Russia – Boris Kagarlitsky dal carcere: “Non includetemi in nessuno scambio di prigionieri” (Italiano – English)

Riprendiamo da “The Bullet” questa dichiarazione dal carcere di Boris Kagarlitsky, uno dei detenuti politici più noti della Russia, arrestato il 26 luglio 2023 per la sua contrarietà alla guerra in Ucraina (definita una “giustificazione del terrorismo”), e poi condannato a 5 anni di colonia penale da una corte d’appello militare (pur non essendo un militare, e pur non essendo la Russia ufficialmente in guerra).

Dopo l’invasione dell’Ucraina, Kagarlitsky ha preso posizione contro la guerra con atteggiamenti vicini al disfattismo, che gli hanno procurato l’iscrizione nell’elenco degli “agenti stranieri”. Si ignora, ovviamente, di quale stato egli sia “agente” – dal momento che lo stesso Kagarlitsky ha sempre manifestato uno speciale attaccamento alla Russia, tanto da essere perfino ritratto, da certi suoi critici occidentalizzanti, come un “populista patriottico di sinistra”. Questo, per la sua posizione di difesa delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk nate nel Donbass da un moto popolare che K. giudica “antiborghese” (considerate da Putin una semplice merce di scambio nel quadro degli accordi di Minsk), e per avere approvato la riannessione della Crimea alla Russia nel 2014. Un prigioniero politico, dunque, condannato per reati che possiamo definire d’opinione, da parte di quel regime putiniano che con felice sintesi egli ha definito una “autocrazia neoliberista”.

Boris Kagarlitsky non è nuovo alla repressione dello stato russo. E’ stato un attivista politico critico del regime tardo-stalinista dell’URSS già dal 1977 quando, da studente, entrò a far parte del gruppo dei Giovani socialisti. Il suo primo arresto è del 1982, con l’accusa di “attività antisovietiche” (non si trattava dei soviet rivoluzionari, sia chiaro, ma del falsissimo “sovietismo” capitalista brezneviano). Ricade di nuovo sotto la scure della repressione nel 1993, quando viene arrestato e brutalmente picchiato per avere denunciato Boris Eltsin per la distruzione fisica del palazzo del Soviet supremo, interpretata da K. come l’avvio di una “repubblica autocratica”. L’anno prima (1992) era stato tra i fondatori del Partito del Lavoro, di cui è stato per un breve periodo consigliere comunale nella città di Mosca.

La sua analisi critica della politica di stato in Russia è stata incessante, condotta con numerosi scritti e pubblicazioni. K. si auto-definisce, giustamente, un ricercatore sociale, e tale è per i suoi studi. Ha fondato nel 2008 il giornale on line Rabkor (Il corrispondente dei lavoratori) ed è professore presso la Moscow School for Social and Economic Sciences. Di recente è stata tradotta in Italia l’opera della sua vita, L’impero della periferia. Storia critica della Russia dalle origini a Putin, Castelvecchi, 2023, un libro interessante, diseguale, discutibile, nel quale K. cerca di dar conto del “posto specifico e paradossale” che la Russia ha “nella struttura del sistema mondiale capitalista”: “da un lato è una delle più grandi potenze mondiali, dall’altro è un paese periferico il cui sviluppo è in gran parte determinato da fattori esterni al di fuori del suo controllo”.

E’ difficile dare una definizione precisa del suo pensiero politico, e in particolare del suo pensiero sul socialismo, anche se ha più volte espresso il suo debito nei confronti di L. Trotsky e R. Bahro. Per altro verso, ha difeso il carattere scientifico del marxismo e criticato quelli che ne invalidano la teoria avendo come loro argomento forte “le previsioni non realizzate”. A tratti può sembrare che le sue considerazioni si avvicinino al determinismo, o comunque ad una interpretazione del marxismo di tipo oggettivista, che sottovaluta  l’elemento soggettivo, interpretazione da inquadrare, però, nella polemica politica a cui si riferiscono. Non conoscendo adeguatamente l’insieme dei suoi lavori, possiamo soltanto dire che, per quel che abbiamo letto, ci appare un intellettuale dai riferimenti eclettici, che però appartiene di sicuro al campo della critica da sinistra (benché non classista) del “socialismo reale”, e altrettanto di sicuro una critica che non va in senso occidentalista-democraticista [basta vedere cosa ha scritto di lui R.D. Marwick su “Historical Materialism” (1)]. Per cui è pura indegnità da reazionari definire questo studioso militante che ha inteso sempre “dire la verità in faccia al potere”, un “agente straniero”.

La sua posizione contro l’ipotesi di essere oggetto di uno scambio di prigionieri, che leggete nella dichiarazione che segue, è un atto di coraggio e di dedizione alla causa scevra da individualismo, che mostra una volontà che non recede dall’opposizione alla guerra e dalla solidarietà con gli altri prigionieri politici, che gli fa onore. (Red.)

(1) https://www.historicalmaterialism.org/article/boris-kagarlitsky-in-the-eye-of-the-storm/

Boris Kagarlitsky dal carcere: “Non includetemi in nessuno scambio di prigionieri”

Recentemente si sono intensificate le discussioni su un altro possibile scambio di
prigionieri. Non è ancora chiaro a quali prigionieri politici russi si stia pensando per lo
scambio e con chi, ma il dibattito su chi debba o non debba essere incluso nelle liste
di scambio è già avviato.
Ho dichiarato più volte, e lo ripeto ora, che non desidero partecipare a questi scambi e
chiedo di non essere incluso in queste liste
. Non vedo alcuno scopo o beneficio per me
nell’emigrazione. Se avessi voluto lasciare il Paese, l’avrei fatto da solo. Ma non ho
intenzione di lasciare la mia patria, e se questo significa che per rimanere qui devo
stare in prigione, allora starò in prigione. Dopotutto, per un politico di sinistra o un
ricercatore sociale in Russia, il carcere è un rischio professionale normale, che deve
essere accettato quando si sceglie questa strada, proprio come lo è per un vigile del
fuoco o un operatore di emergenza. Fa semplicemente parte del lavoro, che ho svolto e
continuerò a svolgere con coscienza.
Dai tempi antichi, l’esilio dal proprio Stato è stata una forma di repressione politica
contro i cittadini indesiderati dalle autorità, e dal momento che stiamo lottando per la
libertà, anche questo tipo di repressione – per quanto più soft – dovrebbe essere
condannato da noi. I prigionieri politici meritano un rilascio incondizionato. Per tutti. E di
rimanere qui, a casa.

Si dice che alcuni partecipanti a scambi precedenti siano stati allontanati dalla Russia
contro la loro volontà. Non conosco la verità, ma voglio affermare in anticipo che se si
tenterà di fare qualcosa di simile con me, lo considererò un rapimento e denuncerò
qualsiasi governo straniero come complice del crimine se cercherà di accogliermi contro
la mia volontà.
Sono grato alla mia famiglia per il suo sostegno e la sua comprensione e anche alle
molte persone che mi scrivono approvando questa mia scelta. Ma non si tratta solo di
me. Ci sono questioni più ampie che devono essere discusse.
Si rischia di sostituire la lotta per la piena liberazione di tutti i prigionieri politici (che
non sarebbe solo un atto umano, ma anche un passo avanti verso il cambiamento del
clima morale nel Paese) con la compilazione di liste di scambio volte a liberare qualche
decina di persone più o meno note, mentre centinaia e persino migliaia di altri prigionieri
per motivi di coscienza rimangono dietro le sbarre. Inoltre, i compilatori di queste liste si
assumono la responsabilità di decidere chi sarà rilasciato e chi resterà in carcere.
Questo è ingiusto e antidemocratico, e contraddice i principi stessi per i quali ci siamo
sacrificati. L’unica richiesta giusta è il rilascio di tutti i partecipanti alle proteste politiche
non violente, di tutti coloro che sono stati arrestati per aver esercitato il diritto
costituzionale di criticare le decisioni del governo.

C’è anche un altro punto importante che non va dimenticato. I prigionieri politici non
esistono solo in Russia. Tutto ciò che succede a noi ha implicazioni globali. Se i
dittatori di tutto il mondo scoprono che i prigionieri politici sono una risorsa redditizia che
può essere scambiata o venduta con successo, faranno di tutto per aumentare il loro
capitale di scambio. Ne imprigioneranno ancora di più. Nel frattempo, il nostro compito è
quello di far sì che per gli Stati non sia conveniente avere prigionieri politici, e che la
repressione diventi un piacere troppo costoso per i circoli dominanti. Questa era la
situazione alla fine del XX secolo, quando i processi di democratizzazione si sono
sviluppati non solo nei Paesi dell’ex blocco sovietico, ma anche in altre parti del mondo.
Sappiamo che questa democratizzazione è stata del tutto superficiale e non ha messo in
discussione la posizione dominante delle élite. Ma è stato comunque un passo avanti.
Ora assistiamo ovunque a processi che vanno nella direzione opposta. È per questo che
ora è fondamentale lottare non per i singoli prigionieri politici più noti, ma per la fine
della repressione politica in quanto tale.
Certo, ci sono situazioni diverse e in alcuni casi lo scambio è l’unico modo a
disposizione per salvare una persona. Le condizioni di detenzione dei prigionieri politici
possono essere diverse. Sono pienamente consapevole che la mia situazione è molto
lontana dall’essere la peggiore secondo gli standard generali. Per questo motivo, non
voglio prendere decisioni per altri o imporre la mia opinione personale come principio
universale. Tuttavia, vorrei innanzitutto raccomandare ai prigionieri politici che hanno la
forza fisica e morale di continuare la lotta di rifiutarsi di partecipare agli scambi e, in
secondo luogo, chiedo agli organizzatori degli scambi e ai compilatori delle liste di
includere solo i prigionieri che si sa che acconsentono alla libertà a costo dell’espulsione
dal Paese.
In conclusione, voglio dire: qualunque scelta facciamo, non dobbiamo mai dimenticare che
il nostro obiettivo è la libertà e i diritti per tutti. Non solo per coloro che sono dietro le
sbarre, ma anche per coloro che devono affrontare qualsiasi altra forma di oppressione
in Russia e nel mondo.


Boris Kagarlitsky è direttore dell’Institute of Globalization and Social Movements. È un
noto commentatore internazionale sulla politica e la società russa. I suoi libri includono
Empire of the Periphery: Russia and the World System (Pluto Press, 2008), Russia
Under Yeltsin And Putin: Neo-Liberal Autocracy
 (TNI/Pluto). Attualmente è in carcere,
condannato per la sua opposizione alla guerra.

E’ questo il suo ultimo post dal carcere, su Lenin:

https://links.org.au/boris-kagarlitsky-again-lenin