Salari, profitti e Piantedosi

Nel triennio 2021-2023 il potere d’acquisto dei salari è diminuito del 7,6%, mentre i profitti delle imprese sono aumentati a livelli record dal 2008.

Questo il risultato dello studio sui “Dati cumulativi di 1900 società italiane[1]” elaborati dalla banca d’affari Mediobanca. Il Sole24Ore, quotidiano della Confindustria, il 27 settembre titolava:


(“margine” è parola che fa meno sensazione di ”profitti”). E sintetizzava:

Redditività al top dal 2008 GRAZIE A SALARI PIU’ RIDOTTI!

Più chiaro di così non avrebbe potuto scrivere nemmeno Karl Marx: MENO SALARI, PIU’ PROFITTI! I padroni non se la raccontano: intascano, e gongolano.

“Nonostante il calo dei ricavi, utili (anche gli “utili” danno meno il senso dello sfruttamento dei “profitti”), utili al record del decennio.

Hanno venduto il 6,8% in meno? Aria di crisi? Nessun problema! La crisi è per i lavoratori, per i capitalisti profitti record dal 2008!

La “stranezza” si spiega “con la vischiosità dei salari”, scesi dall’11,7% al 10,1% del fatturato (un calo del 14%). A parte il fatto che “meno salari più profitti” non è una cosa strana, ma la regola nel capitalismo, cosa vuol dire questa espressione colorita della “vischiosità”? che mentre le imprese hanno potuto aumentare i prezzi dei loro prodotti, i salari sono rimasti al palo, “invischiati” nei contratti ancora in corso, stipulati con prezzi quasi fermi, e in quelli scaduti e non rinnovati ai padroni. “Segno che a pagare il conto della pandemia sono stati soprattutto i lavoratori, che hanno perso il 7,6% del potere d’acquisto rispetto al 2021”. Viva la sincerità!

Questo è il bilancio della politica del “quantitative easing”, della elargizione di fondi pubblici alle imprese, per tirarle fuori della crisi da Covid 19 nel 2020-2021, e della inflazione che questa politica ha provocato: alla fine qualcuno doveva pagare, e a pagare sono stati coloro che tutto producono, a guadagnarci sono stati quelli che tutto posseggono e hanno in mano lo Stato …

Se i padroni esultano per i loro profitti che volano grazie al fatto che i salari sono “invischiati”, occorre chiedersi: come si può liberare i salari da questo “vischio”? C’è un solo modo, la lotta, gli scioperi che bloccano la produzione, coinvolgendo il maggior numero di lavoratori, i picchetti che bloccano le merci e costringono i padroni ad aumentare i salari.

È qui che arriva Piantedosi con il DDL 1660 per la “sicurezza” dei profitti e del sistema: depotenziare gli scioperi criminalizzando i picchetti in quanto “blocchi stradali”, metodo di lotta che rafforza e spesso estende lo sciopero a tutti i lavoratori. Il ministro dell’Interno ha citato i picchetti durante gli scioperi nella logistica (effettuati in gran parte dal SI Cobas) quale vero obiettivo della norma, che punisce con la reclusione da sei mesi a due anni il “blocco stradale”, alias picchetto, “se il fatto è commesso da più persone riunite” (qualcuno ha mai visto una persona sana di mente fare un blocco stradale da sola?). In sostanza Piantedosi, spiegando la misura con i 240 scioperi nei trasporti, di cui 183 con “blocchi di protesta ai poli logistici” interpreta la legge, e dice che dove c’è scritto blocco stradale i poliziotti e i giudici devono leggere “picchetto di sciopero”, e mandare in galera. Stesso trattamento per tutti gli altri tipi di lotta, o resistenza, perfino se passiva, mani in tasca, per carcerati e detenuti nei CPR: dalle occupazioni di case sfitte alle proteste per l’ambiente e contro le opere inutili: creati nuovi reati e pene aumentate per quelli già esistenti.

Tornando ai picchetti, essi sono una forma di lotta consolidata in tutto il mondo, dai piqueteros dell’Argentina (ora sotto l’attacco del governo Milei) ai picchetti di sciopero che sono una forma tradizionale di lotta in tutta la storia del movimento operaio mondiale, tanto che persino negli Stati Uniti sono previsti dalle leggi, non sono per il blocco delle merci, ma anche per impedire l’ingresso ai crumiri. In Italia, dopo essere stato praticato da milioni di lavoratori in sciopero negli anni 60-’70, quando hanno portato a importanti miglioramenti salariali e normativi, sono stati rilanciati dal SI Cobas nella logistica, dove nello scorso decennio aveva permesso forti miglioramenti salariali, oggi erosi dall’inflazione, per cui i lavoratori del settore sono impegnati in una vertenza per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, contrastata da continui attacchi padronali che hanno lo scopo di disperdere le loro energie sul piano aziendale. Numerose sentenze hanno legittimato i picchetti in quanto integrano l’esercizio del diritto di sciopero. Il governo li denuncia come reato. La difesa del diritto al picchetto è innanzitutto nell’estensione della sua pratica negli scioperi e nelle altre forme di protesta. Il governo Meloni vuole criminalizzare i picchetti per timore che questa forma di lotta, si estenda dalla logistica agli altri settori che hanno visto una forte compressione dei salari, e permetta ai lavoratori di costringere i padroni ad aumentare i salari, recuperando almeno quanto perso per l’inflazione. I bilanci aziendali, che rivelano il boom dei profitti, dimostrano che i margini ci sono. È errata l’idea che “non ci sono i margini” e che quindi la borghesia e il suo governo sono “costretti” a varare questa stretta repressiva sul terreno della lotta economica. Non vi sono costretti, è un’offensiva che lanciano contro un movimento di lotta che vedono debole, per impedire che si estenda, per conservare l’attuale alto livello dei profitti a scapito dei salari.

Il salto repressivo del DDL 1660 è un atto preventivo del governo del capitale contro la ripresa delle lotte salariali, sociali e politiche, che la borghesia prova a imporre su un movimento di opposizione molto debole e frammentato rispetto ai decenni passati, ma che mostra segnali di ripresa, per ora non tanto negli scioperi (se confrontiamo i 240 episodi citati da Piantedosi, con qualche migliaio di partecipanti, con le migliaia di scioperi, i milioni di partecipanti e le decine di milioni di ore di sciopero di tutti gli anni ’60, ’70 e primi anni ’80 del secolo scorso) quanto nelle manifestazioni contro la guerra, per la Palestina, per l’ambiente, dei disoccupati, per la casa. È un atto complementare alla politica di guerra e di militarizzazione della società che governo e forze armate stanno conducendo ormai da anni, per imporre un disciplinamento patriottico-nazionalistico che non tollera il dissenso e vede nell’internazionalismo proletario un nemico da reprimere. Il divieto della manifestazione del 5 ottobre a Roma è parte integrante e una anticipazione di questa repressione preventiva. Essa avrà successo se riuscirà a frammentare e isolare le lotte e le proteste; fallirà se queste si estenderanno e si uniranno, su tutti i terreni, da quello economico-salariale a quello sociale e politico. La Rete Liberi di Lottare, fermiamo insieme il ddl 1660 è una iniziativa importante in questa direzione.

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[1] Queste società coprono il 45% del fatturato, il 33% della forza lavoro e oltre metà degli investimenti delle imprese italiane oltre i 20 dipendenti.