Fra febbraio e giugno di quest’anno Stratfor, cioè lo Strategic Forecasting Inc., servizio privato di intelligence statunitense, spesso utilizzato da ambienti CIA o Pentagono per indirizzare le scelte della Casa Bianca, ha pubblicato una serie di articoli che, prendendo spunto dall’Ucraina, cercano di definire le nuove linee guida dell’imperialismo americano in particolare nei confronti della Russia. Rispetto agli articoli pubblicati nella primavera 2013 si conferma che gli Usa non sono forti come nel periodo della guerra fredda, ma conservano un vantaggio relativo, purché lo sappiano usare con intelligenza, rinunciando a un ruolo di “onnipotenza globale” e giocando sulle debolezze altrui.
Il modello politico che viene proposto a Obama è quello di Eisenhower, che, da generale, capiva che “la minaccia di guerra è essenziale per essere credibili”, ma non occorre combattere sempre davvero. Quindi basta guerre che si sono rivelate un insuccesso. Dal 2001 gli Usa sono stati impegnati in un esteso sforzo militare nel mondo islamico (Afghanista, Iraq e poi Libia), e in nessuno di quei paesi sono riusciti a imporre un governo favorevole agli interessi statunitensi, anzi si sono rafforzate le potenze regionali. Adesso si deve limitare al minimo l’uso della forza militare e puntare a una bilancia di potenza nei vari scenari regionali, contrapponendo un paese all’altro, una corrente all’altra, per bloccare l’emergere di paesi egemoni che potrebbero sfidare gli Usa. Obama sembra incerto sulle scelte da intraprendere ma ha anche detto “il fatto che abbiamo il martello migliore non significa che dobbiamo affrontare ogni problema come fosse un chiodo”.
E’ escluso che gli Usa reintervengano militarmente , ma possono intervenire “per impedire che uno dei tre gruppi in lotta sia cancellato, senza cercare di risolvere il conflitto”-. E’ quello che gli Usa stanno facendo anche in Siria. Nel decennio precedente gli Usa, presi dalle loro guerre, hanno lasciato che Putin assumesse statura internazionale; per fortuna la ripresa del dialogo con l’Iran può servire a indebolirne i legami con la Russia e occorre impedire che la Siria diventi un ambito di manovra russo. La Russia va contenuta anche se è debole perché è comunque la maggiore potenza sia nell’area dell’ex impero sovietico che nei confronti del Medio Oriente.
In Ucraina si deve influenzare gli eventi senza intervento diretto, agli Usa basta una Ucraina neutrale che costituisca uno stato cuscinetto, gli Usa non hanno bisogno di un confronto diretto con la Russia, per cui invece l’Ucraina è vitale. Già da ora si può contare sul fatto che la Russia è percepita come minaccia da Polonia e stati Baltici; quindi gli Usa possono fare leva su questi timori proponendosi come l’unico alleato che può fornire protezione militare. Sarebbe però vantaggioso contare su una alleanza militare con Polonia, Ungheria e Romania. Sono da collocare in quest’ottica il viaggio di Obama in Polonia e quello di Biden in Romania. In due paesi insieme hanno 58 milioni di abitanti (mentre Ungheria, Slovacchia e Bulgaria insieme 24 milioni). Un corollario dello schema è che la Romania ottenga il controllo della Moldavia, in modo che la Nato si installi sul fiume Dniester, a meno di 80 miglia da Odessa.
La Romania per ora è tiepida rispetto all’offerta di protezione americana. Soprattutto vorrebbe dagli Usa i finanziamenti per riarmarsi, mentre gli americani mirano a istallarsi nei suoi aeroporti. La Romania ha importanti rapporti commerciali con la Russia e molte aziende russe vi investono.
La Romania è fondamentale nella strategia americana come contrappeso alla presenza russa in Crimea; un altro passo importante è la trilaterale Turchia Romania Polonia tenutasi in giugno.
Un successo intanto è stato convincere la Bulgaria a sospendere, ai primi di giugno, la costruzione di South Strema.
Berlino non è più un alleato affidabile, non lo è più dal 2003 quando rifiutò di intervenire in Iraq, mentre Francia e Gran Bretagna possono ancora esserlo e funzionare da contrappeso alla Germania.
La Germania punta ad avere una politica estera più assertiva (questo è evidente in Africa), ma ha bisogno di conservare il suo vantaggio economico, che dipende dall’export. L’export tedesco a sua volta è così brillante grazie al rifornimento di componenti e di lavoro qualificato a basso costo da parte di Polonia Cekia e Slovacchia e grazie ai rifornimenti energetici russi e agli investimenti in Russia. E’ interesse degli Usa a rompere l’intensa corrispondenza di interessi fra Russia e Germania.
E’ logico che la Russia si senta minacciata dal fatto che gli stati Baltici e la Polonia siano nella Nato, che l’Ucraina abbia un governo filo-occidentale (il che può mettere a rischio anche l’alleanza con la Bielorussia) ed è saggio non far “perdere la faccia” ai Russi in modo che siano costretti a qualche atto estremo.
Per ora l’arma più forte in mano ai russi è quella energetica (il 91% dell’import di energia polacco e l’86% di quello ungherese proviene dalla Russia) e gli Usa non sono in grado di sostituirsi a breve.
Ma in prospettiva per la Russia questo è un elemento di debolezza, perchè le entrate russe dipendono prevalentemente dal prezzo del petrolio; quindi per mettere in ginocchio la Russia basterebbe ottenere un forte abbassamento del prezzo del petrolio a livello internazionale, un obiettivo impossibile nell’immediato ma che può diventare un imperativo strategico degli Usa per il futuro.
Nell’immediato la Russia ha trovato un correttivo al rischio di eccessiva dipendenza dall’export in Europa con il mega contratto di fornitura alla Cina. La Russia non è in grado di impedire l’attacco alla sua area di influenza, ma può dilazionare il proprio indebolimento promettendo finanziamenti pronta cassa e contrapponendo il suo decisionismo alle incertezze di Obama. In particolare in questa fase la Russia, che comunque può far pesare la sua vicinanza geografica, utilizza una propaganda più articolata, sottile e adatta ad orecchie europee, gli Usa sono troppo semplicisti. Ad es. la scelta di Putin di sottolineare il ruolo della Russia contro la Germania nazista è stato efficace e convincente; gli Usa devono sottolineare l’inesistenza dell’Europa come unione politica e militare, la sua attuale debolezza economica, il fatto che sono gli Usa che hanno vinto la seconda guerra mondiale.
Non bisogna consentire che la più abile diplomazia russa porti i paesi dell’ex blocco sovietico a preferire un’alleanza con la Russia. Questo vale soprattutto per i paesi del Caucaso, in cui si deve puntare a conservare l’influenza sulla Georgia ed estenderla all’Azerbaijan, perché qui i Russi potrebbero cercare una rivincita per la perdita dell’Ucraina e l’ Azerbaijan è strategico per garantire la sicurezza dei porti georgiani..
Fermo restando che l’Asia è il centro della strategia americana, non si deve trascurare l’est europeo e non farsi risucchiare ancora nell’area medio orientale. Nell’Est Europeo occorre una strategia coerente, non è necessario per tenere a bada la Russia scatenare la III guerra mondiale e neanche riprendere la Guerra fredda. Non serve nemmeno combattere una guerra regionale come in Iraq o in Afghanistan. A parte il fatto che si potrebbe perderla.
Fin qui Stratfor, anzi George Friedman. Che scrive con cruda chiarezza, senza la solita salsa ideologica della democrazia e della libertà, perché parla alle persone che contano nell’establishment del suo paese. E vuole convincerle che oggi l’intervento militare diretto (reso comunque più difficile dai tagli al bilancio del Pentagono) non è l’opzione preferibile per gli Usa. L’opzione preferibile è un mondo pieno di guerre locali, in cui si sfianchino i potenziali concorrenti e in cui gli Usa regista più o meno occulto tengano le fila. Nessun accenno ovviamente ai costi umani di questi conflitti. Nella scacchiera “geopolitica” non contano. Par di capire che per lui la Crimea è ormai da lasciare in mano alla Russia, in modo che sia costante pretesto per alimentare le tensioni a cavallo del Mar Nero, per stringere la presa della Nato sui paesi europei che su quel mare si affacciano, magari allargando l’area di crisi ad Azerbaijan e Moldavia. Stupisce tuttavia la sicurezza espressa sul fatto che le potenze regionali, ad esempio la Turchia, facciano gioco agli interessi Usa. In Medio Oriente come in Europa e in Asia le potenze regionali giocano in proprio, che piaccia o no all’imperialismo americano. Dalle guerre recenti combattute dagli Usa Stratfor trae la conclusione che alla fin fine sono state inutili, non si dice per le finalità ideali agitate nella propaganda bellicista, ma nemmeno per realizzare quegli interessi dei gruppi capitalistici dominanti che le avevano imposte. Peccato che ai responsabili nessuno chiederà conto. Almeno per ora.