CINA, CHIESA
CORRIERE Ven. 5/5/2006
Luigi Accattoli
Dopo l’iniziativa della «Chiesa patriottica» è scomunica
di fatto
Dura protesta con Pechino.
«Ma niente rottura»
CITTÀ DEL VATICANO – «Profondo dispiacere» del Papa,
«grave ferita all’unità della Chiesa» che comporta la scomunica per quanti vi
sono coinvolti, «grave violazione della libertà religiosa»: una lunga
«dichiarazione» del portavoce Navarro-Valls chiarisce che la reazione vaticana
alle due ordinazioni «illegittime» di vescovi avvenute in Cina il 30 aprile
e il 3 maggio è la più dura possibile. Ma suonate tutte le corde della
protesta, la dichiarazione riafferma la «disponibilità» della Santa Sede a
un «dialogo onesto e costruttivo con le competenti autorità cinesi per trovare
soluzioni che soddisfino le legittime esigenze di entrambe le parti». Dunque
non è una rottura.
Ovviamente – si chiarisce – «iniziative come quelle sopra indicate non soltanto
non favoriscono tale dialogo, ma creano ostacoli contro di esso». Si augura
perciò «vivamente» che «non vengano ripetuti tali inaccettabili atti di
violenza e inammissibile costrizione».
Perché qui è il punto, secondo l’interpretazione vaticana della vicenda: non
solo vi sono state due «ordinazioni» non autorizzate, per le quali è prevista
la scomunica latae sententiae (cioè automatica, senza bisogno che
nessuno la «commini»), ma tutte le persone in esse coinvolte – sia gli ordinati
sia gli ordinanti – sarebbero state costrette dalle autorità.
«Secondo le informazioni ricevute – ha detto Navarro-Valls – vescovi e
sacerdoti sono stati sottoposti, da parte di organismi esterni alla Chiesa, a
forti pressioni e minacce, affinché prendessero parte a ordinazioni» che sono
«illegittime e, inoltre, contrarie alla loro coscienza».
La dichiarazione non usa la parola «scomunica», ma rinvia alle «severe sanzioni
canoniche» del canone 1382 del Codice, che appunto prevede la massima pena.
Il portavoce non insiste sulla scomunica, ma piuttosto sulla costrizione subita
dai membri dell’Associazione della «Chiesa patriottica» e ripete che costoro
sono stati «obbligati» a «compiere o a partecipare a ordinazioni che né i
candidati né i vescovi consacranti vogliono effettuare senza aver ricevuto il
mandato pontificio».
Un’insistenza che sembra voler scusare i disubbidienti e nello stesso tempo
porre un argine a tali vessazioni, definite «episodi deplorevoli che la Santa
Sede pensava e sperava appartenessero ormai al passato».
Sarebbero una quarantina le diocesi cinesi senza vescovo e in Vaticano
temono che le ordinazioni «illegittime», che erano cessate nell’ultimo biennio,
possano tornare a farsi frequenti come in passato.
Il ministero degli Esteri cinese ha reagito alla dichiarazione vaticana
difendendo l’Associazione patriottica come rispondente all’«opinione della
maggioranza dei fedeli» e affermando che – così stando le cose – «la condanna
del Papa non ha senso».
«È la protesta più forte ma non è la rottura»: così in Vaticano viene
presentata la dichiarazione del portavoce. La «rottura dei negoziati» – cioè
la sospensione dei contatti che mirano alla normalizzazione dei rapporti – era
stata chiesta dal cardinale di Hong Kong, Joseph Zen, martedì scorso, quando
era stata annunciata la seconda delle due ordinazioni «illegittime». Ma la
linea del combattivo cardinale non è condivisa dalla diplomazia vaticana.
«Noi non prendiamo mai l’iniziativa di una rottura», dicono in Segreteria di
Stato. Spiegano che «probabilmente» le due ordinazioni sono state volute
dalla componente più aggressiva del regime di Pechino, in reazione alla nomina
del cardinale (annunciata il 22 febbraio scorso) e proprio come «atto
provocatorio», tendente a ottenere un irrigidimento vaticano che vanifichi
l’«avvicinamento» pragmatico realizzato lungo l’ultimo biennio. Anche se ci
saranno altre ordinazioni non autorizzate, la linea dovrebbe restare quella
della protesta senza rottura.
I
cattolici e il governo
DIVISIONE In Cina i cittadini di fede cattolica sono circa
12 milioni. Quattro milioni sono seguaci della cosiddetta «Chiesa patriottica»,
vicina al governo di Pechino, formalmente un organo di autogoverno della
comunità cattolica, ma di fatto strettamente controllata dal Partito comunista
PROPAGANDA L’Associazione ha a sua disposizione tutto l’apparato di
propaganda dello Stato. I suoi comunicati e le sue
decisioni, comprese le nomine dei vescovi non riconosciute dal Vaticano,
vengono diffusi con la stessa tempestività e dovizia di particolari riservati
ai comunicati ufficiali. Sono anche trasmessi nei notiziari televisivi
CLANDESTINI Ma la maggioranza dei cattolici cinesi, 8 milioni, si
riconoscono nella «Chiesa clandestina», un organismo riconosciuto dalla Santa
Sede che opera in segreto e i cui vescovi e preti, di nomina vaticana, sono
continuamente esposti ad arresti e vessazioni