Ci eravamo sicuramente distratti pensando che il problema impellente di milioni di lavoratori, disoccupati, pensionati fosse come tirare a fine mese tra inflazione e bollette energetiche, effetti “indotti” di recessione e guerra.
E invece veniamo a sapere dal primo D.L. del governo Meloni di lunedì 31 ottobre che il vero problema è in realtà il “Rave Party” … Con tale Decreto infatti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi introduce il reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o salute pubblica” (art. 434 bis), con pene da 3 fino a 6 anni per gli organizzatori ed i promotori e multe da 1.000 a 10.000 euro.
Sanzionati anche i semplici partecipanti a tali “eventi”. Infatti, a chi anche solo vi partecipa sono applicate le norme ‑ a discrezione di Prefetti e Questori ‑ già previste per i cittadini “pericolosi” col DL 159/2011: fogli di via, divieto di possedere strumenti informatici, ecc. Previste inoltre misure di prevenzione personali, come la sorveglianza speciale. Il reato comporta la procedura d’ufficio se commesso da più di 50 persone e “la confisca obbligatoria dei mezzi che vengono utilizzati per organizzare l’evento”.
Da notare che prima del recente “Rav” di Modena a cui si è appigliato il Decreto, bisogna tornare all’agosto dell’anno scorso per riscontrare in Italia un raduno del genere, e prima ancora al 2007…
Non sembra proprio una situazione di chissà quale “minaccia” per “l’”ordine pubblico, la sicurezza e la salute” come paventa il governo. Il quale tira in ballo il “deterrente per chi viene da tutta Europa pensando di avere in Italia vita facile” (Meloni), richiamando la necessità di “allinearsi alle leggi già in vigore in altri paesi del continente.” (Piantedosi)
Quando si parla di salario minimo, di sostegno ai disoccupati, di leggi sul lavoro, l’Italia non può seguire l’Europa. Mentre sull’ “ordine pubblico” naturalmente sì!
La nostra opposizione non è tanto motivata dal sostegno al Rave Party, ma dal fatto che il Decreto potenzialmente criminalizza le lotte sociali: dalle occupazioni studentesche a quelle abitative, o addirittura operaie (vedi ad esempio i 60 licenziati dell’appalto Vefer di Lissone (MB), che oggi sono entrati in fabbrica).
Chiunque può comprendere allora che siamo di fronte ad un palese pretesto per mirare ad “altro” e “più in alto”.
A cosa? Sicuramente alle possibili “tensioni sociali” che potrebbero derivare dalle crescenti disuguaglianze che hanno mietuto e stanno mietendo numerose vittime tra il proletariato: i salari sempre più bassi; il lavoro (quando c’è) sempre più precario, pericoloso e “volatile”; il disagio giovanile ed abitativo; il degrado ambientale; la devastazione sanitaria esplosa prepotentemente col Covid; e, ultima in ordine di tempo, la “spinta” inflazionistica che decurta ulteriormente salari e pensioni.
C’è materiale a sufficienza per “preoccupare” le classi dominanti; anche alla luce del fatto che comparti ancora “minoritari” ma importanti della classe lavoratrice (i facchini della Logistica, fabbriche come la GKN, i dipendenti dell’ex Alitalia, tanto per fare degli esempi) hanno dimostrato di non essere proni alle “leggi di mercato” e di saper far valere i propri diritti.
È esattamente in tale direzione che si scaglia il neonato governo di destra: “lisciando il pelo” alla sua base elettorale piccolo borghese col suo tratto “identitario” di “Legge ed Ordine”, nel mentre strizza l’occhio al grande padronato, assicurandolo che nulla potrà turbare la “legalitaria” e quotidiana ruberia del lavoro salariato nei grandi agglomerati produttivi.
Del resto, il tanto proclamato “interesse della Nazione” su cui Giorgia Meloni ha costruito la sua fortuna elettorale, deve ancora fare i conti vuoi coi vincoli di Bilancio dell’imperialismo italiano, vuoi con gli accordi in sede U.E., vuoi con il tentativo di un problematico “riallineamento atlantista” insieme ai paesi di Visegrad.
Tutte “patate bollenti” che richiedono una “distrazione di massa” interna (che già coinvolge gli sbarchi dei migranti), non scevra dai soliti “favori” agli evasori (i pagamenti in contante portati a 5.000 euro). Il tutto “picchiando duro” sui proletari (anche se dotati di nobili “sentimenti patriottici”).
Dentro un tale quadro di assestamento del governo di destra “sovranista” (non privo dei primi incidenti di percorso “interni”), va altresì chiaramente denunciata la polemica strumentale condotta in questi giorni dal duo di “opposizione” Letta-Conte contro il provvedimento “liberticida” del governo Meloni.
Il primo è segretario di un partito, il PD, che si è fatto promotore sin dalla nascita delle più odiose politiche antioperaie (dalle leggi sulla precarietà, al Jobs Act, alle “riforme” pensionistiche), governando quasi ininterrottamente da un decennio senza lesinare il ricorso della Forza Pubblica contro le lotte operaie e studentesche.
Il secondo, nel ruolo di Primo Ministro, varando i famigerati “Decreti Sicurezza” di Matteo Salvini: diretti contro migranti e lavoratori in sciopero.
Entrambi, pur con tonalità ed approcci diversi, hanno comunque sostenuto nel governo Draghi la politica “riarmista” ed “interventista” dell’imperialismo italiano nella guerra in Ucraina.
Ora, per ragioni di “opportunità” parlamentare e fiutando magari il rischio di un logoramento derivato dal protrarsi del conflitto, si fanno paladini della “pace” e fingono di “insorgere” contro il Decreto Piantedosi.
Quando la faccia di tolla non conosce confini…
Al di là delle “modifiche” che il Decreto governativo potrebbe subire, della sua “costituzionalità”, delle abborracciate misure “identitarie” in esso contenute, rimane comunque un chiaro segnale della piega che si vuole far prendere ai problemi “sociali” in questo paese. Come prima e più di prima. Da parte nostra, siamo convinti che questo Decreto, come quelli sulla “Sicurezza”, potrà essere ricacciato indietro solo dalla lotta unitaria e di massa da parte dei lavoratori, dei disoccupati, dei senzatetto, dei giovani contro cui sostanzialmente è rivolto.