Per un’opposizione cosciente ai governi della borghesia

A
due mesi dal suo insediamento, il governo Prodi sta confermando il
nostro peraltro facile pronostico: un altro governo per il grande
capitale.

Chi
ha votato a sinistra perché stufo di vedere lo strafottente imbonitore
Berlusconi può essere soddisfatto. Di certo l’immagine sorniona e
pretesca di Prodi non può suscitare tanti odi – né tanti amori. Ma chi
ha votato a sinistra sperando che da quel voto potesse venire un
cambiamento sociale positivo per i lavoratori, dovrà presto ricredersi
– e riflettere.
Come mettiamo in evidenza nelle pagine che seguono, col pretesto del “buco” lasciato nei conti pubblici dal suo predecessore, il governo Prodi si appresta a varare provvedimenti che colpiscono il lavoro dipendente – su pensioni, sanità e pubblico impiego – come neanche il governo Berlusconi aveva osato fare, approfittando della sudditanza sindacale verso il “governo amico”.
Il “popolo della sinistra” che ancora identifica la “sinistra” parlamentare con chi sta dalla parte dei lavoratori deve osservare i fatti e constatare che ciò non corrisponde al vero. Forse nessun governo negli ultimi decenni è stato sostenuto dal tifo della Confindustria quanto l’attuale; forse mai come in queste settimane il giornale della Confindustria è stato tanto filo-governativo senza riserve.

Una ragione in più di questo appoggio è nel fatto che questo governo, come avevamo ipotizzato (vedi PM n. 11-12), sta cercando di caratterizzarsi per la sua azione di liberalizzazione nei confronti dei settori della piccola borghesia protetti da leggi corporative. Ė un’esigenza del grande capitale, del capitalismo italiano nel suo complesso per rafforzarsi nella concorrenza sul mercato mondiale. L’esito di quest’azione sarebbe la chiusura e/o l’assorbimento di centinaia di migliaia di piccole imprese da parte di imprese medie e grandi, la riduzione a lavoratori dipendenti, ossia la proletarizzazione, di qualche milione di lavoratori indipendenti. Ė naturale che lavoratori autonomi e piccola borghesia oppongano una resistenza accanita (vedi tassisti, avvocati, farmacisti). Ė già evidente che il governo è pronto a mediazioni al ribasso. Ė possibile del resto che tutto si riveli solo un diversivo, una campagna propagandistica per conquistare il consenso dei lavoratori dipendenti e distogliere l’attenzione dalle misure di tagli ancora a loro carico, mentre le loro organizzazioni sindacali si mostrano ben più malleabili.

“La democrazia è il migliore involucro” per il dominio della borghesia, dice Lenin

I voti dei lavoratori che hanno dato al centro sinistra la vittoria elettorale sul filo di lana sono utilizzati non al servizio dei lavoratori, ma del grande capitale. Mentre DS e Margherita contendono ai partiti del centro-destra la rappresentanza organica dei grandi gruppi capitalistici – di quelli che chiamavano i “poteri forti”– Rifondazione ha assolto il ruolo di portare a questo schieramento anche i voti di coloro che si ritengono “anti-sistema”. I voti contro il capitalismo per sostenere il capitalismo; i voti contro la guerra per continuare le guerre, e prepararsi per nuove guerre – con gli inevitabili travagli e contraddizioni.

“Il potere esecutivo sembra ora tenere sotto scacco un potere legislativo con le mani legate… Il ruolo del Parlamento appare sempre più formale e notarile”– ha osservato il Sole-24 Ore con riferimento alla “blindatura” di leggi ed emendamenti da parte del governo, e all’uso del voto di fiducia che serve tanto a sostenere il governo che a salvare l’immagine “anti-sistema” (più che la coscienza) a un drappello di senatori della sinistra “estrema” per i quali far vivere il governo è comunque più importante che opporsi alla sua politica. Il cretinismo parlamentare è una malattia tutt’altro che debellata a sinistra.

Non saremo noi a sostenere le prerogative del Parlamento contro quelle dell’Esecutivo. Non c’è bisogno di alimentare le vecchie, fallimentari illusioni parlamentaristiche. Non è in Parlamento che i lavoratori devono cercare la propria rappresentanza. Come dimostriamo, il Parlamento è il regno degli avvocati dei burocrati e dei funzionari di partito e sindacali, dei giornalisti e dei professori universitari. I capitalisti trovano più gratificante far soldi e farsi servire da costoro; i salariati sono chiamati a scegliere a quale schieramento borghese dare il voto ogni cinque anni. Tra i molti che con l’astensione sfuggono a questo ruolo umiliante sono ancora pochi purtroppo coloro che lo fanno con piena consapevolezza, e che sono pronti a un impegno in prima persona. Ė ad essi che ci rivolgiamo – insieme a coloro che hanno votato turandosi il naso con la logica del “male minore”, non avendo davanti a sé alcuna alternativa pratica.

L’obiettivo dei comunisti

Le ragioni della nostra opposizione di classe al governo Prodi come a quello Berlusconi sono anche nella difesa delle condizioni di vita dei lavoratori, ma non si esauriscono in essa. Nei luoghi di lavoro, nelle battaglie sindacali i comunisti rivoluzionari fanno fronte comune con tutti coloro che difendono in maniera più conseguente gli interessi dei lavoratori, contrapposti a quelli del capitale. La difesa e il miglioramento delle condizioni di vita di chi lavora ci sta a cuore. Ma sappiamo che esso, come scrisse Rosa Luxembug, è una “fatica di Sisifo”: ciò che si conquista oggi si potrà perdere domani e bisognerà lottare solo per difenderlo o per riconquistarlo. Gran parte di quello che hanno conquistato le generazioni operaie dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’80 ci è stato tolto, e senza lotta saremo ancora costretti ad arretrare. Se il nostro scopo si limitasse a partecipare a questa pur necessaria fatica di Sisifo, non ci dovremmo definire comunisti. La lotta economica sulle condizioni di vendita della forza lavoro rimane tutta all’interno del sistema, dei rapporti di produzione capitalistici. Il lavoratore rimane uno schiavo salariato, strumento per la produzione di profitti per la classe dei capitalisti, e alla mercé dell’andamento del mercato.

Noi siamo comunisti perché vogliamo sopprimere questa condizione. La divisione della società in una classe che produce e una che si appropria del lavoro altrui perché controlla i mezzi di produzione, deve essere abolita. La produzione dovrà avere per scopo immediato il soddisfacimento dei bisogni di tutti, non i profitti per riprodurre il capitale coi suoi scontri e le sue guerre. Il nostro obiettivo finale è: “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

Non potranno essere delle elezioni a darci questo. Solo l’azione cosciente della massa dei lavoratori potrà “espropriare gli espropriatori”, liberare l’umanità da questo destino.

Ė con questa prospettiva che ci impegniamo nella intransigente difesa delle condizioni dei lavoratori. Il vero problema non è una diversa ripartizione del prodotto ma il controllo sulla produzione sociale. Nella lotta contro il padronato e il governo per difendere le proprie condizioni nuovi gruppi di lavoratori possono maturare questa consapevolezza: identificando la propria condizione individuale con quella della classe; toccando con mano il fatto che i partiti che operano per la conciliazione degli interessi dei lavoratori con quelli del capitale sono in realtà per la loro subordinazione alle esigenze capitalistiche, che lo Stato è l’espressione e l’organo del dominio di classe del capitale.

Ma quella della lotta economica non è l’unica via per la quale può maturare la coscienza comunista. La violenza delle guerre e delle repressioni che è davanti agli occhi di tutti, se compresa come la proiezione esterna di questo dominio di classe, della concorrenza tra classi dominanti e i loro Stati per la spartizione del mondo, è un fatto non meno persuasivo della necessità di rovesciare il capitalismo. Non si tratta di gridare ai governanti borghesi che la smettano di mandare proletari a scannarsi tra loro per gli interessi dei capitalisti, di invitarli a fare i loro interessi senza l’uso delle armi, come fanno i pacifisti. Si tratta di smascherare e denunciare lo stretto legame tra le guerre e gli interessi capitalistici, a partire da quelli del nostro imperialismo, per costruire una forza capace di rovesciare il sistema sociale che genera le guerre. Quando cesserà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo cesserà anche la guerra.

La realtà sociale, il peggioramento delle condizioni di lavoro, la sua crescente precarietà, le difficili condizioni di vita, il disagio e l’indignazione che le notizie e le immagini di guerre e oppressione nel mondo suscitano in molti – mentre scriviamo all’Irak e all’Afghanistan si aggiungono i morti e le macerie del Libano, insieme a numerose guerre dimenticate e anche più sanguinose (si vedano gli articoli su Congo e Somalia) – portano in ogni momento lavoratori e singoli individui, soprattutto giovani, a schierarsi “contro”, ad intuire che ci dev’essere un’alternativa, a cercare questa alternativa.

A tutti loro ci rivolgiamo, e a coloro che questa stessa via stanno cercando di percorrere in varie organizzazioni, per una opposizione proletaria e internazionalista al nuovo governo del grande capitale e all’imperialismo italiano, e lavorare insieme alla costruzione del partito rivoluzionario, con modestia ma con determinazione, e la consapevolezza che il capitalismo con le sue tragiche contraddizioni forma continuamente i suoi oppositori in tutti i paesi del mondo.

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