Com’era prevedibile, mentre Hamas continua a mandare missili contro Israele, i raid israeliani su Gaza hanno prodotto i primi 40 morti, più un elevato numero di feriti, distruzioni di case ecc.
Il governo israeliano ha già allertato 40 mila riservisti e viene data per probabile una invasione di terra. Non è uno scenario nuovo, purtroppo. Anche solo limitandosi agli ultimi dieci anni la sequenza di Hamas che rapisce un o degli israeliani (come Ghilad Shalit nel 2055) e/o lancia missili, Israele che compie raid aerei, arresta o uccide qualche militante di Hamas, ma più spesso massacra un certo numero di civili a Gaza si è ripetuta nel giugno 2005, novembre 2006, aprile e giugno 2007, febbraio e marzo 2008, dicembre 2008 (operazione “Piombo fuso” 1400 palestinesi uccisi), aprile e agosto 2011, marzo e giugno 2012.
La novità può consistere nel fatto che i missili lanciati da Hamas siano a gittata sempre più lunga, probabilmente di origine iraniana (a marzo di quest’anno le navi israeliane avevano intercettato una nave iraniana carica di missili diretti appunto probabilmente a Gaza, altre armi arrivano indirettamente tramite sud Sudan). Ma è cambiata anche la scelta politica di Hamas, che rompe con questi lanci la tregua firmata con Israele nel novembre 2012 grazie alla mediazione di Morsi allora presidente dell’Egitto. L’abbattimento dei Fratelli Mussulmani ha lasciato Hamas senza appoggi internazionali dal momento che nel 2011 si era consumata la rottura con lo sponsor tradizionale, cioè l’Iran. La rottura nasceva dal rifiuto di Hamas di lasciarsi coinvolgere nel conflitto siriano e di combattere quindi a fianco del regime di Assad, tanto che il capo riconosciuto di Hamas, Meshaal, aveva lasciato Damasco per il Qatar (paese che più si era sbilanciato a favore dei Fratelli Mussulmani egiziani). Caduto Morsi il nuovo governo egiziano ha blindato la frontiera con Gaza, bombardato il Sinai e chiuso i tunnel da cui filtravano cibo, medicine, materiali da costruzione ma anche armi verso Gaza, , aggravando gli effetti del blocco che Israele impone, con più o meno durezza a seconda delle fasi, dal 2007, da quando Hamas è al governo a Gaza. Infine nel marzo 2014 Hamas è stata dichiarata fuori legge in Egitto e dozzine di suoi militanti sono stati arrestati e sono spariti nelle carceri egiziane. E’ stato subito chiaro che sarebbe ripresa la piena collaborazione fra Egitto e Israele nella caccia al militante di Hamas tipica ai tempi di Mubarak e che implica la possibilità per Israele di fare operazioni militari nel Sinai, anche tramite i droni, per garantire la sua sicurezza.
All’inizio di quest’anno, quando è stato chiaro che al Sissi sarebbe diventato il futuro presidente egiziano, sono ripresi i colloqui fra Hamas e Teheran, culminati con un nuovo accordo firmato a fine maggio 2014, di cui è trapelato che Teheran riprendeva i finanziamenti e la fornitura di armi e Hamas si impegnava a combattere a fianco di Hezbollah e a favore di Assad in Siria. Dato lo stato di estrema tensione esistente fra il governo Netanyahu e l’Iran non è per nulla improbabile che nell’accordo fosse implicita anche la ripresa del lancio di missili contro Israele.
Come sempre i militanti di Hamas sono annidati nei tunnel sotterranei dove si ritirano dopo i lanci, mentre a subire le rappresaglie israeliane è prevalentemente la popolazione civile.
Ma è fuori di dubbio che anche l’atteggiamento israeliano fosse fin dall’inizio di estrema aggressività non solo nei confronti non solo dei militanti di Hamas, ma di tutta la comunità palestinese nei territori occupati, sottoposta a una sorta di “punizione collettiva”. Non solo Netanyahu voleva coprire il fatto far saltare il fragile riavvicinamento di Hamas a Fatah (e le persecuzioni in Cisgiordania dove l’OLP e Hamas sono entrambe influenti miravano sicuramente a questo), ma certamente l’obiettivo era la ripresa aperta delle ostilità contro Hamas in quanto longa manus dell’Iran. L’attuale governo israeliano denuncia costantemente il programma nucleare iraniano, vede con estrema preoccupazione i colloqui intrapresi fra l’amministrazione Obama e il governo iraniano e accusa Obama di essere una ameba senza spina dorsale che si fa infinocchiare dagli ayatollah iraniani. Secondo alcuni giornali, ovviamente anti israeliani, ad esempio Asia Times, il governo Netanyahu ha saputo da subito della morte dei tre adolescenti israeliani, ma lo ha tenuto nascosto per poter orchestrare a livello internazionale la campagna di odio contro i palestinesi. Anzi aveva bisogno di qualche vittima israeliana e per questo da un lato ha ripreso la politica degli insediamenti in Cisgiordania. Solo una escalation di grandi proporzioni, in cui gli israeliani siano almeno in parte anche vittime, poteva riportare Israele in primo piano, costringere gli Usa a prendere posizione e far saltare definitivamente ogni ipotesi di appeasement fra Stati Uniti e Iran.
La ricerca di chi ha lanciato il primo sasso in questa situazione è un’operazione senza senso: se viaggi costantemente con una miccia accesa prima o poi, per una causa o l’altra, otterrai l’esplosione. E potrebbe sembrare cinico distogliere l’attenzione dalla mattanza in corso per dedicarsi alla dietrologia dei rapporti internazionali. Ma purtroppo è una costante della storia dei palestinesi dal 1948 di essere utilizzati come carne da cannone dalle borghesie regionali arabe o, nel caso dell’Iran, mussulmane nello scontro con Israele, ma anche nelle dispute fra di loro, approfittando della loro situazione di profughi e apolidi.
L’attacco ormai conclamato dell’ISIS in nord Iraq e Siria, che minaccia direttamente sia Assad che il regime di al-Maliki, entrambi alleati dell’Iran ha fatto precipitare la situazione; se fosse vero che dietro l’ISIS ci fossero i finanziamenti della Turchia, o, come sostengono gli iraniani, i servizi segreti Usa, si spiegherebbe l’improvviso interesse dell’Iran per una ripresa dello ostilità con Israele.
Insomma una di quelle “guerre locali” tanto care a Friedmann e agli strateghi di Stratfor, in cui le potenze regionali si logorano a tutto vantaggio della conservazione da parte degli Usa della loro “superiorità relativa” senza nemmeno combattere in prima persona.
E naturalmente a morire non sono gli strateghi, ma il palestinese di Gaza o l’uomo della strada israeliano, naturalmente non nelle stesse proporzioni, perché i razzi di Hamas e l’aviazione israeliana non hanno la stessa potenza distruttiva. E tuttavia l’ultimo sondaggio indica che il 47% degli Israeliani è contrario all’uso della forza a Gaza, contro un 38% di favorevole e un 15% di incerti.
Negli anni recenti i tentativi di gruppi palestinesi e di gruppi israeliani di creare un clima di convivenza e di rispetto dei diritti reciproci è rimasto minoritario, anche se merita rispetto.
Troppi gli interessi contrari alla pace che hanno remato contro. Del resto lo stesso sceicco Yasin, fondatore di Hamas, poi ucciso dagli israeliani, era stato protetto all’inizio dai servizi segreti israeliani e americani perché facesse da contraltare ai movimenti palestinesi che parlavano apertamente di lotta di classe e di socialismo. Quello che poi è venuto fuori è un movimento altrettanto razzista della destra israeliana e la mattanza continua.