R. Luxemburg – Al memoriale è quasi rissa


Una lapide in memoria delle vittime dello stalinismo infiamma quelli della
«Kommunistische Plattform» della Pds e i militanti della Dkp (Deutsche
kommunistische Partei) che raccolgono le firme per togliere l’epigrafe.
I frutti marci dello stalinismo vivono ancora, tanti comunisti non più. [ndr]


Guido Ambrosino
Berlino
La commemorazione di Rosa Luxemburg e Karl
Liebknecht
a gennaio – quest’anno è caduta domenica scorsa e sono
venuti in 60mila
– è una delle poche occasioni al mondo in cui le più
disparate tribù della sinistra si incontrano: luxemburghiani veri o di
comodo, pacifisti e insurrezionalisti, leninisti e anarchici,
trotzkisti e maoisti, neoglobalisti e antimperialisti, vecchi
funzionari della Repubblica democratica tedesca e oppositori del
realsocialismo. Comunisti, socialisti, socialdemocratici per bene (che
quelli per male alla Ebert o alla Noske qui non si fanno vedere)
antifascisti con o senza partito e senza aggettivi.
Vengono pure gli
stalinisti. Pensano che Rosa Luxemburg avesse torto pressoché su tutto
– a cominciare dal suo «ultrademocraticismo» per cui la libertà sarebbe
sempre quella di chi la pensa diversamente dal regime di turno – ma che
comunque la considerano una loro icona, visto che è caduta dalla parte
giusta della barricata.
Fu uccisa dai Freikorps chiamati dal governo
provvisorio socialdemocratico a reprimere a Berlino la sollevazione
spartachista del 1919.

Non è che in passato ci fossero grandi
dialoghi tra le diverse tribù in pellegrinaggio per tutta la mattina
verso il «memoriale dei socialisti» di Friedrichsfelde, per deporre un
garofano rosso sulle tombe vuote (i resti delle sepolture originarie
vennero dispersi dai nazisti) di Rosa e Karl. Ma almeno ci si
tollerava. Stavolta, invece, tra quella eterogenea folla di 60mila
persone è quasi scoppiata una rissa. E in centinaia di capannelli si
litigava con irreconciliabili passioni.
Pietra dello scandalo è una
piccola e poco appariscente lastra di granito, larga meno di un metro,
con su scritto: «Alle vittime dello stalinismo». È stata esposta senza
grande pubblicità un mese fa, a cura della associazione privata che
cura il «memoriale dei socialisti» a Friedrichsfelde, previa
approvazione dei socialdemocratici e dei socialisti della
Pds-Linkspartei al governo.

«Quell’iscrizione ha una funzione
anticomunista», dice l’82enne Erika Baum. Per lei «stalinismo» è un
«concetto strumentale dell’arsenale ideologico della borghesia», uno
«slogan per screditare il comunismo». La pensano come lei quelli della
«Kommunistische Plattform» della Pds e i militanti della Dkp (Deutsche
kommunistische Partei).
Quelli della Dkp raccolgono firme per
togliere la «scandalosa» epigrafe. Quando sono arrivati in corteo al
cimitero, si sono avventati sui fiori deposti sull’epigrafe per le
vittime dello stalinismo, li hanno dispersi e calpestati. Altri hanno
cercato di impedirglielo. La polizia è intervenuta per dividerli.
Se
per alcuni la nuova iscrizione è «eccessiva», per molti altri è una
soluzione troppo minimalista e, nella sua laconicità, perfino
reticente. Già nel 1989 lo storico Hermann Weber aveva pubblicato una
lista, certo incompleta e da integrare, con i nomi di 242 comunisti
fucilati in Unione sovietica, dove si erano rifugiati, o morti nei
Gulag o dispersi nel nulla. Stalin ha uccisi più membri del politburo
del partito comunista weimariano di quanti ne abbia uccisi Hitler.

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