Prime buone notizie dalla nostra America – su solidarietà agli immigrati, a Mahmoud Khalil, al popolo palestinese

Per gli anti-americani di “sinistra” c’è una sola Amerika: quella dei palazzi del potere e del Pentagono. Loro non vedono nient’altro. Sono accecati da un bieco nazionalismo tricolore, ammantato di sinistrismo (il più infido di tutti i nazionalismi). Per noi internazionalisti, ci sono invece due Americhe. E stiamo costantemente attenti a scrutare i segni che provengono dalla nostra America: quella delle masse proletarie sfruttate e oppresse (a doppio e a triplo, se immigrate o donne); i segni che indicano il loro difficile sforzo per emanciparsi dal dominio materiale e ideologico dell’Amerika dei Trump, dei Biden, dei Musk, dei Bezos, e dei macellai di carne umana del Pentagono al loro servizio.

Qui diamo notizia delle iniziative di solidarietà con gli immigrati, primo bersaglio interno dell’offensiva anti-proletaria a tutto campo della nuova amministrazione Trump. A seguire, riferiamo dell’ultima inchiesta della Gallup, un istituto di sondaggi di una certa attendibilità, che certifica che a livello di opinione la simpatia per il popolo palestinese, pur restando minoritaria (al 33%), non è mai stata così alta, e quella per Israele (che beneficia delle più potenti lobbies sioniste del mondo), non è mai stata così bassa (pur essendo ancora al 46%). Diamo conto, anche delle proteste per la libertà di Mahmoud Khalil, un esponente di spicco del movimento di solidarietà con la resistenza palestinese alla Columbia University.

Le intimidazioni poliziesche, gli arresti a frotte, il terrorismo mediatico, non sono acqua fresca, possono far indietreggiare i movimenti, certo; ma educano e forgiano nuovi militanti per tempi che si preannunciano, negli Stati Uniti e in Europa, di ferro e fuoco.

Cominciamo dalle iniziative di solidarietà con gli immigrati, iniziate poco dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, da nord a sud, contro le politiche di deportazione fortemente sbandierate dalla nuova amministrazione. Non sono proteste di massa: in genere la partecipazione è da poche centinaia di persone a massimo qualche migliaio, ma sono sparse per tutto il territorio statunitense, dalla California al  Michigan, dal Texas a Philadelphia, a Seattle, Boston, Chicago, Washington Dc, comprendendo non solo le grandi metropoli, ma anche le città minori (con numeri inferiori).

Le proteste sono cresciute inizialmente dal 31 gennaio al 5/6 febbraio, nascendo questa volta dagli studenti delle High School (le scuole superiori), diversamente dalle proteste per la Palestina, che hanno avuto il loro fulcro nelle università. Gli studenti delle High School hanno riversato fin da subito la loro protesta nelle strade, con i cosiddetti walkouts, mentre i dirigenti delle scuole spingevano affinché il dissenso si esprimesse all’interno dei perimetri degli edifici scolastici. Anche qui distinguendosi dalle proteste studentesche per la Palestina, che avevano avuto tra le azioni di punta l’occupazione dei campus. Così facendo gli studenti delle High School sono riusciti a coinvolgere in diversi territori componenti dei negozianti immigrati (con alcune serrate, in particolare in California) e un po’ di lavoratori – soprattutto del mondo dell’educazione, e in seguito dei dipendenti federali fortemente sotto attacco da parte di Musk. Le proteste sono giunte a realizzare in diverse occasioni blocchi stradali e autostradali, con alcuni scontri con la polizia e qualche arresto.

Queste proteste hanno inizialmente manifestato contenuti di opposizione molto chiari, scagliandosi contro l’azione del nuovo governo contro gli immigrati e contro l’agenzia ICE (Immigration and Customs Enforcement, nata nel 2003 e usata aggressivamente da Trump per perquisire luoghi di lavoro e territori alla ricerca di immigrati irregolari da arrestare e deportare). Gli slogan e le parole d’ordine dei manifestanti hanno denunciato la divisione tra lavoratori immigrati e statunitensi, tra irregolari e regolari, utile solo a rafforzare l’aggressione dei super-capitalisti alla classe lavoratrice, e hanno descritto l’“emergenza immigrazione” come un problema “fabbricato” ad arte per dividere la popolazione.

I Democratici sono stati completamente assenti, in un primo momento, dalla partecipazione e promozione di queste iniziative – come si sono astenuti in generale da qualunque forma di opposizione alla nuova amministrazione, arrivando a fornire anche una decina di voti al senato per l’approvazione del Laken Riley Act, legge che facilita l’arresto e la deportazione degli immigrati irregolari. In seguito, per il 5 febbraio, un movimento neonato, 50501 (50 protests, 50 states, 1 movement), unitosi poi a un comitato nato per la campagna elettorale di Sanders e per “cambiare dall’interno” il partito democratico (!?!?), ha lanciato una chiamata di manifestazione nazionale nelle città.

Tale chiamata è stata ripetuta il 17 febbraio, e ha visto un ampliamento dei numeri nelle manifestazioni, una maggiore presenza di dipendenti federali (soprattutto a Washington Dc, con la partecipazione di almeno 2.000 lavoratori del pubblico, e così pure a Chicago e in altre città), ma anche un ampliamento e parallelo annacquamento delle rivendicazioni. Le proteste hanno denunciato più che altro la deriva fascisteggiante, la simbologia nazista, l’oligarchia muskiana (presidente non eletto) e gli aspetti autoritari e “dittatoriali” del governo Trump, perdendo però un po’ di vista i significati, le ragioni di fondo e i bersagli primi di questa deriva (espressi invece più chiaramente nelle prime proteste contro le politiche anti-immigrati).

La chiamata del 17 febbraio ha visto anche una partecipazione dei democratici e dei DSA (Democratic Socialists of America), rimasta tuttavia marginale, volta più che altro a blindare e incanalare la protesta. Molte delle proteste si sono tuttavia tenute indipendentemente da tale chiamata e da tale presenza. A Lansing (in Michigan), dove il 5 febbraio i democratici avevano impedito di parlare ai gruppi più radicali, la protesta si è tenuta con diverse centinaia di persone, nonostante il movimento 50501 avesse ritirato il supporto alla manifestazione.

Degno di nota (negativa) è il fatto che nessun sindacato si sia pronunciato, o abbia aderito a tali manifestazioni, nonostante l’attacco già molto pesante sferrato da Trump e Musk nei confronti dei lavoratori, a partire da quelli pubblici.

Tuttavia, in questo mese e mezza di presidenza Trump, si è registrata una intensa attività sindacale nei luoghi di lavoro, un’attività sindacale che già da diversi anni è tornata vivace e vitale negli Stati Uniti, con la mobilitazione di molti giovani lavoratori e scioperi imponenti, come quello indetto dall’UAW nel 2023 contro le tre grandi compagnie automobilistiche Ford, Stellantis e General Motors. Proprio nella Ford di Detroit (Michigan), e purtroppo senza opposizione da parte dell’UAW, pare essere divenuta normale la presenza stabile della polizia in borghese all’interno dello stabilimento (dopo alcuni “raid” alla ricerca di droghe e anche dell’ICE alla ricerca di immigrati irregolari). Lo scopo dichiarato: rassicurare il personale rispetto a preoccupazioni sulle droghe e “altre attività illegali”… ci credete?

Un’altra esperienza importante di quest’ultimo mese e mezzo, di sicuro più avanzata in termini di risposta e organizzazione, è quella di Lincoln Heights, in Ohio, storico quartiere nero, nato spontaneamente da lavoratori afroamericani a inizio Novecento, e che con fatica si era conquistato un riconoscimento amministrativo negli anni ’40. Il 7 febbraio, un gruppo di suprematisti bianchi ha marciato all’ingresso del quartiere con chiara simbologia nazista, scortato dalla polizia. In risposta gli abitanti del quartiere, che il 7 sono riusciti a cacciare il gruppo di neonazisti, hanno organizzato delle ronde (watch) armate con fucili per autodifendersi – visto l’atteggiamento della polizia – che continuano tutt’oggi, rilanciando un’intensa attività di quartiere che vede come punti di ritrovo le scuole, le chiese locali, ecc. Queste ronde, inizialmente tollerate, sono ora diventate oggetto di campagna denigratoria della stampa locale e di contrasto da parte dello sceriffo, che chiaramente vedono una minaccia nel livello determinato di autoorganizzazione proposto dagli abitanti di Lincoln Heights. L’abbiamo già segnalata.

https://progressive.org/latest/we-stick-together-residents-of-historically-black-suburb-protect-themselves-after-neo-nazi-rally-gencer-20250303

https://www.wcpo.com/news/local-news/hamilton-county/lincoln-heights/you-fight-for-what-you-want-how-the-history-of-lincoln-heights-impacted-communitys-response-to-neo-nazis

https://www.yahoo.com/news/lincoln-heights-expanding-movement-become-043851176.html?guccounter=1&guce_referrer=aHR0cHM6Ly93d3cuZ29vZ2xlLml0Lw&guce_referrer_sig=AQAAAHbs8kyMmYzVVxmwtBTldsW73r-UcFs_48W9IXGFuputWvjD_ZgTkxZr1LW4otbecMKWBPLN5CmDI-kEDgsNi0P0B2dPPtPJUua3xuWdlKprf11mQIBGIYNPP9Bq31WbzvlQR-jA_9LV4u-F6Uhf4rZg_4bg-XVHamYf7QyaIHb2

Qui, invece, il riferimento al sondaggio della Gallup di cui abbiamo parlato sopra.

https://news.gallup.com/poll/657404/less-half-sympathetic-toward-israelis.aspx

Ed ora alcune notizie sulla aggressione al movimento per la Palestina.

Il governo Trump, notoriamente affetto dalla sindrome del braccio-teso, al preteso scopo di combattere l’antisemitismo, dà seguito alla minaccia di decapitare il movimento di denuncia alla macchina di sterminio israelo-statunitense, e di solidarietà alla lotta palestinese. Nello scorso fine settimana, le autorità federali per l’immigrazione hanno arrestato illegalmente Mahmoud Khalil, leader palestinese della mobilitazione delle acampadas propagatasi lo scorso anno dall’università della Columbia. I metodi sono brutali, l’obiettivo è silenziare il dissenso con il terrore (trovate i dettagli a questo link; aggiungiamo solo che un giudice ha temporaneamente bloccato la procedura per la deportazione di Khalil). Ha denunciato, tra gli altri, Jewish Voice for Peace:

“The Trump administration’s outrageous detention of Mahmoud is designed to instill terror in students speaking out for Palestinian freedom and immigrant communities” […]. This is the fascist playbook. We all must fiercely reject it, and universities must start protecting its students.”

In linea con l’amministrazione di “Genocide Joe”, Trump vuole dunque estirpare un movimento di protesta che sembra stia guadagnando consensi, nel mentre vedono scendere (come abbiamo visto) il favore verso lsraele. E’ un movimento che può radicalizzare la conflittualità interna – protagoniste le giovani generazioni e le comunità immigrate -, e nelle sue punte più avanzate ha un chiaro significato di denuncia dell’imperialismo a stelle e strisce. E’ possibile, e naturalmente per noi auspicabile, che Trump finisca con il gettare benzina sul fuoco. Il 10 marzo, a New York, si è radunata una folla in solidarietà con Mahmoud Khalil, inneggiando alla liberazione della patria degli oppressi: “From the river to the sea, Palestine will be free“. La polizia ha caricato violentemente, effettuando degli arresti.

Dalle notizie che abbiamo potuto raccogliere, l’11 marzo vi è stato inoltre un piccolo raduno per Khalil presso il campus della UC Berkeley, mentre ieri [13 marzo] c’è stata una protesta per Khalil di centinaia di attivisti, tra cui gli appartenenti a Jews Voice for Peace, dentro la Trump Tower, con 98 arresti.

https://www.repubblica.it/video/socialnews/2025/03/14/video/trump_tower_protesta_new_york_columbia_palestina_jewish_voice_for_peace-424062402