RISPEDITI ALL’INFERNO (2)

L’accordo stretto giovedì 2 febbraio 2017 dal governo italiano di Gentiloni con lo zoppo governo libico di “dis-unità” nazionale di Al Serraj[1] è stato accolto dalla UE nella “Dichiarazione di Malta sull’immigrazione” emessa venerdì al vertice informale di La Valletta. Obiettivo centrale di questo accordo, con validità di tre anni, la chiusura della cosiddetta rotta del Mediterraneo centrale, quella che profughi e emigranti usano prevalentemente dopo la chiusura della rotta orientale. Vengono dal Medio Oriente, principalmente dalla guerra in Siria, e da paesi africani – Cameroon, Eritrea, Gambia, Guinea, Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal, e Sudan, passando per il Niger o il Mali – per fuggire persecuzioni, servizio militare forzato, matrimoni obbligati, o sono alla ricerca di lavoro e istruzione.

La chiusura della rotta orientale è stata decretata dall’accordo UE con il violento e repressivo regime turco di Erdogan, sponsorizzato in particolare dalla Germania, e nell’ultimo quadrimestre del 2016 ha ridotto fortemente l’arrivo di profughi in Europa per questa via rispetto allo stesso periodo del 2015 (-98%). Ma ciò non ha certo risolto la crisi, ha solo contribuito a dirottare il flusso sulla rotta mediterranea centrale, raddoppiandolo rispetto al 2015. Dei 181000 profughi diretti verso l’Europa, il 90% è partito dalla Libia con destinazione Italia. Oltre 5000 di loro non ce l’hanno fatta, il numero più alto mai registrato, una persona ogni 42, nel 2015 il rapporto era di 1/53;[2] ma il costo in vite umane di queste migrazioni è molto maggiore perché prima di giungere sulla costa mediterranea le rotte di terra, e in particolare il deserto del Sahara, decimano le carovane dei migranti.

La cristiana, democratica, progressista, imperialista Europa delega il lavoro sporco contro i profughi al governo fantasma di al-Serraj

Per impedire a coloro che fuggono guerre, repressioni e fame da Medio Oriente e Africa subsahariana di arrivare in Italia occorre la collaborazione con la Libia, loro principale luogo di transito. Ma la Libia è ancora devastata e divisa da una feroce guerra civile. Il governo al-Sarraj, che dovrebbe garantire questa operazione, controllerebbe in realtà un quarto del paese, secondo ISPI. Ancor peggio, al-Sarraj non ha neppure il controllo della capitale, dove l’ex capo del governo islamico Khalifa Ghwell ha più volte ispirato o guidato azioni dimostrative in città allo scopo di destabilizzare ulteriormente l’attuale premier. A Ovest, vicino al confine con la Tunisia, agiscono incontrastati i trafficanti di esseri umani che hanno base tra Sabratha e Zawiyah, centri nevralgici delle partenze nei barconi di morte nel Mediterraneo. A Est, a Misurata, le milizie locali appoggiano il governo di al Sarraj, mantenendosi però indipendenti, nella speranza di conquistarsi un’influenza a livello nazionale. Infine a Sud-Ovest, si trovano i jihadisti dello Stato Islamico e di Ansar Al Sharia, che controllano le aree desertiche.

Intanto in Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, l’avversario di Sarraj che comanda le forze militari del governo di Tobruk e controlla le principali infrastrutture petrolifere del Paese, sta acquistando sempre più potere grazie all’appoggio di Russia ed Egitto e mira a riunire il Paese sotto il suo controllo. Nel frattempo aspetta l’evoluzione delle nuove relazioni tra Washington e Mosca, sperando di poterne trarre vantaggio.

Un quadro di rapporti di forza militari e politici che non sembra affatto garantire l’attuazione del punto centrale del recente accordo.[3] Infatti a pochi giorni dalla firma dell’accordo Gentiloni-al-Serraj, il Parlamento di Tobruk lo ha dichiarato “Nullo e inesistente”, specificando inoltre che non esiste “nessun obbligo morale o materiale” legato a questo accordo perché il governo di unità nazionale libico e il suo primo ministro Fayez al Sarraj “non hanno alcuna giurisdizione nello Stato libico”.

A questo occorre aggiungere che la Guardia Costiera libica – il principale organismo “delegato” dalla UE/Italia ad intercettare e riportare i profughi su terra libica, addestrata dalle marine militari europee (Italia e Olanda al primo posto) e le cui attrezzature sono fornite dall’Italia – soffre di un sistema di corruzione “endemico” (secondo un rapporto dell’ISPI), e non è da escludere che una parte dei suoi uomini appartenga a qualcuna delle varie milizie che nel paese si disputano il bottino. A costoro appunto viene chiesto di fare il lavoro sporco.

Il blocco navale contro i barconi alimenta le reti criminali, e ne alza i profitti

Il testo dell’accordo elenca esplicitamente le misure per rafforzare le intercettazioni in mare e impedire le partenze dalle coste. L’Italia si è impegnata a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, cioè sostanzialmente alla Guardia di frontiera, alla Guardia costiera del Ministero della Difesa, e agli organi del Ministero dell’Interno.

Invece, dal punto di vista della lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani, l’accordo si limita alla generica promessa di ulteriori sforzi per interrompere il business dei trafficanti. Ma queste reti possono essere contrastate solo sottraendo loro la “merce” su cui prosperano: consentendo cioè che i profughi possano entrare legalmente in Europa. Se il patto con al-Serraj funzionasse, servirebbe a bloccarli in Libia, ma il blocco non farebbe che alimentare il ricorso agli scafisti i quali, in presenza di un più alto livello di rischio, chiederanno prezzi più alti per questi viaggi “illegali”.

Un secondo obiettivo dell’accordo con la Libia riguarda la “sicurezza” dei confini terrestri meridionali. L’Italia si è impegnata a finanziare il completamento del sistema di controllo dei confini con il Niger, da cui transitano l’80% dei migranti che entrano in Libia dall’Africa subsahariana.

Il 15 dicembre 2016, su pressione in particolare dell’Italia, della Francia e della Germania, la UE ha stretto un accordo con il Niger, il quale, in cambio di centinaia di milioni di euro, dovrebbe bloccare i “flussi in uscita” ed accogliere quelli eventualmente “di ritorno” dalla Libia e dall’Europa. Ma anche in Niger la situazione è esplosiva, per il continuo aumento di profughi provocato dagli attacchi jihadisti di Boko Haram dal confine con la Nigeria e delle milizie di Al Qaeda o dell’Isis dal Mali.

Infine, nel Memorandum d’intesa l’Italia promette anche «sostegno e finanziamento a programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell’immigrazione illegale, in settori diversi, quali le energie rinnovabili, le infrastrutture, la sanità, i trasporti, lo sviluppo delle risorse umane, l’insegnamento, la formazione del personale e la ricerca scientifica». “Sostegno e finanziamento” sono strumenti che rafforzano la sua presenza economica, assicurando la possibilità di investimenti alle proprie imprese e che, in quanto concordati a livello governativo, ribadiscono al contempo l’influenza politica italiana.

Al già esistente fondo per “lo sviluppo dell’Africa” di 31 miliardi la Commissione UE ha aggiunto 200 milioni di euro per la stabilizzazione della Libia, la sicurezza dei confini e il rafforzamento della sua guardia costiera, il blocco navale a cui la Dichiarazione di Malta assegna ora la priorità.

Blocco navale e muro messicano, ipocrisia e cinismo imperialista

Nulla di concettualmente diverso in questo patto con la Libia, o in quello dello scorso anno con la Turchia, dal muro messicano che vuole costruire Trump. La diversità sta nell’ipocrisia dell’imperialismo europeo a fronte del dichiarato cinismo di quello americano, da cui l’italiana Federica Mogherini a capo della politica estera della UE ha voluto, appunto ipocritamente, prendere le distanze affermando: «Noi non crediamo in divieti e muri»!!!

Perché alla fine si tratta di misure che «Hanno lo stesso effetto dei sigilli posti sulla porta di un edificio in fiamme con la scusa di evitare che le persone si facciano male nel tentativo di fuggire» accusa un esponente di Medici senza Frontiere (MSF).

Ipocrisia e disumanità caratterizzano la Dichiarazione di Malta sul Mediterraneo Centrale, il Consiglio Europeo non si preoccupa della situazione di pericolo in Libia e neppure delle condizioni disumane dei centri di detenzione dei profughi. La UE non ha mai affrontato seriamente il problema del salvataggio dei profughi, anzi è pronta a sacrificare le vite di migliaia di uomini, donne e bambini per salvare la Fortezza Europa.

Quel che importa alla civile Europa è la facciata “legale”: i massacri prodotti dalle guerre o dalla lotta contro profughi e emigranti diventano leciti se derivano da una decisione degli Stati della democratica Europa, decisione che, per renderla accettabile all’opinione pubblica, viene camuffata come lotta contro il terrorismo, contro i trafficanti di esseri umani, difesa della democrazia, dei diritti umani etc.

Ecco è fatta, con la Dichiarazione di Malta sull’immigrazione, i 28 predoni UE possono riportare per procura i profughi diretti in Italia nei campi di concentramento libici, altrimenti definiti “centri di prima accoglienza”. Lo faranno per loro i guardiacoste libici, anche con le motovedette che l’Italia ha regalato alla Libia.

Quali sono le condizioni di vita in questi campi libici? Lo denuncia uno dei direttori di MSF, dopo aver visitato molti degli immigrati detenuti a Tripoli: i profughi «provenienti da paesi dell’Africa Sub-Sahariana sono arrestati e tenuti in detenzione senza processo legale, senza alcun modo per opporsi o fare ricorso, e senza contatto con il mondo esterno […] sono detenuti in condizioni inumane. Senza luce o ventilazione, con scarso accesso a acqua potabile, e spazi altamente sovraffollati. L’assenza di dignità è sconvolgente. I nostri team medici curano circa 500 persone ogni settimana per infezioni delle vie respiratorie, forme di diarrea acuta, malattie cutanee e infezioni del tratto urinario. Patologie che sono direttamente legate alle condizioni di vita all’interno dei centri di detenzione. Inoltre, la mancanza di cibo è un altro serio problema: abbiamo visitato moltissimi adulti in stato di malnutrizione, il che li rende molto più esposti a malattie e forti malesseri.»

Alla situazione descritta si aggiunge l’altissimo livello di violenza e sfruttamento a cui in Libia sono sottoposti i profughi per opera delle forze dell’ordine, delle milizie, dei trafficanti, delle reti criminali come pure di privati.

Cambiano i governi, continua la politica imperialista italiana

C’è forte continuità nei rapporti tra Italia e Libia, nonostante i vari cambi di governo in entrambi i paesi, e soprattutto nonostante la guerra civile libica, continuità evidentemente dovuta al persistere dei forti interessi economici in gioco.[4] L’attuale accordo infatti ricalca quelli già stipulati dall’Italia con l’ex colonia nel 2008 e nel 2012. Il primo, siglato dal ministro degli Interni Maroni (governo Berlusconi) e dal governo Gheddafi, prevedeva che l’Italia pagasse 5 miliardi di dollari alla Libia per pattugliare la costa e impedire ai migranti di partire. Il controllo delle frontiere meridionali della Libia e l’addestramento delle forze di polizia di frontiera locali vennero invece previsti nel patto del 2012 stretto tra il ministro Interni italiano, al tempo Annamaria Cancellieri (governo Monti), e il Consiglio provvisorio Nazionale libico del primo ministro Abdurrahim Abdulhafiz El-Keib.

Crisi immigrati e populismi minano la UE

Prima del vertice di Malta la Cancelliera tedesca aveva dichiarato che il patto siglato con Erdogan non poteva essere un modello da replicare con al Serraj, data la forte instabilità politica e sociale della Libia. Al vertice queste remore sono scomparse, perché? La prima ragione è che il “problema” profughi per la Germania è stato considerevolmente ridotto dal patto con Erdogan, e quindi che l’accordo con al Serraj riesca o meno è soprattutto un problema del governo italiano.

C’è poi la questione elettorale. Far percepire agli elettori che la UE vuole impedire a tutti i costi ai profughi di sbarcare in Italia e in Europa è uno strumento fondamentale delle campagne elettorali dei partiti oggi al governo in quattro paesi della UE dove è in ascesa il populismo nazionalista, anti-europeista, o euro-scettico, con tinte più o meno xenofobe. In Olanda con Geert Wilders, in Francia con Marine Le Pen, in Germania con Alternative für Deutschland (AfD) e Italia con i Salvini/Meloni e i Grillo. Un tema quello degli immigrati “illegali” reso particolarmente caldo dall’elezione del nuovo presidente americano Trump, la cui politica populista condita con nazionalismo, protezionismo e xenofobia dà manforte ai populismi europei, e al contempo punta a dividere la già traballante compagine europea, attaccando la politica condotta dal suo paese leader, la Germania.

Ed è proprio la Germania che, allo scopo di preservare la UE, almeno a 27, oltre ad avallare la leadership italiana sulla questione profughi-Libia (paese dove d’altra parte non ha attualmente grandi interessi e influenza) a fine vertice riprende l’idea di una “UE a due velocità”. Cosa in concreto possa significare non è chiaro, il dibattito a riguardo è in corso da almeno un decennio, e molto variegato. L’aver riproposto ora questa ipotesi ha però un significato preciso. Da una parte è la risposta alle forze centrifughe interne alla UE, dall’altra è la risposta all’esplicito tentativo di Trump di dare una spallata all’edificio europeo. A questo scopo il neopresidente americano cerca di approfittare sia della prossima uscita della Gran Bretagna che del rischio di una Grexit, prospettato nuovamente per la prossima primavera. E intanto lancia le sue profferte di alleanza alla Russia, in una riedizione della spartizione di Yalta, con la quale, dietro la propaganda ideologica, gli Usa cercarono di contenere la ripresa della Germania. Con l’Europa a due velocità la Merkel prende l’iniziativa e dice a Trump: non illuderti, non cederemo tanto facilmente. L’idea è stata subito ripresa dai media italiani, ed esaltata da Gentiloni e … Romano Prodi. Su Repubblica (6.2.2017) si legge: «La proposta di un’Europa “a due velocità” apre uno scenario inedito, ma tutt’altro che irrealistico. Le due velocità esistono da sempre, nei fatti e nei numeri.» Prodi, ex presidente della Commissione UE definisce la proposta Merkel come “Prima reazione al populismo”, una difesa dagli attacchi di Trump e di Marine Le Pen. Ma non esclude il pericolo che la Germania intenda tenere l’Italia fuori dal nocciolo duro…

Cosa rimarrà concretamente di questi progetti dopo le elezioni nei quattro paesi europei, a cominciare dalla Francia, non è prevedibile. Certamente sia il problema della coesione europea che quello dei profughi rimangono aperti e fanno prospettare tensioni sociali crescenti, in Italia come nel resto d’Europa, tensioni che i rivoluzionari non devono permettere vengano utilizzate né dai populisti anti-UE né dai partiti pro-UE per portare al proprio carro i lavoratori. Trump insegna.

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[1] Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana, in http://www.governo.it/articolo/gentiloni-incontra-il-primo-ministro-libico/6684

[2] Secondo il rapporto 2016 di Med/Mig, gruppo di lavoro composto da ricercatori di tre università inglesi (Coventry, Birmingham e Oxford) assieme a enti non profit italiani, greci, turchi e maltesi.

[3] Italia e Libia riaffermano «la ferma determinazione di cooperare per individuare soluzioni urgenti alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia per recarsi in Europa via mare, attraverso la predisposizione dei campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi di origine, lavorando al tempo stesso affinché i paesi di origine accettino i propri cittadini ovvero sottoscrivendo con questi paesi accordi in merito.

[4] cfr. articoli: http://www.combat-coc.org/lospedale-corazzato-per-la-guerra-di-libia/ e http://www.combat-coc.org/unestate-di-sangue-e-di-sbarchi/