Per i comunisti rivoluzionari, l’attualità della Resistenza e della lotta antifascista sta nell’istinto di classe che la lotta antifascista ha portato con sé. Un istinto che neanche i limiti che l’egemonia borghese riuscì ad imporre al moto resistenziale, ingabbiandolo, sono riusciti a cancellare, nonostante sessant’anni di retorica patriottica costruita dalle correnti politiche staliniste, cattoliche, liberali, che influenzarono la direzione della Resistenza.
Oggi, sessant’anni dopo, siamo di nuovo a ricordare l’attualità della “guerra di classe”, per riallacciare il filo rosso della partecipazione proletaria alla lotta antifascista.
Le esperienze che, nell’ambito del movimento resistenziale, tentarono di dare un indirizzo comunista rivoluzionario alla lotta antifascista, da Stella Rossa (Torino) a Bandiera Rossa (Roma) a Il Lavoratore (alto milanese), furono soffocate dallo stalinismo e non ebbero continuità temporale, e non poteva che essere così: pesava, nella dura situazione della clandestinità e della guerriglia, la mancata comprensione del ruolo imperialista dell’URSS e della sua natura sociale capitalistico-statale, il che favorì il loro isolamento ed il riassorbimento nel PCI filo-russo. I quadri migliori rivoluzionari cadevano sotto il piombo del nemico di classe, sia che si presentasse sotto la veste fascista che quella stalinista: da Mauro Venegoni, comandante garibaldino che si rifiutò di rientrare nel PCI, torturato ed ucciso dai fascisti grazie all’isolamento settario provocatogli dagli stalinisti, a Temistocle Vaccarella, dirigente di Stella Rossa, a Fausto Atti e Mario Acquaviva, internazionalisti uccisi dagli stalinisti per aver propagandato il comunismo rivoluzionario presso le brigate partigiane.
E’ indubbio che una parte sempre maggiore della “canaglia pezzente” temprata dalla lotta antifascista, di fronte alla continuità dello sfruttamento di classe tra regime fascista ed istituzioni democratiche abbia continuato a ricercare, nel corso dei decenni successivi alla fine della guerra, un percorso che la portasse fuori dalla retorica interclassista; l’esperienza dissidente di Azione Comunista, ispirata appunto da quadri ed elementi usciti dall’esperienza resistenziale, ne è un valido esempio.
Dalle ondate di agitazioni nelle fabbriche del ’43 e ’44, agli scioperi ferroviari con i sabotaggi ai treni e agli impianti, la saldatura tra brigate partigiane e classe operaia andò ben al di là dei limiti grotteschi dell’ “interesse nazionale” che l’agiografia storica resistenziale ci ha consegnato e continua a propagandare.
Ricordare oggi, sessant’anni dopo, il contributo dei proletari alla lotta antifascista ha senso nel momento in cui si fa un bilancio di quell’esperienza in termini di sconfitta di classe (mancava il partito di classe per trasformare la guerra civile in rivoluzione), operata dalla borghesia e dallo stalinismo, con i propri partiti di riferimento.
Non possiamo che far nostre le conclusioni di un nostro compagno partigiano, commissario politico di una brigata garibaldina in Piemonte, che quarantacinque anni fa scriveva:
«E’ tutta da fare ancora la storia dei contrasti tra formazioni partigiane e reparti alleati o sovietici. La storia delle ribellioni partigiane al di là del termine della guerra è capitolo integrante della storia del movimento partigiano stesso le cui radici sprofondano in tutto lo sviluppo della società contemporanea nei suoi due grandi termini di contrasto: o conservazione o rivoluzione».