Peretz rompe il tabù: «Troppi poveri in Israele»

ISRAELE, MEDIO ORIENTE

CORRIERE Dom. 26/3/2006  
Davide Frattini

L’obiettivo del partito è conquistare 21 seggi nelle
elezioni del 28 marzo per negoziare un accordo di governo con Kadima del
premier Olmert

Al centro della campagna elettorale del leader laburista
le condizioni di vita nel Paese

Il nuovo leader laburista PERETZ (sefardita) punta sui
temi sociali e sulla crescente povertà, ma ha già ridimensionato gli iniziali
programmi radicali.

GERUSALEMME – «Non chiamatela fame». Tre anni fa Ariel
Sharon si era arrabbiato con le organizzazioni caritatevoli americane che
sbandieravano i nuovi poveri israeliani per raccogliere fondi. Quel 22% di
famiglie malnutrite, citato in un rapporto di Washington e rilanciato in un
dépliant fatto girare fra i donatori, «offre un immagine distorta e indebolisce
il Paese», aveva commentato il premier. E i suoi ministri avevano votato un
documento per condannare «una manovra che mette in pericolo la sicurezza
nazionale».
Oggi che i poveri non sono diminuiti (il 25% degli israeliani vive sotto la
soglia fissata a 7,6 euro al giorno per persona) e che Amir Peretz guida il
partito laburista, la parola fame non è più un tabù. Per l’ex leader del
sindacato Histradut è lo slogan della campagna elettorale
, la linea rossa
che non intende superare se dovesse partecipare a una coalizione di governo
dopo il voto di martedì prossimo. Per il premier ad interim Ehud Olmert è
stato il primo problema da affrontare, quando è diventato anche ministro delle
Finanze, al posto di Benjamin Netanyahu
.
«Il Labour sembra aver capito che i divari crescenti nella società israeliana –
spiega Gabriel Sheffer, professore di Scienze politiche all’Università ebraica
di Gerusalemme – andavano messi al centro del suo messaggio». O come Peretz ha
raccontato in una lunga intervista a Nahum Barnea su Yedioth Ahronoth «per
la prima volta siamo un partito socialdemocratico, perché vogliamo ribaltare un
paradosso: gli operai sono laburisti tutto l’anno, tranne il giorno in cui
votano per il Likud; gli industriali come Dov Lautman sono likudnik sempre,
tranne quando scelgono la sinistra»
.
Questo volta Lautman ha già scelto il centro e Kadima di Olmert, forse
spaventato dalle promesse di Peretz: raddoppiare il reddito minimo garantito
(fino a 930 euro), pensione per tutti, allargare la copertura sanitaria. In
realtà nei cinque mesi dalla vittoria alle primarie nel partito, il leader
laburista ha ridotto gli obiettivi rivoluzionari
e i baffi che facevano
troppo Stalin. Nella sua squadra è entrato Avishai Braverman, un economista
che è stato alla Banca Mondiale e che potrebbe diventare il prossimo ministro
delle Finanze
, se il Labour dovesse superare i ventuno seggi e poter pesare
nella trattativa per la formazione del governo con Kadima, che di seggi sembra
destinato a vincerne 37.
«Tutti capiscono l’importanza di mantenere un’economia dinamica – ha
spiegato Yaakov Fisher della società di consulenza I-Biz al Financial Times -.
E’ la lezione impartita da Netanyahu
, anche se adesso gli viene attribuita
ogni colpa». Da ministro delle Finanze fino all’agosto del 2005, il capo del
Likud ha garantito una crescita consecutiva del Prodotto interno lordo attorno
al 4%, inflazione bassa, tassi di interesse stabili, un calo nella
disoccupazione. Ma le privatizzazioni e i tagli alla spesa pubblica hanno
aumentato la povertà in un Paese che fin dalla fondazione è stato costruito
attorno a un’etica egalitaria
.
«Ha fatto a Israele quello che la Thatcher ha fatto alla Gran Bretagna», ripete
Peretz. Che parla di una cospirazione per fermare le riforme: «Gruppi contrari
alle mie iniziative sociali mi attaccano perché non so l’inglese, perché non
sarei in grado di trattare questioni diplomatiche. Shimon Peres, da quando è
passato con Kadima, mi paragona a Lenin. Ma non si è mai visto un Lenin
marocchino». Israele non aveva mai visto neppure un marocchino alla guida
dei laburisti, che per tradizione raccolgono voti tra l’élite ashkenazita (gli
ebrei provenienti dall’Europa). E’ anche la prima volta che un mizrahi (di
origine nordafricana) corre per la poltrona di primo ministro
.
Con lui al comando la sinistra era convinta di poter conquistare gli abitanti
di quelle roccaforti del disagio e del Likud che sono città come Sderot,
schiacciata tra il deserto del Negev e la Striscia di Gaza, di cui Peretz è
stato sindaco. Ma il Labour è fermo nei sondaggi a ventuno seggi, perché se
qualche nuovo elettore è stato espugnato, altrettanti veterani se ne sono
andati verso Kadima: infastiditi dalle prime uscite del nuovo boss, dal suo «socialismo
vecchia scuola», dalla risata rintronante.
«Peretz ha fatto emergere – spiega Shlomo Ben-Ami, ex ministro degli Esteri
laburista, anche lui di origine marocchina – la frattura etnica che è sempre
stata presente. Ma non si può accusare solo il razzismo, quando si presenta un
candidato che non risponde ai requisiti essenziali». Lo show satirico Eretz
Nehederet
(Un Paese meraviglioso) ne ha fatto una specie di pagliaccio
dalle camicie assurde e dall’accento incomprensibile. «Quando è stato nominato
leader del Labour – ha commentato sarcastico Amnon Levy su Yedioth – la
nazione era così imbarazzata che per la campagna elettorale hanno dovuto
richiamare dal suo kibbutz Lova Eliav, un uomo con ottant’anni di esperienza
ashkenazita alle spalle. Il marocchino andava purificato».

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