le autorità pubbliche non avevano esercitato il controllo dovuto sui materiali utilizzati e la stabilità del terreno che non era edificabile, perché le onnipresenti Guardie della Rivoluzione erano coinvolte nell’affare. Sempre in maggio il grano comincia a scarseggiare e i prezzi del pane schizzano alle stelle.
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Note
Nota 1) Si valuta che degli 84 milioni di abitanti in Iran, i persiani siano il 61% (lingua farsi). Prevalgono in grandi città come Teheran, Isfahan, Shiraz, Mashhad. Detengono quasi tutte le cariche governative. Gli azeri sono il 16% (dialetto turco) vivono nel nord ovest, anche loro sono mussulmani sciiti. I curdi, anch’essi concentrati a nord ovest, sono il 10%, lingua propria, per lo più mussulmani sunniti, ma anche cristiani. Il 6% sono pastori nomadi Lurs, Il resto sono arabi, baluchi e turkmeni. Se gli azeri sono abbastanza integrati, le altre etnie vivono in aree prive di infrastrutture (strade, scuole, ospedali) e sono apertamente discriminate.
Nota 2) Il controllo della morale è una manifestazione ipocrita del potere dominante; ad es. la prostituzione è legalizzata nel quadro religioso con la pratica del “matrimonio di un’ora”. Nota 3) Fra i persiani le donne sono il 60% dei laureati (ma sul totale della popolazione sopra i 6 anni il 10% dei maschi e il 18% delle femmine sono analfabeti). La disoccupazione ufficiale tocca il 13%, ma la sottooccupazione è molto diffusa: Raisi ostenta la creazione “di un milione di posti di lavoro” nel suo primo anno di presidenza (ma è solo il recupero del milione perso l’anno prima. Le donne sono il 18% della forza lavoro, ma concentrate nei servizi (scuole, ospedali) e nel lavoro autonomo (piccolo commercio, agricoltura). Il regime lamenta la mancanza di forza lavoro ad alta professionalità, ma il 36% dei laureati è disoccupato.