PIU’ MERCATO A BERLINO – Mario Monti

Dopo le prossime elezioni tedesche, è auspicabile una maggiore apertura
di mercato in FRANCIA e GERMANIA e meno protezioni nazionali.
Sul futuro dell’economia europea e dell’euro avranno più impatto
le elezioni in tre grandi Paesi
– domani in Germania, nella primavera
prossima in Italia, un anno dopo in Francia – di quanto potranno averne
tutte le decisioni della Banca Centrale Europea, della Commissione e dei sette
vertici dei 25 capi di governo che avranno luogo nel frattempo
. Le
politiche che determinano la crescita, la competitività e l’occupazione sono in
larga misura di competenza dei singoli Paesi e questi tre Paesi pesano per il
52 per cento sul prodotto interno lordo dell’Unione Europea e per il 69 per
cento su quello della zona euro. Quando si dice che l’economia europea «va
male» e che l’euro o la politica della Banca Centrale europea «ostacolano la
crescita» si dice qualcosa che cesserebbe istantaneamente di essere vera, se si
guardasse al resto dell’Unione Europea o della zona euro. Sono soprattutto
le tre grandi economie continentali (e fra queste in misura accentuata
l’Italia) ad avere prestazioni insoddisfacenti.
Il peso di questi tre Paesi è molto rilevante anche nel determinare la
direzione e il ritmo delle politiche comunitarie. Essi, e soprattutto la
Francia e la Germania, sono stati negli ultimi anni fattori frenanti nel
processo di integrazione economica e di liberalizzazione
(si pensi alla
liberalizzazione dell’energia, alla direttiva sulle offerte pubbliche di
acquisto o alla direttiva sui servizi), mentre in passato ne erano stati i
principali propulsori
.
È importante che dalle tre elezioni emergano leadership – e condizioni di
governabilità – capaci soprattutto di rendere più moderne e competitive le
rispettive «economie sociali di mercato». Ciò richiede riforme strutturali che,
rendendo più efficiente il mercato consentano anche di conseguire in modo
migliore e più sostenibile gli obiettivi sociali
. (Indicazioni interessanti
sono state presentate la settimana scorsa al consiglio Ecofin di Manchester, su
invito del ministro britannico Gordon Brown, da André Sapir: Globalization and
the reform of European Social Models , www.bruegel.org).
Ma perché questi progressi avvengano, a me sembra necessario uno «sblocco»
di tipo culturale, in particolare in Francia e in Germania: la riappropriazione
dell’economia di mercato
. Mi ha colpito negli ultimi anni – anche come
interlocutore di quei due governi affinché rispettassero le regole del mercato
unico e della concorrenza – una certa presa di distanza dai principi
dell’economia di mercato. Più riottoso e difensivo in Germania,
intellettualmente più aggressivo e sublimato da ascendenze colbertiane in
Francia, l’atteggiamento del potere politico, ma in parte degli stessi poteri
economici, nei confronti del «mercato» ha rivelato una crescente alienazione. Sempre
più spesso tedeschi e francesi, riferendosi al mercato, hanno preso ad usare
due coppie di aggettivi spregiativi: «ultra liberale» e «anglo-sassone».
È anglosassone, in Europa, l’economia di mercato? Se pensano così, tedeschi
e francesi danno prova di eccessiva (e, per alcuni di loro, inconsueta)
modestia e stravolgono la storia. Fu la Germania a improntare al mercato la
costruzione europea
. Negli Anni Cinquanta Ludwig Erhard mise in pratica i
principi elaborati nei decenni precedenti dalla Scuola di Friburgo e diede vita
in Germania alla Soziale Marktwirtschaft , con un fondamentale pilastro fatto
di mercato e di concorrenza.
Con l’appoggio della Francia, e anche dell’Italia, questa concezione ha
permeato di sé il trattato di Roma del 1957, con l’integrazione dei mercati e
le regole della concorrenza
.
In che condizioni si trovava, in quegli anni, la patria anglosassone dell’Europa,
la Gran Bretagna? La sua economia non era affatto «ultra liberale». Fino
all’avvento di Margaret Thatcher venti anni dopo, quella economia era, semmai,
«paleo-socialista». Quando, all’inizio degli anni Settanta, ebbe luogo il
dibattito sull’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità Europea, i fautori
dell’ingresso usavano anche l’argomento: «Così ci ancoreremo all’economia di
mercato di stampo tedesco e metteremo ordine nella nostra». Fu un po’ come,
venti anni dopo, sarebbe avvenuto per l’Italia e gli altri Paesi che hanno
desiderato ancorarsi alla disciplina del bilancio pubblico di stampo tedesco.
(Ai lettori più giovani va ricordato che, allora, la finanza pubblica tedesca
era un modello di disciplina).
Credo che se Germania e Francia vogliono ammodernare le loro economie, renderle
più competitive e dare così slancio all’intera Europa – facilitando anche il
difficilissimo cammino dell’Italia – debbano ritrovare un po’ di orgoglio. Sono
loro, non gli anglosassoni, che hanno tracciato la strada.
Qualunque sia l’esito delle elezioni tedesche è auspicabile che questa
riflessione dia coraggio per le riforme. Quanto alla Francia, la neo-presidente
del Medef (la Confindustria francese), Laurence Parisot, nel suo primo discorso
ha dichiarato: «Voglio fare amare ai francesi l’economia di mercato». Mi pare
che abbia capito il problema. Speriamo che riesca nel suo intento, se possibile
prima delle elezioni presidenziali della primavera 2007.

 

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