Il
Sole-24 Ore
sezione: IN PRIMO PIANO data: 2006-03-02 – pag: 5
autore: LUCA PAOLAZZI
Potere
d’acquisto / Il problema è solo il basso sviluppo
Dice il luogo comune: negli
ultimi anni le buste paga non hanno retto il confronto con il carovita.
Complici gli arrotondamenti da changeover, le politiche del Centro destra, la
delocalizzazione, il divario di conoscenza da nuove tecnologie, c’è stato un gigantesco spostamento
di reddito a favore di imprese e lavoro autonomo.
È vero? I dati raccontano un storia molto diversa: il salario medio ha tenuto
il passo con i prezzi al consumo. Per la totalità dei lavoratori e anche per
quelli impiegati nell’industria manifatturiera, esposta ai venti della
concorrenza internazionale e meglio attrezzata ( per tipologia delle produzioni)
a spostare all’estero parte dell’attività. Le cifre rilasciate ieri dall’Istat
consentono di esaminare gli andamenti dal 2001 e fino al 2005, cioè l’arco
della legislatura appena conclusa. E di confrontarlo con quelli del quinquennio
precedente ( 1996 2001) in cui il colore della maggioranza parlamentare e del
governo era diverso. Emergono dinamiche e situazioni interessanti. Chi
rivendica oggi, ipotecando le politiche del prossimo futuro ( magari sperando
in un governo " più amico") una maggiore attenzione al potere
d’acquisto delle buste paga, lo fa citando tre variabili: le retribuzioni
reali, la produttività, la quota del lavoro sul reddito. Usiamo le statistiche
Istat per verificare come si sono comportate queste variabili nei due periodi.
Retribuzioni salve. Tra il 2001 e il 2005 gli stipendi hanno superato, per
un’incollatura, i prezzi al consumo ( misurati questi ultimi con un metro, il
deflatore dei consumi delle famiglie, più ampio e che segnala una crescita di
circa un punto percentuale più forte del normale indice). Così le retribuzioni
reali pro capite sono salite dell’ 1,5% per l’insieme dei dipendenti; dello
0,6% per quelli dell’industria ( escluse le costruzioni). È vero però che tra
1996 e 2001 ( con un anno in più) la loro dinamica era stata migliore: 3,6% e
3,1% rispettivamente. Grazie al diverso andamento della produttività.
Produttività calante. Mentre nel 1996 2001 il valore aggiunto per addetto è
salito del 5,2% per l’intera economia e del 4,4% per l’industria, nel periodo
successivo è sceso dello 0,1% e dell’ 1,7% rispettivamente. Questo vuol dire
che in realtà, contrariamente a quel che sostengono i sindacati, non ci sono
stati guadagni di efficienza da distribuire. Semmai il contrario: le perdite
avrebbero dovuto provocare una riduzione della remunerazione del lavoro.
Quota in recupero. Invece, si è avuto un aumento che ha portato a un forte
rialzo della quota di reddito che va al lavoro dipendente: + 1,3 punti
percentuali ( da 39,5% a 40,8%) in tutta l’economia e + 2,6 ( da 44,2% a 46,8%)
nell’industria. Se consideriamo anche il lavoro autonomo ( che sempre fattore
lavoro è) salgono i livelli ma le dinamiche restano pressoché le stesse.
Durante i governi di Centro sinistra il lavoro aveva perso invece un po’ di
terreno nella distribuzione del reddito ( come si vede dal grafico). La
conclusione, poco popolare, è che negli ultimi anni non è emersa in Italia una
« questione salariale » . Ma una questione di bassa crescita del sistema, che
ha lasciata invariata la torta da dividere. Avanzare rivendicazioni per una
fetta più grande a favore dei dipendenti può aggravare e prolungare la
stagnazione.
Durante l’ultimo quinquennio sale la quota di reddito destinata al lavoro
dipendente