Portare alla leadership (l’industria tedesca degli armamenti)

I paesi UE hanno per la prima volta superato USA
e Russia nell’export di armamenti. (Rapporto SIPRI).

  • Nel 2005, la spesa globale per gli armamenti + 3,7%, a €950 MD, + 1/3 negli ultimi 10 anni;
    quasi la metà della spesa
    per armamenti spetta agli USA.

  • la
    spesa armamenti UE-1,7%, su 2004; UE presentata come modello opposto agli USA
    guerrafondai, ma contemporaneamente è divenuta il maggior esportatore mondiale
    di armi.

  • La Germania risulta per il 2005 il 4° maggior venditore internazionale
    di armi per guerre diverse, $4,4MD, (in cui non sono compresi importanti
    prodotti come la componentistica per gli armamenti gran parte dell’export
    tedesco di armamenti); gli esportatori di armamenti tedeschi si avvalgono della
    tutela delle garanzie dello Stato tedesco per l’export in generale, le
    cosiddette Hermes-Bürgschaften a cui dal 1990 sono stati riconosciuti
    contributi a spese del contribuente tedesco di €6,3 MD; nel 2005 le garanzie
    statali sono ammontante a €308 mn., tra cui per affari con Pakistan e Russia.

  • Al di fuori della UE, la Germania vende armi
    soprattutto a Turchia, Sud Africa, Malesia e Israele.

Secondo classifica SIPRI 2001-2005 (5 anni), UE ancora al
terzo posto;

  • Russia, 2001-05, export armi $29 MD;

  • USA $28,2;

  • 18 paesi UE $25,371MD (pari a 27%
    dell’export totale);

2005:

Export UE $7,821 MD, con Francia $2,399 MD, Germania
$1,855MD.

USA, $7,101MD e

Russia, $5,771MD.

  • L’export di armamenti è appoggiato di fatto
    dalle commissioni sindacali e fatto accettare da alleanze corporative con le
    imprese degli armamenti contro possibili opposizioni aziendali;

  • La cooperazione sindacale nel settore armamenti
    ha una tradizione in Germania: sia nella preparazione della Prima Guerra Mondiale che della Seconda queste
    strutture sono riuscite a impegnare al massimo le forze produttive aziendali e
    a fornire obiettivi nazionalistici con una copertura collettivistica. Anche
    oggi viene utilizzata la stessa fraseologia (responsabilità europea della
    Germania) per portare alla leadership la produzione tedesca di armamenti.

  • 2002, in una dichiarazione congiunta di consigli
    di fabbrica delle imprese tedesche di armamenti e dei rappresentanti dei
    militari e dell’industria si sottolinea: «l’importanza strategica dell’industria
    di tecnologia per gli armamenti per la sovranità tedesca e per l’influenza
    della Germania in Europa e nel mondo».

  • È stato organizzato il Gruppo di lavoro “Tecnica
    e posti di lavoro in IG-Metall, in realtà uno strumento corporativo per
    chiedere al governo di incentivare maggiormente gli sforzi di espansione del
    settore degli armamenti.

  • le rappresentanze dei lavoratori di queste
    industrie consigliano alleanze strategiche e joint-venture con le imprese degli
    armamenti russe ed ucraine.

Maggio 2005,
dibattito nel Gruppo di lavoro…
sulla situazione della cantieristica bellica, con conclusione:

  • «nella ristrutturazione del settore la Germania
    deve assumere la direzione politica», «non si tratta solo di un dovere di
    politica industriale nazionale, ma anche di una responsabilità europea della
    Germania e del suo governo».

Inizio 2006, sull’industria aerospaziale militare:

  • i
    rappresentanti sindacali: «carente comprensione degli interessi strategici
    del paese»; nella ristrutturazione europea del settore la Germania fa la parte
    del leone, ma gli interessi tedeschi non sono difesi a sufficienza;

  • riguardo all’industria per l’esercito: in molti
    settori tecnologici è al primo posto in Europa e in alcuni anche a livello
    internazionale; obiettivo renderla competitiva a livello
    globale:

  • il mercato tedesco è troppo ristretto, la
    soluzione è nel mercato europeo, in cui le imprese tedesche dovrebbero avere la
    leadership.

  • la politica tedesca dovrebbe mirare a «collegare
    di fatto industria, ricerca e politica», e alla costruzione di un campione
    nazionale, che «posa svolgere un ruolo determinante sia in una futura fusione
    franco-tedesca, che in una unione paneuropea»;

  • a questo fine occorre un atteggiamento
    aggressivo, a Bruxelles la Germania finora avrebbe dovuto accettare «continui
    svantaggi nella lotta di ripartizione contro stati nazionali organizzati
    centralisticamente che impongo i propri quasi senza scrupolo»;

  • (sempre i sindacati:) il governo tedesco
    non deve puntare solo a uno sviluppo franco-tedesco, deve prendere in
    considerazioni anche altre varianti, vale a dire l’Est Europa dove Russia e
    Ucraina sono per tradizione forti nella
    costruzione di carri armati;

  • le competenze delle imprese ucraine in sistemi,
    sottosistemi, componentistica e armamento potrebbero essere sfruttate tramite
    alleanze strategiche o joint-venture con imprese tedesche».

Analoghe richieste sono state avanzate alla conferenza
dell’Associazione sindacale europea dei metalmeccanici (EMF).

Elmar Rauch, che studia da anni il settore vendita armamenti
ha auspicato una «industria degli armamenti unitaria (europea)», che possa
staccarsi dalla Nato, perché dispone di migliori ingegneri e migliore
equipaggiamento.

Rauch rappresenta il gruppo aerospaziale russo-ucraino RUSLAN Salis, che
mette a disposizione aerei cargo di grandi dimensioni per i rifornimenti nelle
aeree di operazione della Bundeswehr.German
Foreign Policy 06-06-16

In Führung
bringen

STOCKHOLM/BERLIN/FRANKFURT
AM MAIN

(Eigener
Bericht) –

– Die
Staaten der Europäischen Union sind zum international größten Waffenxporteur
aufgestiegen und haben erstmals die USA und Russland übertroffen. Dies geht aus dem in dieser Woche
veröffentlichten Jahresbericht des Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) hervor.

– Demnach
war Deutschland 2005 der weltweit viertgrößte Waffenlieferant für diverse
Kriege. Deutsche Rüstungsbetriebe
profitierten bei ihren tödlichen Ausfuhren in hohem Maße von staatlichen
Bürgschaften.

– Die Waffenausfuhr wird von deutschen Gewerkschaftsgremien
tatkräftig unterstützt und in korporativen Bündnissen mit den
Rüstungsunternehmen gegen mögliche betriebliche Widerstände durchgesetzt.

– Die Bundesregierung müsse bei der Neustrukturierung
der europäischen Wehrindustrie "selbstbewusster" auftreten, habe
"die eigenen Interessen in diesem Prozess zu definieren, sie strategisch
vorzubereiten, finanziell zu unterfüttern und politisch durchzusetzen",
heißt es in den damit befassten Gewerkschaftskreisen. Die Vertretung der
organisierten deutschen Rüstungsindustrie-Arbeiter empfiehlt strategische
Allianzen sowie Joint-Ventures mit russischen und ukrainischen Unternehmen.

Kriegsgewinne

– Die
globalen Rüstungsausgaben sind nach SIPRI-Angaben im Jahr 2005 um 3,7 Prozent
auf 950 Milliarden Euro angestiegen und haben damit in den
letzten zehn Jahren um ein Drittel zugenommen.[1] In deutschen Medien
werden dafür in erster Linie die
USA verantwortlich gemacht, auf die allein fast die Hälfte der Militärausgaben
entfällt – vor allem aufgrund der Kriegseinsätze im Irak und in
Afghanistan.[2]

– Als angeblich ziviles Gegenmodell wird das Europa der EU
präsentiert: Im Vergleich zu 2004 sanken dort die Militärausgaben um 1,7
Prozent.[3]

– Aber zugleich ist die EU zum weltweit größten Waffenexporteur
aufgestiegen.

– In der SIPRI-Rangliste, die auf einem
Fünfjahresrahmen beruht, werden die EU-Staaten noch auf den dritten Rang eingestuft: Russland
exportierte von 2001 bis 2005 Militärmaterial im Wert von 29 Milliarden
US-Dollar, gefolgt von den USA mit 28,2 Milliarden; im selben Zeitraum
verkauften 18 EU-Staaten Waffen für 25,371 Milliarden Dollar (27
Prozent der globalen Exporte).

– Im vergangenen Jahr jedoch stieg der
EU-Waffenexport auf einen Wert von 7,821 Milliarden Dollar und übertraf die
Ausfuhren der USA (7,101 Milliarden) und Russlands (5,771 Milliarden). Führende
Lieferanten waren dabei die Kernmächte Frankreich (2,399 Milliarden) und
Deutschland (1,855 Milliarden).[4]

Nummer vier

Bei ihren
weltweiten Exporten stützen sich die deutschen Waffenproduzenten auf die
offensive Rüstungsexportpolitik der Bundesregierung.[5]

– Deutschland
war in den vergangenen vier Jahren der viertgrößte Waffenexporteur weltweit und
exportierte Kriegsgerät im Wert von 4,4 Milliarden Euro. Dabei sind wichtige Produkte wie Rüstungskomponenten noch gar nicht
erfasst.

– Außerhalb der EU verkaufte Deutschland Militärmaterial vor
allem an die Türkei, Südafrika, Malaysia und Israel.[6]

– Die Bundesregierung förderte dabei den Export von
Rüstungsgütern in erheblichem Ausmaß mit Steuergeldern: Seit 1990 wurden für
Rüstungsexporte so genannte Hermes-Bürgschaften im Wert von 6,3 Milliarden Euro
gewährt. Allein im
vergangenen Jahr wurden Garantien in Höhe von 308 Millionen Euro
übernommen, unter anderem für
Geschäfte mit Pakistan und Russland.[7] Die deutschen
Rüstungsproduzenten sind mit der erreichten Stellung jedoch keineswegs
zufrieden und fordern noch mehr staatliche Bürgschaften für die Ausfuhr von
Kriegsmaterial.[8]

Rückendeckung

Engagierte
Unterstützung für ihre weltweite Expansion erfährt die deutsche Rüstungsindustrie
auch von den organisierten Vertretern ihrer Arbeitskräfte. Bereits im April 2002 betonten
Betriebsräte deutscher Waffenproduzenten in einer gemeinsamen Erklärung mit
Militär- und Industrievertretern "die strategische Bedeutung der
wehrtechnischen Industrie für die deutsche Souveränität sowie für den Einfluss
Deutschlands in Europa und der Welt".[9] Organisiert wird die Hilfestellung für die Forderungen
der Rüstungsindustrie vom Arbeitskreis "Wehrtechnik und Arbeitsplätze in
der IG Metall", in dem die Betriebsräte aller Rüstungsunternehmen
vertreten sind. Der "Arbeitskreis", bei dem sich in Wirklichkeit um ein korporatives Instrument
gemeinschaftlicher Industriepolitik handelt, verlangt die Steigerung des
Weltmarktanteils deutscher Waffenproduzenten mit einer Reihe von Erklärungen,
in denen die Bundesregierung aufgefordert wird, rüstungsindustrielle Expansionsbestrebungen
stärker zu fördern.

Marine, …

Ende Mai 2005
etwa diskutierte der "Arbeitskreis" die Lage des deutschen Kriegsschiffbaus.
Dabei gelangte er zu dem Schluss, aus der deutschen Technologieführerschaft bei konventionellen U-Booten,
Fregatten, Korvetten, Schnellbooten und Minenjagdbooten ergebe sich "nicht
nur eine nationale industriepolitische Verpflichtung, sondern darüber hinaus
eine europäische Verantwortung Deutschlands und der Bundesregierung, bei der
Neustrukturierung dieses Sektors die politische Führung zu übernehmen."[10]

… Luftwaffe, …

Anfang dieses
Jahres folgte auf die
Marine-Stellungnahme eine Erklärung zur Lage der militärischen Luft- und
Raumfahrtindustrie. Auch in diesem Bereich beklagen die Gewerkschaftsvertreter eine
mangelnde "Verständigung über die nationalen, strategischen Interessen dieses
Landes": Bei der europaweiten Neustrukturierung der Luft- und
Raumfahrtindustrie zahle Deutschland zwar den Löwenanteil, die deutschen
Interessen aber würden, "wenn überhaupt", dann "nur unzureichend"
berücksichtigt.[11]

… Heer

Sorge bereit
dem "Arbeitskreis" auch
die Zukunft der deutschen Heeresindustrie, die er als "auf vielen Technologiefeldern
europaweit und in einigen Sektoren sogar weltweit führend"
betrachtet. Das Ziel sei eine "global wettbewerbsfähige Heeresindustrie",
heißt es in einer weiteren, soeben erschienenen Erklärung.[12]

Verteilungskampf

– Da der deutsche Markt zu klein sei, werde zu recht eine
europäische Lösung angestrebt; darin sollten jedoch die deutschen
Unternehmen eine führende Rolle spielen. Die deutsche Politik müsse ihr Augenmerk daher
zunächst auf die Schaffung
eines starken deutschen Standortes, eine "tatsächliche Verzahnung von
Industrie, Forschung und Politik" und die Herausbildung eines "National
Champion" richten, "der sowohl bei einer späteren
deutsch-französischen Fusion als auch einem paneuropäischen Verbund eine bestimmende
Rolle spielen kann". Um dieses ehrgeizige Ziel zu erreichen, sei ein offensiveres Vorgehen nötig,
erklären die Gewerkschaftsvertreter: Schließlich müsse Deutschland bisher in Brüssel "ständige
Nachteile im Verteilungskampf gegen wohlorganisierte, nahezu skrupellos
Eigeninteressen durchsetzende zentralistisch organisierte Nationalstaaten"
hinnehmen.[13]

Optionen

Die Bundesregierung dürfe dabei nicht
ausschließlich auf eine deutsch-französische Entwicklung setzen, sondern müsse
auch andere Varianten im Auge behalten, empfehlen die Gewerkschafter:
"Verschiedene Alternativen und mehrere Optionen zu haben, würde letztlich
auch die deutsche Verhandlungsposition gegenüber allen denkbaren Partnern
verbessern." Alternativen für die deutschen Rüstungsunternehmen meinen die
Gewerkschafter in Osteuropa zu
erkennen, da Russland und die Ukraine traditionell große Stärken im Panzerbau
hätten. Angesichts der Lage nach dem Umsturz in Kiew "könnten die
technologischen und industriellen Kernkompetenzen ukrainischer Firmen bei
Systemen, Subsystemen, Komponenten und Bewaffnung durchaus zu strategischen
Allianzen oder Jointventures mit deutschen Firmen genutzt werden", heißt
es.[14]

Unterstützung

– Ähnliche
Forderungen werden auf Konferenzen des europäischen Metallgewerkschaftsbundes
(EMF) erhoben. Dort tritt u.a. Dr. Elmar Rauch auf, ein
Mann mit langjährigen Kenntnissen auf dem Gebiet des Waffenhandels.
Rauch hat sich exklusiven Interessen verschrieben und drängte bei einer EMF-Tagung auf eine
"einheitliche (europäische) Rüstungsindustrie", die sich von
der NATO abkoppeln könnte, weil sie über die bessere Ausstattung und die
"besseren Ingenieure" verfügt.[15] Der Rat des
Gewerkschaftsreferenten, bei dem es sich um einen früheren Mitarbeiter des
deutschen Verteidigungsministeriums handelt, zielt auf deutsch-russische
Rüstungsallianzen – nicht ganz uneigennützig: Rauch vertritt das
russisch-ukrainische Luftfahrtunternehmen RUSLAN Salis.[16] Beraten von Rauch
und mit der stillen Unterstützung deutscher Gewerkschaftsgremien stellt RUSLAN
Salis Großraumtransporter für Waffenlieferungen in die Operationsgebiete der
Bundeswehr zur Verfügung.[17]

Hülle

Die gewerkschaftliche Zuarbeit auf dem Rüstungsgebiet hat in Deutschland Tradition und erklärt
die industrielle Leistungsfähigkeit der entsprechenden Betriebe. Sie unterstehen einem korporativen
Leitungssystems, das eventuelle Belegschaftswiderstände durch gewerkschaftliche
Konsensbemühungen eliminiert. Mit diesen Strukturen gelang es sowohl in Vorbereitung auf den Ersten wie
auf den Zweiten Weltkrieg, die betrieblichen Produktivkräfte aufs
Äußerste anzuspannen und sie mit einer gemeinschaftlichen Hülle nationaler
Zielsetzungen zu versehen.[18] Die
heutigen Darlegungen des wehrwirtschaftlichen "Arbeitskreises" der IG
Metall ("europäische Verantwortung Deutschlands") sind solchen
Phraseologien verwandt und helfen, die deutsche Rüstungsproduktion in Führung
zu bringen.

[1] SIPRI
informiert seit 34 Jahren über die militärischen Konflikte der Welt und über
die Entwicklung der Rüstungsindustrie.

[2] USA
treiben weltweite Rüstungsausgaben nach oben; dpa 12.06.2006

[3] Nur in
Europa sinken die Militärausgaben; tageszeitung 13.6.2006

[4] EU-Staaten
verkaufen die meisten Waffen; Frankfurter Rundschau 13.06.2006. S. auch
"Spektakuläre Erfolge" im Waffenhandel

[5] s. dazu
Interview mit Andrea Kolling und Interview mit Christopher Steinmetz (BITS)

[6] s. dazu
Rüstungsexport-Offensive und Friedensmacht

[7]
Bundesregierung fördert Waffenexport mit Steuergeldern; Die Linke im Bundestag.
Pressemitteilung vom 13.06.2006. S. auch Kein Fall für Berlin

[8] s. dazu Um
die Führung Europas

[9] s. dazu
Deutsche Betriebsräte: "Strategische Bedeutung der wehrtechnischen
Industrie" und Bundeswehr und Industrie fordern verstärkte Aufrüstung

[10] Erklärung
des "Arbeitskreises Wehrtechnik und Arbeitsplätze in der IG Metall"
zur Lage des Marineschiffbaus in Deutschland; www.dmkn.de. S. auch Größeres
Selbstbewusstsein

[11]
Arbeitskreis "Wehrtechnik und Arbeitsplätze in der IG Metall":
Ottobrunner Erklärung. Zur Lage der militärischen Luft- und Raumfahrtindustrie
in Deutschland, Frankfurt am Main Januar 2006. S. auch Krieg aus dem All und
Gegen Ziele auf der Erde

[12]
Arbeitskreis "Wehrtechnik und Arbeitsplätze in der IG Metall":
Kasseler Erklärung zur Lage der heerestechnischen Industrie in Deutschland,
Frankfurt am Main Mai 2006. S. auch Gewehr bei Fuß und Nationaler Egoismus

[13], [14] s.
dazu Richtige Richtung

[15] s. dazu
Windiges…

[16] s. auch
Windiges aus der deutschen Luftfahrt

[17] Lesen Sie
auch unser EXTRA-Dossier Drehkreuz Leipzig

[18] Fritz
Fischer: Griff nach der Weltmacht. Die Kriegszielpolitik des kaiserlichen
Deutschland 1914/18, Düsseldorf 1967

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