autore: ADRIANA CERRETELLI
Il piano «anti-vincoli» del cancelliere condiziona i lavori di Bruxelles
DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES • Erano già arrivati profondamente divisi a Bruxelles i 12 ministri dell’Eurogruppo ritrovatisi ieri sera per tentare di far uscire dall’impasse sei mesi di negoziati sulla riforma del Patto di stabilità. La sortita del cancelliere tedesco Gerhard Schröder, che alla vigilia dell’incontro ha messo nero su bianco una proposta decisamente più improntata alla crescita che alla stabilità, è riuscita a complicare ulteriorimente la mediazione di Jean-Claude Juncker, il premier e ministro delle Finanze lussemburghese attuale presidente dell’Unione, dell’eurozona e dell’Ecofin. Riunione insomma ad altissima tensione, persino al di là delle aspettative.
«È sempre difficile arrivare a un compromesso quando i capi di Governo interferiscono nel lavoro dei ministri delle Finanze» ha dichiarato all’ingresso, visibilmente teso, l’olandese Gerrit Zalm, l’irriducibile del rigore del Patto. «Noi siamo perfettamente d’accordo con la Banca centrale europea e con la Bundesbank: il Patto va rafforzato e va rafforzato anche il ruolo della Commissione europea» ha rincarato un altro “duro”, l’austriaco Karl-Heinz Grasser annunciando la presentazione di una propria proposta «per l’applicazione graduale delle sanzioni previste dal Patto».
Più morbido ma non meno critico il belga Didier Reynders: «Schröder ha ragione di insistere sulla necessità di disporre dei margini di manovra necessari per attuare grandi riforme e favorire la crescita ma non si può attentare alla regola del 3% per il deficit, perché è importante. Perché quando la si supera, è difficile tornare indietro. In Belgio ci abbiamo messo vent’anni per tornare a un bilancio in equilibrio».
Su un’Europa che alla fine dovrà decidere con voto unanime dei 25 se cambiare davvero le regole del Patto, su un’Europa profondamente spaccata tra rigoristi (Olanda, Austria e Finlandia, paesi medio-piccoli e virtuosi), decisi aperturisti (Germania, Francia, Italia, Grecia e Portogallo, cioè i tre pesi massimi e due minimi, tutti uniti da un bagaglio di squilibri più o meno macroscopici) e gli altri in posizione possibilista, la proposta di Schröder è piombata violenta come un ciclone, creando inevitabile scompiglio. Meno ortodossa di così, in effetti, era difficile immaginarla.
Eccone i punti essenziali.
• L’indicatore del 3% è inadeguato per giudicare una politica di bilancio mirata insieme alla stabilità e alla crescita economica, perché il primo obiettivo nel !
breve termine più entrare in conflitto con il secondo; ” Se un paese è in deficit eccessivo ma ha il potenziale per tornare sotto il 3% o di ridurre il debito nel medio termine, non va aperta nessuna procedura nei suoi confronti; # Per stabilire se un Paese è o no in deficit eccessivo, Bruxelles e l’Ecofin utilizzeranno nuovi criteri vincolanti, il primo dei quali sarà quello di «una sana politica per la crescita e l’occupazione per cui deve disporre di margini di manovra». I criteri sono a) le riforme per preservare lo stato sociale, migliorare il mercato del lavoro e il sistema fiscale insieme alle spese per istruzione, ricerca e innovazione; b) l’impatto della stagnazione e non solo della recessione, nonché il contributo dei singoli Paesi alla stabilità dei prezzi; c) gli oneri specifici di ciascuno, immensi costi della riunificazione e forti contributi al bilancio europeo nel caso tedesco; $ Le interferenze di Bruxelles sulla sovranità nazionale delle politiche bilancio è ammessa solo in casi molto limitati: nessuna procedura antideficit eccessivo nei confronti dei paesi che rientrino nel grosso dei criteri di cui sopra; % Ogni paese presenterà invece il proprio programma di rientro dal disavanzo eccessivo e potrà essere oggetto di una procedura solo se il programma sarà carente o non rispettato per sua colpa; & Anche i paesi che non rispettino i criteri e siano quindi soggetti a procedura dovranno poter disporre del tempo necessario per indirizzare la politica economica e di bilancio agli obiettivi della crescita e dell’occupazione.
Evidente in questo schema la caduta di quasi tutti i vincoli, dunque l’aperta insurrezione della Bundesbank. E quella altrettanto assicurata della Bce. Tanto che ieri sera a Bruxelles il tedesco Hans Eichel ha tentato di sdrammatizzarne la portata sostenendo che «non si tratta di cambiare i criteri ma di rafforzare il Patto in termini economici». Da Parigi, dove si sono incontrati, i ministri degli Esteri Gianfranco Fini e Michel Barnier hanno tenuto a sottolineare «la sostanziale convergenza di vedute tra Italia e Francia sulla necessità di approdare a una nuova interpretazione del patto».
«È sempre difficile arrivare a un compromesso quando i capi di Governo interferiscono nel lavoro dei ministri delle Finanze» ha dichiarato all’ingresso, visibilmente teso, l’olandese Gerrit Zalm, l’irriducibile del rigore del Patto. «Noi siamo perfettamente d’accordo con la Banca centrale europea e con la Bundesbank: il Patto va rafforzato e va rafforzato anche il ruolo della Commissione europea» ha rincarato un altro “duro”, l’austriaco Karl-Heinz Grasser annunciando la presentazione di una propria proposta «per l’applicazione graduale delle sanzioni previste dal Patto».
Più morbido ma non meno critico il belga Didier Reynders: «Schröder ha ragione di insistere sulla necessità di disporre dei margini di manovra necessari per attuare grandi riforme e favorire la crescita ma non si può attentare alla regola del 3% per il deficit, perché è importante. Perché quando la si supera, è difficile tornare indietro. In Belgio ci abbiamo messo vent’anni per tornare a un bilancio in equilibrio».
Su un’Europa che alla fine dovrà decidere con voto unanime dei 25 se cambiare davvero le regole del Patto, su un’Europa profondamente spaccata tra rigoristi (Olanda, Austria e Finlandia, paesi medio-piccoli e virtuosi), decisi aperturisti (Germania, Francia, Italia, Grecia e Portogallo, cioè i tre pesi massimi e due minimi, tutti uniti da un bagaglio di squilibri più o meno macroscopici) e gli altri in posizione possibilista, la proposta di Schröder è piombata violenta come un ciclone, creando inevitabile scompiglio. Meno ortodossa di così, in effetti, era difficile immaginarla.
Eccone i punti essenziali.
• L’indicatore del 3% è inadeguato per giudicare una politica di bilancio mirata insieme alla stabilità e alla crescita economica, perché il primo obiettivo nel !
breve termine più entrare in conflitto con il secondo; ” Se un paese è in deficit eccessivo ma ha il potenziale per tornare sotto il 3% o di ridurre il debito nel medio termine, non va aperta nessuna procedura nei suoi confronti; # Per stabilire se un Paese è o no in deficit eccessivo, Bruxelles e l’Ecofin utilizzeranno nuovi criteri vincolanti, il primo dei quali sarà quello di «una sana politica per la crescita e l’occupazione per cui deve disporre di margini di manovra». I criteri sono a) le riforme per preservare lo stato sociale, migliorare il mercato del lavoro e il sistema fiscale insieme alle spese per istruzione, ricerca e innovazione; b) l’impatto della stagnazione e non solo della recessione, nonché il contributo dei singoli Paesi alla stabilità dei prezzi; c) gli oneri specifici di ciascuno, immensi costi della riunificazione e forti contributi al bilancio europeo nel caso tedesco; $ Le interferenze di Bruxelles sulla sovranità nazionale delle politiche bilancio è ammessa solo in casi molto limitati: nessuna procedura antideficit eccessivo nei confronti dei paesi che rientrino nel grosso dei criteri di cui sopra; % Ogni paese presenterà invece il proprio programma di rientro dal disavanzo eccessivo e potrà essere oggetto di una procedura solo se il programma sarà carente o non rispettato per sua colpa; & Anche i paesi che non rispettino i criteri e siano quindi soggetti a procedura dovranno poter disporre del tempo necessario per indirizzare la politica economica e di bilancio agli obiettivi della crescita e dell’occupazione.
Evidente in questo schema la caduta di quasi tutti i vincoli, dunque l’aperta insurrezione della Bundesbank. E quella altrettanto assicurata della Bce. Tanto che ieri sera a Bruxelles il tedesco Hans Eichel ha tentato di sdrammatizzarne la portata sostenendo che «non si tratta di cambiare i criteri ma di rafforzare il Patto in termini economici». Da Parigi, dove si sono incontrati, i ministri degli Esteri Gianfranco Fini e Michel Barnier hanno tenuto a sottolineare «la sostanziale convergenza di vedute tra Italia e Francia sulla necessità di approdare a una nuova interpretazione del patto».