PRODI A LE MONDE «CON LA CRISI IN LIBANO L’ITALIA HA RITROVATO UN POSTO SULLA SCENA DIPLOMATICA. IN AMIC

Jean-Jacques Bozonnet
Arnaud Leparmentier
ROMA
Con la crisi in Libano l’Italia ha ritrovato un posto
importante sulla scena diplomatica. Era una priorità per mostrare l’avvento di
un dopo-Berlusconi

«No, non c’è nessun desiderio di rivincita o di
cambiamento a tutti i costi. Si tratta di una scelta politica precisa, ribadita
più volte anche durante la mia campagna elettorale, a favore del
multilateralismo, in linea con le Nazioni Unite, e di uno sforzo a favore di
una politica europea comune. Sarà un lungo cammino, ma la politica italiana
sarà questa. Ciò non significa ostilità verso gli Stati Uniti. Quando ero
presidente della Commissione Europea, avevamo collaborato nella lotta al
terrorismo, e in progetti come Galileo (il sistema europeo di navigazione
satellitare, ndr). Mi sono pubblicamente opposto su un solo argomento: la guerra
in Iraq. Oggi, è venuto il momento di ritornare a una politica estera europea,
in amicizia con gli Stati Uniti. Nella vicenda libanese queste considerazioni
sono state la mia stella Polare».

Non teme una nuova divisione dell’Europa, soprattutto per
quanto riguarda le posizioni della Francia.

«Il processo è complicato, ma non ci sono mai state linee
divergenti. Stavolta, l’Europa non si è divisa. Forse, abbiamo avuto il merito
di procedere tranquillamente, in attesa che gli altri si decidessero, ma mai in
opposizione alla Francia».

Per rilanciare l’integrazione europea il ministro
dell’Interno Giuliano Amato ha proposto la costituzione di un gruppo di
«saggi».

«Questa iniziativa, alla quale sono favorevole, non potrà
proporre una nuova Costituzione, ma sarebbe utile per riaprire il dibattito,
sapendo che non si farà nulla fino alle elezioni francesi. Soprattutto sulle
proposte di principio, in occasione del cinquantesimo anniversario del Trattato
di Roma, il 25 marzo 2007. Secondo me, è possibile ripartire con un progetto
costituzionale semplificato. La terza parte non può essere approvata nello
stato attuale. Io
personalmente mi muoverei verso una Costituzione limitata ai grandi principi
.
Ma bisogna rivedere anche gli aspetti operativi. Con il passaggio dall’Europa a
Sei a quella a Quindici, la solidarietà istintiva che permetteva di prendere le
decisioni all’unanimità era già diventata difficile. In un’Europa a 25, e
domani a 27, la regola dell’unanimità porterebbe a uno stallo assoluto».

È rimasto infastidito dalle critiche della Commissione
Europea sull’insufficienza delle misure economiche nella vostra finanziaria
2007?

«Sono stato professore abbastanza a lungo. Ora che mi
trovo nella situazione di dover fare l’allievo comprendo bene gli errori che
può commettere un professore. La regola del rigore deve valere per tutti.
Quando ero presidente della Commissione, non ho mai nascosto la mia contrarietà
alle deroghe accordate alla Francia e alla Germania. So di avere un debito
maggiore di questi due Paesi, mi devo comportare più rigorosamente nel rispetto
delle regole europee. Cerco di introdurre in Italia l’idea che queste regole
sono vincolanti. Avere una moneta unica senza regole economiche comuni non
funziona».

Al di là dei conti pubblici, come spera di riportare
l’economia italiana nell’avanguardia europea?

«È il punto più difficile. L’Italia ha debolezze enormi.
Negli ultimi tempi la produttività non ha avuto una buona evoluzione. Abbiamo
perduto quasi tutte le nostre grandi imprese. Abbiamo 2000-2500 piccole e medie imprese con un buon
potenziale, ma sono troppo piccole per competere nella globalizzazione. È un
problema di dimensioni e di innovazione.
Per la ricerca, abbiamo preso
esempio dal piano Beffa (che ha creato l’agenzia di innovazioni industriali,
ndr). Abbasseremo il costo del lavoro diminuendo gli oneri sociali. Infine,
cercheremo un riagruppamento delle piccole imprese, soprattutto familiari».

Come fare «scelte coraggiose» con una maggioranza
politica fragile?

«Alcune scelte sono difficili, anche se si può contare su
maggioranze larghe. Guardate la Germania, che pure dispone di una “grande”
coalizione. Le prime liberalizzazioni che abbiamo deciso – su farmacie, taxi,
libere professioni, ecc. – non sono che misure minori. La coalizione è stata
unanime. Non è detto che vi siano più resistenze in una coalizione composta da
più partiti piuttosto che in un solo partito composto da correnti diverse».

In materia economica e sociale, la democristiana Angela
Merkel sembra tenere ha una linea vicina alla sua. Che significa oggi essere di
sinistra in Europa?

«Noi siamo diventati il paese d’Europa con le maggiori
diseguaglianze. In Italia, essere di sinistra significa tornare a una migliore
redistribuzione della ricchezza. In più, in Italia c’è un livello di evasione
fiscale sconosciuta altrove. Berluscuoni ha potuto dichiarare che il 40% dei
redditi degli italiani sfuggono alle imposte. Essere di sinistra vuol dire
ristabilire la giustizia nella ripartizione del fardello, senza fare marcia
indietro sul piano sociale: rendere lo sviluppo del paese compatibile con le
garanzie sociali».

Come definire le solidarietà nel mondo globale di oggi?
«Sotto questo aspetto, l’Unione Europea è di sinistra. È l’unica struttura
mondiale che fa crescere le regioni meno sviluppate più di quelle sviluppate,
grazie ai fondi strutturali e a una politica regionale seria. Un paese privo di
infrastrutture come la Spagna è diventato ultramoderno grazie ai fondi europei
».

Il Sud
dell’Italia è però un esempio opposto.

«È colpa nostra. L’Italia non ha approfittato dei fondi
europei. Sono stati gestiti male, a parte alcune regioni poco conosciute come
la Basilicata e l’Abruzzo.
Dobbiamo fare un
grande sforzo per cambiare, ma la prima cosa da fare è riconoscere che abbiamo
dissipato mezzi enormi».

L’Italia si sente vittima del nazionalismo economico
francese nell’affare Gdf-Suez?

«Per passare dalla fase delle imprese nazionali a quella
dei campioni europei, serve un processo equilibrato. Non può succedere che un
paese è solo cacciatore e un altro soltanto preda. Edf ha il 20% del mercato italiano dell’energia.
È negli interessi della Francia che l’Italia possa giocare un ruolo nell’emergere di imprese europee,
soprattutto energetiche. Noi comprendiamo che bisogna lasciar fare al mercato,
ma un’asimmetria totale e
continua non è politicamente accetabile
. La reazione francese di creare
Gdf-Suez come risposta all’offensiva Enel, riproduce questa asimmetria. È
nell’interesse della Francia gestire con saggezza questo passaggio verso il
mercato europeo».

«Riguardo a temi sociali come il matrimonio tra
omosessuali, cosa ne pensa dell’evoluzione della Spagna di Zapatero?

«Le società sono molto diverse da Paese a Paese. In
Italia, la nostra coalizione ha scelto una strada diversa da quella assai radicale
di Zapatero. Su questi argomenti, non vedo una possibilità di avere
nell’immediato una politica europea comune».

Il programma del partito socialista francese le sembra
adatto all’Europa e alla globalizzazione?

«La sinistra francese non ha un atteggiamento omogeneo
sull’Europa. Noi italiani siamo europei per definizione. La Francia era un
Paese moderno prima dell’Europa. Senza l’Europa l’Italia sarebbe ancora un
Paese rurale. Per noi l’entrata nell’euro è stata una grande soddisfazione,
perché il nostro Paese non era più un’eccezione, era al passo con gli altri.
Anche se Berlusconi in seguito ha denigrato questo evento, si è trattato di un
momento di unità nazionale».

 

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