Situazione sociale in Eritrea

Premessa

Nel 2013 Human Rights Watch intervistò alcuni profughi eritrei che avevano lavorato nel sito minerario di Bisha, a ovest di Asmara. Vi avevano lavorato come arruolati nel servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato, ceduti a una impresa di stato eritrea, la   Segen, che a sua volta aveva fornito questa manodopera all’impresa canadese Nevsun Resources che stava iniziando uno sfruttamento intensivo del sito per estrarvi oro.

Nel 2014 un team di avvocati canadesi decise di presentare alla Nevsun, proprietaria al 60% della Bisha Mining Share Company, una richiesta di risarcimento per maltrattamenti e super sfruttamento, per conto dei profughi eritrei. L’azienda rispose che con il suo investimento forniva “lavori ben retribuiti e intrinsecamente gratificanti per la popolazione locale…”. In realtà i lavoratori ricevevano 1 $ giorno (e il resto della retribuzione andava all’azienda di stato), lavoravano 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, al sole, dormivano in tende senza zanzariere, per cui molti prendevano la malaria, non avevano cibo e acqua in quantità sufficienti.  Poi Nevsun ha riconosciuto che delegare il trattamento dei lavoratori alla Segen era il do ut des per concludere l’affare col governo eritreo. Infine ha tentato di sottrarsi alla denuncia sostenendo che non poteva essere citata in giudizio in Canada per violazione dei diritti umani in un altro paese. La causa è finita sotto l’esame della Corte Suprema della British Columbia che nel marzo 2022 ha dato torto all’azienda sostenendo che si può procedere alla causa di risarcimento.

Una sentenza che è stata definita un “precedente” importante. Ma i profughi eritrei attendono ancora giustizia e gli investitori cinesi, australiani ecc. nelle miniere eritree non sembrano essere stati scoraggiati dal ripercorrere la stessa strada.

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Questo episodio ci serve per inquadrare alcuni aspetti fondamentali dell’Eritrea di oggi i cui presupposti, però, affondano nella sua storia.

Doverosa seconda premessa: tutti i dati statistici riportati nell’articolo sono stime di vari istituti internazionali, non convalidati dal governo eritreo, che da circa 25 anni non esegue analisi di nessun genere. Inoltre, dal 2010 nel paese non ci sono più corrispondenti stranieri e la presenza delle ONG è fortemente ostacolata.

 L’Eritrea è un paese in cui almeno un 40% della popolazione vive da decenni in condizioni di malnutrizione cronica, a causa di guerre, siccità e altri disastri ambientali. Benché il 77% della forza lavoro sia impiegata nell’agricoltura, questa contribuisce solo per il 12% al PIL del paese. Del resto solo il 5% del territorio è coltivabile, il 70% è a pascolo.

Miniere e i porti sul mar Rosso (Massaua e Assab) sono le principali risorse.

Il settore minerario nel 2015 contribuiva al 95% dell’export eritreo ed è fondamentale per il bilancio dello stato. Manca tuttavia una rete adeguata di strade e ferrovie, vitali per permettere al minerale estratto di arrivare ai porti. Iniziato fin dai tempi antichi, accelerato dalla presenza dell’Inghilterra e della Francia nei vicini Somaliland e Gibuti, negli ultimi 10 anni c’è stato un vero e proprio boom dello sfruttamento delle miniere. (nota 1)

Buona parte del lavoro manuale, svolto con strumentazione relativamente primitiva, per costruire strade e per lavorare nelle miniere o nelle imprese agricole e edili dello stato, viene fornito da manodopera coatta. Così è stata costruita l’autostrada costiera di più di 500 km che collega Massawa con Assab.

Il lavoro forzato mascherato da servizio militare è la principale causa recente dell’emigrazione massiccia degli eritrei, le cui rimesse salvano dalla fame buona parte della popolazione rurale e su cui il governo mette una tassa del 2% obbligatoria. La Caritas valutava nel 2019 la diaspora eritrea in 750 mila persone, di cui almeno mezzo milione con lo status di rifugiato politico. Il viaggio dall’Eritrea all’Europa è infernale, ma la situazione in patria è spesso talmente insostenibile che i giovani decidono di tentare comunque la sorte. (https://www.lenius.it/perche-cosi-tanti-eritrei-partono-dalleritrea/ ma anche https://www.amnesty.org/en/documents/afr64/2930/2015/en/)

IL SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO a tempo indeterminato

Il servizio militare obbligatorio fu istituito nel 1995, durante uno scontro militare con lo Yemen, il primo dopo l’indipendenza, ottenuta nel 1993 grazie a trent’anni di guerra contro l’Etiopia di Selassié e Menghistu. (nota 2 – breve storia dell’Eritrea)

Durava 18 mesi e riguardava anche un 30% delle donne (di fatto le donne senza figli). L’appoggio degli strati contadini e urbani del paese alla guerriglia indipendentista era stato cementato dalla mistica del sacrificio per la patria e dell’orgoglio nazionale. Isaias Afwerki, leader dal 1975 del Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (FLPE), era considerato un eroe e un patriota e l’entusiasmo nazionalista era alle stelle.  

Il paese, nei confini di oggi, era stato delineato dal colonialismo italiano. La rivendicazione di essere una nazione era stata portata avanti prima dal FLE (Fronte di Liberazione Eritreo) e poi dall’FLPE, autodefinitosi marxista leninista, fortemente influenzato dai modelli di capitalismo di stato dell’Urss staliniana e dalla Cina maoista, dove Afwerki studiò durante il suo apprendistato politico. Va sottolineato che la guerriglia eritrea fu costantemente sacrificata dalle grandi potenze come Usa e Urss rispetto alla più vantaggiosa prospettiva di fare affari con l’Etiopia. La stessa Cina barattò nel ‘91 una sede diplomatica ad Addis Abeba, in cambio alla rinuncia ad ogni contatto con Asmara. Comprensibile quindi il senso di isolamento, ma anche di essere Davide contro Golia e il poter presentare la propria lotta come l’unica “antimperialista” nell’area.

I militanti “socialisti” eritrei furono chiamati prima a combattere per l’indipendenza e successivamente a difendere i confini del paese e a lavorare per la ricostruzione e lo sviluppo del paese. Le rivendicazioni sociali vennero rimandate a quando lo sviluppo economico le avesse rese sostenibili. Fin dall’inizio Afwerki, temendo la possibile frammentazione per linee religiose o etniche (il paese è diviso in cristiani e mussulmani; sono presenti 9 etnie), magari sobillate dalle potenze imperialiste o regionali, insiste su una direzione laica e fortemente centralizzata.  La conservazione dello Stato e della unità del paese è il primo fine, il nazionalismo più spinto pervade ogni obiettivo. Anche ai sindacati, formalmente autorizzati, ma svuotati di ogni possibilità di agire, viene comunque chiesto di mettere al primo posto gli interessi dello Stato. (https://www-refworld-org.translate.goog/docid/4d4fc80026.html?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=s).

Come nell’Etiopia di Menghistu, la terra viene assegnata in proprietà interamente allo stato, (Land Proclamation del 1994), anche se le comunità di villaggio continuano a usufruirne come in passato. Si tratta tuttavia di una agricoltura di sussistenza, una pastorizia transumante che esaurisce velocemente i magri pascoli.  Le poche imprese del settore alimentare e tessile vengono poste sotto il diretto controllo dello stato e per garantirne i profitti, le importazioni vengono pesantemente tassate.

Una guerra continua per i confini

L’indipendenza infatti non pone davvero fine al periodo di guerra, perché né il governo eritreo né quello etiope di Zenawi accettano davvero i confini coloniali e quindi il periodo successivo è punteggiato da conflitti. Il primo è quello con lo Yemen già citato all’inizio. (nota 3)

Dispute di confine sono poi scoppiate con Gibuti e con il Sudan. Ma le tensioni maggiori hanno riguardato l’Etiopia, con cui è stata combattuta fra 1998 e 2000 una vera e propria guerra, rovinosa per l’Eritrea. Con l’Etiopia rimaneva aperto il problema di come consentire ad Addis Abeba l’accesso ai porti, di una eventuale prosecuzione dell’integrazione economica (magari allargata al Sudan), attraverso una specie di mercato comune ( ma gli eritrei temevano che questo significasse l’invasione dei prodotti etiopi a danno della loro fragile, modesta industria), e appunto grossi problemi di confine. (nota 4) L’accettazione dei due paesi della reciproca valenza di “nazione”, implicava infatti inevitabilmente, in particolare in Etiopia, la repressione o comunque la neutralizzazione delle rivendicazioni etniche altre rispetto a quella dominante Tigrina. Si veda il caso degli Afar e dei Dandali, divisi fra Eritrea Etiopia e Gibuti. Il contesto internazionale poi consentiva a tutte le potenze imperialiste e regionali di “giocare” sui contrasti etnici per combattere sul suolo del Corno d’Africa guerre per procura. La disintegrazione della Somalia che di lì a poco diventerà un fatto conclamato sarà sempre lì a ricordarlo, alimentando le spinte repressive e centralizzatrici del gruppo riunito intorno ad Afwerki, consapevole di rappresentare una facile preda. (nota 4)

Quando nel ’98  scoppiò la guerra con l’Etiopia ogni programma “democratico” venne abbandonato, fu imposta la legge marziale, e il servizio militare obbligatorio divenne a tempo indeterminato. I commentatori benevoli verso Afwerki spiegarono inizialmente che la misura era stata presa per dare una collocazione ai numerosi sfollati provocati dalla guerra (circa 1 milione) e ai lavoratori eritrei cacciati dall’Etiopia e dal Sudan. Nel corso del conflitto il governo etiope operò una drastica epurazione di tutte le migliaia di eritrei presenti in Etiopia, fossero essi professionisti, commercianti, imprenditori, contadini e pastori. Molti dovettero tornare con mezzi fortuna, addirittura a piedi, saltando spesso sulle mine di cui era disseminato il confine. Tutta la stampa e la diplomazia occidentale si schierò a fianco dell’Etiopia, anche il governo d’Alema. La guerra si svolse esclusivamente entro il territorio eritreo, causando più di un milione di profughi e 100 mila morti, lasciando distrutti aeroporti ed infrastrutture primarie -centrali elettriche ponti strade depositi idrici – tra Asmara, Massawa, Assab, Adi Kaieh. L’Etiopia ricevette il grosso degli aiuti militari, ma Italia e Russia armarono entrambi i contendenti.

 Abbiamo visto come arruolarsi sia stata anche in precedenza una risorsa per i più poveri in Eritrea (cfr. nota storica), ad esempio durante il periodo coloniale italiano e anche in epoche precedenti. Ma non è mai stato un obbligo. E’ il clima di guerra e il senso di isolamento che consente al regime di far passare il servizio militare obbligatorio.

Ma dal 1998 non è facile stabilire se il servizio militare obbligatorio sia tout court uno strumento per il governo di procurarsi manodopera a basso costo o se sia un mezzo per esercitare un controllo poliziesco sui più giovani, potenziali ribelli, sugli oppositori politici ecc. Comunque i cittadini sotto i 50 anni non possono avere un visto per uscire dal paese. Chi emigra clandestinamente rischia la detenzione e in alcuni casi anche di essere passato per le armi.

Nel 2001 il regime ha arrestato in massa leaders politici e militari, intellettuali e giornalisti che si opponevano a questa forma di capitalismo di stato isolazionista e non se ne ha più avuto notizia. Due anni dopo il governo inaugura il “rito di passaggio” di Sawa, una base militare  nella regione desertica del Gash-Barka (https://lospiegone.com/2022/10/05/futuro-eritrea-in-fuga-da-scuola-caserma-sawa/). Dal 2003 è il principale centro di reclutamento delle Forze di difesa eritree. Ogni anno, tra gli 11 mila e i 15 mila studenti trascorrono qui il loro ultimo anno delle superiori, a oltre 280 chilometri dalla capitale Asmara. In questo centro, delimitato da filo spinato e monitorato da guardie armate, gli studenti seguono, insieme alle lezioni, un primo addestramento militare. La disciplina è ferrea, sono previste punizioni corporali (e per le donne anche le molestie sessuali), un certo numero di ore è dedicato alla costruzione di infrastrutture o in lavoro nelle imprese di stato. L’accesso all’Università è riservato a una ristretta minoranza.

Capitalismo di stato in salsa militare

Da quel momento il paese si è trasformato in una fortezza militare, con un esercito di circa 300 mila uomini su una popolazione stimata in 3 milioni di abitanti allora (oggi circa 5 milioni). La base sociale del presidente è infatti rappresentata dai militari di professione che controllano anche quel poco di attività economica che esiste, una versione alquanto misera del capitalismo di stato staliniano o maoista. Alle spese militari (personale e acquisto di armi è dedicato il 21,9% del PIL (dato 2014) e il 33% del bilancio statale. Fra il 2003 e il 2010 il 37% delle armi arrivava dalla Russia e altrettanto dalla Bulgaria, più un 17% dalla Bielorussia.

Il regime trova la possibilità di fare lucrosi affari trasformandosi nella principale via di transito di armi illegali verso l’Etiopia, a vantaggio del Fronte di Liberazione Nazionale dell’Ogaden (ONLF) e del Fronte di Liberazione degli Oromo (OLF); gli Usa accusano l’Eritrea di rifornire anche i militanti di al-Shabaab in Somalia e per questo nel 2009 l’Onu decise le sanzioni.

Il governo affitta anche come mercenari reparti del proprio esercito (come è accaduto per la Cecenia e oggi per l’Egitto). Inutile dire che il governo è indifferente alle condizioni miserrime in cui i soldati semplici sono fatti combattere, spesso senza cibo o ripari dal sole. Le truppe sono i giovani delle campagne, figli di pastori o studenti “ribelli”. Nel paese ci sono 361 centri di detenzione, la tortura nelle carceri è ordinaria amministrazione.

Il punto di forza ideologico del governo è la propria indipendenza da influenze internazionali (rifiuta agli Usa nuove basi militari – rifiuta di indebitarsi con la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale), ma il costante deteriorarsi delle condizioni sociali ed economiche dei lavoratori riduce ormai al solo uso della forza bruta le sue chances.

Il decennio 2001-2011 è considerato “un decennio perduto” di stasi, anche se la Cina comincia ad investire a partire dal 2006, in particolare nelle miniere. Nel 2011-12 una terribile siccità ha prodotto una carestia devastante, che peraltro il governo ha negato. Gli aiuti umanitari inviati dall’Onu sono stati venduti al mercato nero per risanare il bilancio dello stato. Non è possibile neanche stimare il numero dei morti per fame. Secondo l’Unicef nel 2012 il 60% dei bambini eritrei era denutrito. (https://www.notiziegeopolitiche.net/eritrea-il-presidente-%E2%80%93-dittatore-isaias-afewerki-sempre-piu-in-crisi/. Nel 2013 un’indagine del Parlamento Europeo denunciava che funzionari eritrei avevano rivenduto a bande egiziane del Sinai 30 mila emigrati clandestini, che erano stati poi torturati per chiedere il riscatto alle famiglie).

Nell’ottobre 2013 il disastro di Lampedusa (368 morti, in gran parte eritrei) ricorda ancora una volta all’Italia e al mondo il dramma dell’esodo dal paese africano.

La fame di capitali e di entrate porta il governo a impegnarsi nel rilancio dello sfruttamento delle miniere.

La svolta del 2018

Ma se lo sfruttamento indegno della manodopera non scuote più di tanto le coscienze dei potenziali investitori, lo stato di continua tensione con i paesi vicini, li scoraggia. Qualsiasi progetto di largo respiro deve inevitabilmente comprendere Gibuti, ma anche l’Etiopia e il Sudan. E’ questo il senso della pace firmata nel 2018 fra Afwerki e il nuovo premier etiope Abiy, sponsorizzata dal duo Arabia Saudita-Emirati arabi.

I sauditi già dal 2015 hanno ottenuto il porto di Assab per costruirci una moderna base militare per attaccare i ribelli Houthi dello Yemen. Ci collocano propri reparti militari e da lì partono i loro aerei per bombardare gli Houthi. Nel 2017 contingenti militari egiziani si insediano nell’arcipelago eritreo di Dahlak, al largo di Massawa (non è un segreto che Al Sisi offre i suoi militari di leva come mercenari all’Arabia, come mezzo per ricambiarne l’aiuto finanziario).

Ma a fianco della base militare, sauditi ed emiratini hanno in progetto di fare di Assab uno scalo commerciare alternativo a Gibuti, che ormai  è super affollata e dove  la Cina la fa da padrona. Sono i cinesi ad aver completato la ferrovia che collega Addis Abeba a Gibuti, dove hanno costruito la loro prima base militare africana; inoltre hanno costruito un terminal petrolifero, uno scalo container e un enorme porto multifunzionale sul litorale di Doraleh, 5 km a ovest di Gibuti. Doraleh quindi come avamposto per proteggere il flusso dei propri rifornimenti energetici, ma anche un ulteriore rinforzo per l’espansione della Via della Seta. E un ulteriore affrancamento dalla intermediazione che per secoli gli arabi hanno esercitato sui traffici asiatici da e verso l’Africa. Perché Doraleh era stato realizzato nel 2009 da DP Word, una multinazionale emiratina della logistica. Ma Gibuti ha nazionalizzato Doraleh per cederlo alla Cina.  I paesi del Golfo continueranno a fare affari con la Cina, ma vogliono una propria specifica area di manovra sul Mar Rosso, una “proiezione” di potenza per escludere il rivale Iran.

Nel breve intervallo fa la pace firmata a Jedda il 16 settembre 2018 e lo scoppio della guerra nel Tigray (2020), che vede governo etiope e governo eritreo allearsi ai danni dei tigrini, il governo eritreo si trova nella condizione di essere corteggiato dai paesi del Golfo, ma anche da Europa, Russia e Cina. Ancora una volta, nella sua storia, grazie ai suoi porti.

L’Europa si offre di ricostruire la strada di collegamento fra Addis Abeba e il porto di Massawa che nel secolo scorso era il porto d’elezione per gli etiopi. L’Italia del primo governo Conte (gennaio 2019) incontra Abiy e gli offre uno studio di fattibilità per una tratta ferroviaria che collegherebbe Addis Abeba con Massawa, passando attraverso Makallé (capitale del Tigray) e Asmara. I ben informati dicono che sia un suggerimento dei cinesi, con cui nel marzo successivo il governo giallo verde firma 29 accordi nell’ottica della “Via della seta”. L’anno prima comunque Calzedonia apre il suo primo stabilimento nella capitale Makallé.

A fine 2018 vengono ritirate le sanzioni Onu contro l’Eritrea. Il primo effetto è che i profughi eritrei non hanno più la garanzia di ottenere in Europa lo status di rifugiato, anche se la vita in Eritrea non cambia di una virgola. In cambio le migliaia di rifugiati eritrei che vivono da anni in Etiopia fuggono in Tigray aspettandosi un via libera ad Afwerki che vuole fare le sue vendette. E puntualmente quando scoppia la guerra del Tigray l’esercito eritreo entra senza alcuna dichiarazione di guerra nel territorio tigrino, spiana i campi profughi dove sono ospitati gli eritrei e ne uccide migliaia.

La guerra del Tigray, la guerra in Ucraina e l’affondo russo

I progetti italiani ed europei su Massawa sono naufragati con la guerra nel Tigray (https://www.combat-coc.org/tigray-le-stragi-di-una-guerra-dimenticata/). Ma il testimone è stato raccolto dalla Russia, chenello scenario post ucraino riprende la direttrice di espansione nel “mare arabo”.  L’Eritrea è tra i cinque Paesi che, all’assemblea dell’Onu, in cui si è proposta la mozione di condanna dell’invasione russa in Ucraina, hanno votato contro (gli altri sono, Siria, Corea del Nord, Cina e Bielorussia).  Nell’aprile ’22 una serie di trattative russo-eritree portano a concretizzare un progetto per la commercializzazione del potassio da poco scoperto a Colluli e attualmente estratto dalla società mineraria australiana Danakali Ltd. La parte commerciale sarebbe affidata interamente alla Eurochem, di proprietà dell’oligarca russo Andrei Melnichenko. I russi creerebbero quindi a Massawa un hub logistico moderno, affiancandogli la solita base militare. Un codicillo non indifferente degli accordi prevedeva la fornitura da parte russa di armamenti moderni e istruttori russi per utilizzarli. (https://www.focusonafrica.info/eritrea-una-base-russa-a-massaua-gli-affari-con-il-presidente-isaias-afwerki/). Nel gennaio ’23 Lavrov si è recato ad Asmara, proponendo un rafforzamento dei legami bilaterali nei settori dell’energia, delle miniere, dell’informatica, dell’istruzione e della sanità. Afwerki sarà il benvenuto alla seconda conferenza Russia-Africa che si terrà in luglio a San Pietroburgo (la prima si era tenuta a Soči, nell’ottobre 2019).

 Da ultimo un accenno a quello che potrebbe essere il nodo principale dell’esistenza dell’Eritrea nei prossimi anni (e che ci ripromettiamo di approfondire): si prevede che nel prossimo decennio sarà in particolare l’Eritrea a soffrire del riscaldamento globale, con effetti drammatici di siccità e di contemporanee inondazioni, mentre andranno studiati gli effetti dell’innalzamento del livello del mare laddove la costa è “sguarnita” per la distruzione delle mangrovie.  Fenomeni aggravati dalla deforestazione selvaggia, dall’eccessivo sfruttamento dei pascoli (per far fonte a un aumento demografico che è ancora molto significativo). Come in passato quindi gli scontri interni al Corno d’Africa (sia fra entità statali che all’interno di esse) sono utilizzati dagli imperialismi e dalle potenze regionali, ma è indubbio che queste rivalità abbiano cause endogene legate alla specifica struttura sociale di questi paesi. Questa presenza economica e militare straniera è cresciuta significativamente nell’ultimo decennio in Eritrea. Ma è indubbio che l’Eritrea rappresenta una quota estremamente minoritaria rispetto agli interessi globali che questi investitori hanno in Africa, salvo per quanto riguarda l’importanza strategica dei porti sul mar Rosso. Gli strumenti utilizzati per acquisire influenza nei paesi del Corno sono come in passato partnership economiche e accordi militari, dalla costruzione di infrastrutture alla vendita di armamenti, addestramento e copertura di spese per il personale militare.

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Note

Nota 1) L’Eritrea, geologicamente parlando, è un tutt’uno con la penisola araba, con cui va a costituire lo scudo arabo-nubiano, soprannominato  “Mahd adh Dhahab” o la “culla dell’oro“, in riferimento alle miniere di Re Salomone.

Nel già citato sito minerario di Bisha, oltre all’oro, si estrae rame e zinco. 

Asmara Mining Share Company, una joint venture (60%-40%) tra la SRBM cinese e l’ENAMCO di proprietà statale eritrea opera su 4 siti, Emba DerhoAdi NefasGupo e Debarwa, dove si estrae rame di alta qualità, avviato a Massawa e mandato a una fonderia cinese.

Colluli, l’australiana South Boulder Mines Ltd ha scoperto uno dei più grandi giacimenti di cloruro di potassio al mondo, a cui hanno già dimostrato interesse India e Cina.

L’Eritrea ha grandi depositi di calcare, elemento base per il cemento, quasi tutto assorbito dal Qatar. Prospezioni recenti fanno ipotizzare ampi depositi di petrolio e gas naturale, ancora del tutto inesplorate e esperti tedeschi considerano il paese un luogo particolarmente adatto per lo sviluppo della energia solare.

Esiste una sterminata bibliografia sul settore minerario eritreo e sull’uso del lavoro coatto, vedi almeno:

https://www.google.com/search?q=il+settore+minerario+eritreo+potenzialit%C3%A0&oq=il+settore+minerario+eritreo+potenzialit%C3%A0&aqs=chrome..69i57j0i546i649j0i546l2.14414j0j15&sourceid=chrome&ie=UTF-8

https://www.hrw.org/report/2013/01/15/hear-no-evil/forced-labor-and-corporate-responsibility-eritreas-mining-sector

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-regime-ruba-i-proventi-delle-miniere-laccusa-dellex-ambasciatore-dellasmara-allue-

https://www.eritreaeritrea.com/attualitagrave/estrazione-mineraria-in-eritrea-un-nuovo-progetto-di-potassio-potrebbe-stimolare-una-crescita-sostenibile

https://www-reuters-com.translate.goog/investigates/special-report/eritrea-mining-nevsun/?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

https://www.freedomunited.org/it/vittorie/La-Corte-Suprema-del-Canada-stabilisce-che-la-causa-contro-Nevsun-pu%C3%B2-progredire/

Nota 2 – BREVE STORIA dell’Eritrea

Per tutto il periodo storico che precede il colonialismo l’Eritrea è parte integrante dell’impero etiope. Singole aree si costituiscono in regni islamici indipendenti, ma collegati a emirati egiziani o turchi (cfr https://www.combat-coc.org/storia-sociale-delletiopia-fino-alla-caduta-di-haile-selassie/ https://www.combat-coc.org/storia-sociale-delletiopia-fino-alla-caduta-di-haile-selassie/)

E’ l’Italia che, creando la colonia Eritrea, ne definisce i confini. (1890-1941).

Le terre migliori vennero confiscate a vantaggio dei coloni italiani, le miniere sfruttate e anche insediato un certo numero di piccole imprese. Angelo del Boca e Nicola Labanca dimostrano nei loro testi che non ci fu un flusso significativo di investimenti italiani in Eritrea e neanche un trasferimento massiccio di italiani, che continuarono a preferire altri paesi ad. es. la Tunisia.

Fino alla conquista dell’Etiopia, l’esercito coloniale italiano utilizzò come bassa forza militare gli ascari eritrei. (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%80scari). Erano definiti ascari anche i soldati indigeni provenienti dallo Yemen, dalla Somalia e dalla Libia. Essi combatterono contro gli etiopi di Menelik e se catturati furono puniti brutalmente. L’Eritrea fornì il più elevato numero di ascari, che finirono col diventare il maggiore “prodotto” della colonia: nel 1935 era impegnato militarmente il 40% della popolazione maschile maggiorenne. Desbele Mehari, responsabile del Partito Democratico Eritreo in Italia parla di mezzo milione di eritrei morti combattendo a fianco degli italiani nelle guerre africane (http://www.zadigweb.it/amis/testim.asp?idtes=98&idsch=101),

Nel periodo di reggenza inglese (1941-52) si formò il primo movimento nazionalista che aveva sede al Cairo (protetto dagli inglesi in funzione anti italiana). Gli indipendentisti eritrei sostennero che con il trattato di Uccialli, l’Etiopia aveva rinunciato definitivamente all’Eritrea. Si spinsero anche a teorizzare che la civiltà nel Corno d’Africa non parte con il regno di Axum, ma con un Regno di D’mt e contrapponendo all’impero medievale etiope un impero “eritreo” di Medri Bahri.

 I nazionalisti etiopi al contrario sostennero sempre che un popolo eritreo non esisteva, lo stesso nome greco del paese era di importazione. E’ interessante leggere le motivazioni con cui il Tribunale permanente dei Popoli, sponsorizzato dalla Fondazione Lelio Basso, riunito a Milano nel maggio 1980 decretò che gli Eritrei sono un popolo (http://permanentpeoplestribunal.org/wp-content/uploads/1980/05/Eritrea_TPP_it-1.pdf).

Nel 1952, grazie all’appoggio degli Usa, ma anche dell’Urss l’Eritrea venne federata dall‘Onu all’Etiopia.

Quando poi Hailé Selassié procedette all’annessione dell’Eritrea (1962), gli eritrei sono trattati come una provincia dell’impero, tra l’altro si trasferiscono in territorio etiopico le fabbriche più importanti, mentre i ruoli amministrativi importanti in Eritrea vengono ricoperti da etiopi. Gli Usa diedero totale copertura politica alla repressione operata da Selassié contro l’indipendentismo eritreo, ma anche contro gli strati di borghesia eritrea che si erano formati nei tre poli urbani (Asmara, Assab e Massawa). In cambio contingenti militari Usa poterono stabilirsi ad Asmara e addestrare anche ufficiali etiopi (1954), in particolare con istruttori israeliani, nelle tecniche antiguerriglia. Successivamente gli Usa costruiscono sull’altopiano di Asmara, la base polifunzionale di Kagnew – realizzando il sistema logistico-informativo-operativo più grande al di fuori del proprio territorio.

 Nel 1960 si era formato l’ELF, il Fronte di liberazione eritreo, diffuso principalmente fra i contadini mussulmani e sostenuto dai paesi arabi. Privo di un preciso programma, frazionato su linee etniche, subisce a metà degli anni sessanta numerose sconfitte. Dall’ELF si stacca l’FPLE di Afwerki, più legato ai cristiani tigrini e di impronta marxista leninista. I due gruppi si scontrano anche militarmente fino al 1975. Nei primi anni ’80 il FPLE continuerà un’opera capillare di epurazione dentro le sue fila per omogeneizzare i quadri ed espellere le voci dissonanti.

Il più significativo esodo dall’Eritrea risale al 1972-74, quando Selassié fece radere al suolo 150 villaggi eritrei; fu un esodo di giovani molto politicizzati.

Negli anni ‘ 70 gli Usa persero interesse all’Etiopia, ma il regime militare successivo DERG fu anche più duro di Selassiè contro le richieste di indipendenza dell’Eritrea.

Nel 1976 Menghistu inviò 25 mila uomini e fu clamorosamente sconfitto. L’anno successivo Carter prese le distanze dal regime militare etiope. Nel 1977 l’Etiopia controllava solo le tre grandi città, mentre le campagne erano ormai in mano al FPLE (e solo nel 1991 il FPLE conquista Asmara). Il Derg fu a quel punto foraggiato e armato dall’URSS, nell’attuare una durissima repressione militare contro le varie etnie “ribelli”. Nel 1978 un altro attacco massiccio dell’esercito di Menghistu provocò 500 mila profughi che si riversarono in Sudan, mentre altri 200mila  si rifugiarono in Medio Oriente e 20mila negli Usa. La diaspora ha notevolmente sostenuto con aiuti economici e uomini la guerriglia anti etiopica. L’Onu ha calcolato che il conflitto fra il 1961 e il 1991 abbia comportato almeno 1,4 milioni di morti. .(https://www.google.com/search?q=Eritrea+situazione+2010&sxsrf=APwXEddldD8ubHsb1a6CQ0B_hxd1BWKEWA:1681137204565&ei=NB40ZPeIIpm-xc8PvrqVyAg&start=10&sa=N&ved=2ahUKEwj38pWPxJ_-AhUZX_EDHT5dBYkQ8tMDegQIBhAE&biw=1152&bih=721&dpr=1

A metà degli anni ’80 quindi l’FLPE si alleò con i ribelli tigrini di Zenawi, con il movimento oromo e persino con il movimento degli ufficiali contro Menghistu.

Menghistu (come del resto il dittatore somalo Siad Barre) fu eliminato anche grazie all’implosione dell’Urss nel 1991 e come si è detto due anni più tardi l’indipendenza eritrea è un fatto compiuto. Nota 3) Il conflitto con lo Yemen scoppia nel 1995 per il controllo delle isole Hanish nel mar Rosso, un arcipelago disabitato nei pressi di Assab e Bab el Mandeb; entrambi i paesi sospettavano l’esistenza di petrolio nei fondali. Le isole sono rimaste allo Yemen.

Nota 4) L’escalation cominciò nel 1997 con l’uscita dell’Eritrea dall’area del birr, la moneta etiope, per crearne una propria, il nakfa, e con l’adozione di misure protezioniste contro i prodotti etiopi. Ma l’incidente che porta alla deflagrazione del conflitto riguardava Badme, un’area fortificata al confine fra ka regione etiope del Tigray e l’Eritrea.

La guerra è finita con gli accordi di pace di Algeri, ritenuti inadeguati dall’Eritrea, che ha boicottato la forza di interposizione inviata dall’Onu (https://press-un-org.translate.goog/en/2006/sc8627.doc.htm?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc).

Dopo il conflitto con l’Etiopia nel 2008 una disputa, avente alla base la rivendicazione eritrea dell’area di Domueria, ha portato a scontri con Gibuti; un accordo è stato sottoscritto nel 2010, grazie alla mediazione e alle forze di interposizione del Qatar.

Bibliografia

Quadro d’insieme delle influenze estere sul Corno d’Africa ed Eritrea

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/corsa-al-corno-dafrica-interessi-globali-e-competizione-regionale-21371  lo studio è del 2018https://altreconomia.it/etiopia-eritrea-affari-pace/

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