Prodi: «Dialogo con Damasco Osservatori tra Libano e Siria»

Maurizio Caprara

Approccio graduale per
affrontare la crisi del Medio Oriente. «È l’ora dei piccoli passi»


«Garantire l’ebraicità di
Israele e uno Stato palestinese»

ROMA — Affinché una spinta europea alla ripresa di un
processo di pace in Medio Oriente eviti di produrre una bolla di sapone o,
all’opposto, l’effetto di un elefante nella cristalleria di equilibri precari,
Romano Prodi sta cercando di individuare un sentiero meno clamoroso, ma più
efficace, di alcuni intravisti finora.
Mentre si dibatte spesso su ipotetiche forze di interposizione dell’Onu a
Gaza senza ottenere progressi, il presidente del Consiglio italiano suggerisce
di «ampliare la missione dell’Unione europea al valico di Rafah ad altri
valichi tra Israele e Gaza e tra Gaza e l’Egitto». In più, chiede di verificare
se si possono «dispiegare altri osservatori lungo il Philadelphi Corridor»,
ossia la parte sud della striscia abitata da palestinesi nella quale andrebbero
tenuti sotto controllo «il contrabbando di armi e lo scavo di tunnel»
.

Allo
stesso tempo, Prodi recepisce due preoccupazioni profonde delle parti in
conflitto, da un lato quella di avere una patria frammentata dai posti di
blocco e dall’altro quella di avere una patria soffocata dall’incremento
demografico arabo: «Ai palestinesi dobbiamo offrire la prospettiva di uno
Stato vitale, con continuità geografica (…). Ma soprattutto dobbiamo offrire
a Israele la garanzia che esso continuerà a essere uno Stato ebraico. Senza
questo riconoscimento, ogni assicurazione sarà inutile»
.
Il presidente del Consiglio si è espresso così ieri in un convegno intitolato «
Business e democrazia: portare il Medio Oriente fuori dalla crisi». A
organizzarlo, a porte chiuse, è stato l’Aspen Institute
, centro studi che
ha raccolto in un albergo di Roma persone diverse tra loro quanto Dan
Gillerman, rappresentante di Israele all’Onu, e Ali Rashid, palestinese con
cittadinanza italiana deputato di Rifondazione, e Kurt Volker, della squadra di
Condoleezza Rice.
L’approccio graduale di Prodi ha tenuto conto, pur senza nominarla, della
principale strettoia: lo spazio ridotto tra la proposta di pace annunciata da
José Luis Zapatero e Jacques Chirac risultata frettolosa e un po’ velleitaria,
l’altolà del premier israeliano Ehud Olmert contro iniziative europee che
riterrebbe un «ingombro», l’attuale assenza di un governo dei Territori pronto
ad accordi di pace
.
«Non è il momento di grandi conferenze internazionali, bensì quello dei
piccoli passi sul terreno per ristabilire la fiducia tra le parti», ha
osservato Prodi
restituendo di fatto l’ipotesi di una conferenza sul Medio
Oriente al ruolo di tappa, non di punto di partenza, che le affida la Road Map,
la via per la pace disegnata nel 2003 da Usa, Ue, Onu e Russia.
Tra pochi giorni, a Roma, un consigliere di Olmert preparerà la visita del
suo premier prevista il 13 dicembre. Prodi ha anticipato che Massimo D’Alema
«tornerà presto a Beirut» e ha detto di aver telefonato al primo ministro
libanese Fouad Siniora confermandogli appoggio. «Con la Siria va tentato un
dialogo, perché le ipotesi di cambio di regime accarezzate da qualcuno
rischiano di aprire scenari incontrollabili», ha avvisato Prodi
, riferendo
di non trovare Bashar al-Assad contrario a «osservatori disarmati e senza
uniformi lungo le frontiere con il Libano». Poi a Lucia Annunziata che lo
incalzava sui rischi per l’Italia in terra di Hezbollah, ha risposto: abbiamo
assicurazioni dai protagonisti che questa storia non si deteriori.

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