
Non è nostra abitudine segnare (o segnalare) gli anniversari. Facciamo un’eccezione per Rosa Luxemburg, assassinata il 15 gennaio 1919 insieme a Karl Liebknecht, che è stata ricordata ancora una volta domenica scorsa a Berlino da una massa di dimostranti nell’annuale dimostrazione in loro memoria da Frankfurter Tor al cimitero Friedrichsfelde – una manifestazione attaccata con furia dalla polizia, in particolare nella sezione del corteo che esprimeva solidarietà alla causa palestinese.
Ricordiamo Rosa Luxemburg con uno dei suoi ultimi, potenti articoli scritti per Spartacus. E’ il giugno 1918. In Russia il potere è, dall’ottobre 1917, nelle mani dei soviet. La Russia rivoluzionaria, che ha già ceduto, con il trattato di Brest Litovsk (3 marzo 1918), un’enorme estensione del proprio territorio con l’intento di far finire la guerra e innescare la rivoluzione in Europa, è ora sotto attacco da parte delle armate dei generali zaristi, del Giappone e delle potenze democratiche. Ebbro delle proprie conquiste territoriali ad Oriente, il Reich germanico insegue il folle sogno (poi replicato dal nazismo) di estendere il proprio dominio anche ad Occidente sull’intera Europa. Nonostante l’appello alla pace “giusta e senza annessioni” della rivoluzione russa, il proletariato tedesco continua ad assecondare i propri sfruttatori e oppressori. Qui si colloca l’invettiva di Rosa Luxemburg che lo fustiga per la sua “ubbidienza cadaverica” ai comandi dell’imperialismo tedesco. Ma nello stesso tempo, contro ogni evidenza immediata, preconizza il suo passaggio obbligato alla rivoluzione, come in realtà di lì a pochi mesi avvenne, con l’apertura di un processo rivoluzionario che la borghesia tedesca, usando prima la socialdemocrazia e poi il nazismo, impiegò quasi tre lustri a schiacciare nel sangue.
La sconfitta del movimento rivoluzionario del proletariato in Germania, in Ungheria, in Italia e poi in Russia non toglie nulla alla sua grandezza, né alla sua capacità di ispirare oggi gli autentici movimenti di lotta e le forze autenticamente rivoluzionarie nel mondo intero. Il cammino delle classi oppresse alla propria liberazione, del resto, è di necessità lastricato di sconfitte – come la stessa Luxemburg affermò. Questa è la “logica implacabile” della storia della lotta di classe.
La “Rosa rossa” assassinata da più di un secolo profuma di giovanile vitalità, la socialdemocrazia che l’ha assassinata, benché sia ancora al governo, è un cadavere in putrefazione. (Red.)
Verso la catastrofe (n. 9 di Spartacus, giugno 1918)
Il destino storico si compie con logica implacabile. Il proletariato tedesco, che non si è saputo opporre al vortice dell’imperialismo tedesco, è ora trascinato da questo ad abbattere il socialismo e la democrazia in tutta l’Europa. L’operaio tedesco calpesta le ossa dei proletari rivoluzionari russi, ucraini, baltici, finnici, calpesta l’esistenza nazionale dei polacchi, dei lituani, dei rumeni, calpesta una Francia in piena rovina economica, avanza, guadando profondi torrenti di sangue, per piantare ovunque il vittorioso vessillo dell’imperialismo tedesco.
Ma ogni vittoria militare che la carne da cannone tedesca contribuisce a conquistare all’estero, significa un nuovo trionfo politico e sociale all’interno del Reich. Ad ogni attacco alla guardia rossa in Finlandia e nella Russia meridionale cresce il potere degli Junker all’Est dell’Elba e del capitalismo pangermanico. Ad ogni città bombardata delle Fiandre la democrazia tedesca regredisce di un passo.
Già ora, in piena guerra, la classe operaia tedesca viene ricompensata a frustate e staffilate, e se lo merita. (…) I socialisti governativi, i quali speravano di trovare tesori nella palude della loro prostituzione politica, non vi trovano più nemmeno un lombrico. Dopo che la loro politica, il cui unico trofeo è la famosa risoluzione di luglio al Reichstag [una risoluzione che prevedeva una “pace imperialistica” con il riconoscimento alla Germania dei territori annessi con la guerra – n.], è fallita: essi attendono ora, rassegnati, dalle mani di Hindenburg, la “pace tedesca” che seppellirà per sempre rivoluzione e socialismo. (…)
Proprio perché ogni vittoria tedesca all’ovest rafforza la reazione prussiana ed ingigantisce all’interno la follia imperialistica, la creazione di un ordine nuovo, di una certa durata, in Europa, come l’instaurazione di un qualche equilibrio un minimo sopportabile per tutti i popoli, anche sotto forme borghesi capitalistiche, diventa un problema irrisolvibile sotto il diktat tedesco.
Il dominio mondiale della “grossa Bertha”, l’Europa sotto il giogo prussiano-tedesco – queste sono solo fantasie irreali alle quali possono credere i Reventlow [un ufficiale di marina, fautore della guerra ad oltranza – n.] nel loro ingenuo cannibalismo e primitivismo politico, oppure solo le anime da lacchè dei socialisti governativi. Il dominio della sciabola tedesca sull’intera Europa è un delirio prodotto dalla sete di sangue al di là del quale si intravvede il risveglio della rivoluzione in Europa.
Verso questa, e nessun’altra meta, si avviano barcollanti, i “vincitori tedeschi”, quando, senza scrupoli, gettano in rovina intere popolazioni, saccheggiano paesi, strangolano rivoluzioni, “liberano” nazioni, quando depredano pezzi di territori stranieri trasformando ridenti praterie in sterili deserti e spargendo come letame sangue umano.
E come apparirà l’interno della Germania dopo una “vittoria tedesca”? Essa sarà trasformata in un permanente campo militare allo scopo di neutralizzare con il sangue e con il terrore l’Europa sconfitta; ciò significa nient’altro che la ridicola bancarotta dello stato, la catastrofe economica causata dai vertiginosi danni di guerra e dalla costante necessità di continui armamenti.
A questo seguiranno il flagello delle imposte indirette dei monopoli; ciò significa che dopo la carestia prodotta dalla guerra e sopportata per patriottico entusiasmo, la sola ricompensa che spetterà alle masse popolari sarà una lunga quaresima di pace.
E così il millenario impero dell’imperialismo tedesco assomiglia all’anarchia, per l’estero, e alla catastrofe, per l’interno, quanto un uovo assomiglia ad un altro. La “vittoria tedesca”, se e quando avvenga, è costruita sulla sabbia, o su basi ancora più marce, se mai fosse possibile; essa è un castello di sabbia che non è in grado di durare lo spazio di un giorno e le cui fondamenta, appena gettate, già cominciano a tremare e a creparsi.
Il lavoratore tedesco – per quanto ancora resista all’idea e si finga morto per non intendere la voce del suo tempo – dovrà quindi ricorrere all’arma della rivoluzione, quanto prima e comunque immediatamente dopo un’ipotetica “vittoria tedesca”. Il boia della libertà altrui, il gendarme della reazione europea dovrà ben presto ribellarsi contro la sua stessa opera poiché le immutabili leggi storiche non si lasciano aggirare. Con le proprie mani, con la propria ubbidienza cadaverica, con la “vittoria” al servizio della reazione, il proletariato tedesco prepara, proprio in questo momento, la rivoluzione in Europa e, quindi, in Germania.
E quando suonerà l’ora, coloro che adesso voltano le spalle alla Russia per offrire le terga ad Hindenburg, costoro torneranno a guardare all’est per raccogliere da quel braciere un po’ del sacro fuoco che oggi, per ordine dell’imperialismo, essi si sforzano di abbattere e calpestare con i loro stivali militari sporchi di sangue.

Berlino, 10 gennaio 2025, la polizia carica il corteo per Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht