Per un 25 aprile di lotta di classe

Le celebrazioni ufficiali per il venticinque aprile di quest’anno suonano particolarmente ipocrite.

Mentre decantano la superiorità della democrazia, della libertà di parola, dello stato di diritto, le autorità dello stato italiano hanno appena siglato insieme agli altri governi europei un accordo col regime liberticida della Turchia per affidargli la repressione dei migranti. Festeggiano la fine dell’occupazione militare nazifascista, ma hanno appena deciso l’invio di nuove truppe all’estero (in Iraq e Kuwait, col prossimo invio di 450 soldati a protezione della diga di Mosul, i soldati italiani diventerebbero 1.300, che si aggiungerebbero ai 600 nei Balcani, 1.100 in Libano, 800 in Afghanistan e altre missioni). Elogiano la Costituzione di una repubblica “fondata sul lavoro” che riconosce la libertà di organizzazione sindacale, ma hanno appena varato una serie di leggi per intensificare lo sfruttamento ed estendere la precarietà e si apprestano a far diventare legge un accordo sindacale che toglie rappresentatività a quei sindacati che non si accontentano di fare da reggicoda di padroni e governo ma vogliono fare il proprio mestiere: difendere i lavoratori da sfruttamento e precarietà.

Non vi è contraddizione fra la difesa del profitto e la sovrastruttura democratica, che anzi garantisce una migliore rappresentanza degli interessi borghesi e una migliore governabilità delle tensioni sociali. Ma la forma democratica non esclude affatto la repressione. Nel nome della lotta al terrorismo, nella Francia dei Diritti dell’Uomo il governo del “socialista” Hollande ha varato un pacchetto di norme liberticide per meglio reprimere ogni dissenso sociale. Negli Stati Uniti, nazione nata da una rivoluzione democratica, il Patriot Act varato sull’onda degli attentati dell’11 settembre ha permesso operazioni di repressione e spionaggio di massa, ma soprattutto sequestri, torture e detenzioni arbitrarie su vasta scala (solo recentemente la CIA ha annunciato che non sarà più praticata la tortura del “waterboarding”, mentre nel famigerato campo di concentramento di Guantanamo decine di detenuti aspettano ancora di essere liberati). In Italia il reato di clandestinità e il ricatto del permesso di soggiorno sostituisce la certezza del diritto con l’arbitrio di polizia e padroni, perché non vi sono le risorse sufficienti per eseguire il rimpatrio degli immigrati irregolari, ma un lavoratore straniero che si permette di alzare la testa rischia di vedersi negato il rinnovo del permesso e di essere espulso. In Ungheria e in Spagna sono state varate norme restrittive della libertà di stampa, libertà che in ogni paese è sottoposta al controllo del mercato, perché in ultima istanza sono gli imprenditori dell’informazione a decidere quali informazioni vengono pubblicate e come esse devono influenzare l’opinione pubblica.

A questo di aggiunge la repressione delle migrazioni che continua a mietere vittime nel Mediterraneo, mentre alle porte dell’Europa migliaia di profughi sono confinati nel fango in attesa di sapere il proprio destino, profughi che hanno dovuto lasciare le loro case per una guerra in gran parte fomentata dalle stesse nazioni democratiche che ora negano loro l’asilo e subappaltano ai regimi autoritari la repressione dei flussi, perché anche per le democrazie i diritti umani vanno bene finché sono utili alla propaganda e alla politica estera, non quando la ostacolano. Il trattamento riservato a Giulio Regeni, torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziane, è la regola per i molti lavoratori egiziani che combattono contro lo sfruttamento e la dittatura del presidente Al Sisi che lo promuove, dittatura che proprio in quei giorni stava rafforzando i legami commerciali con lo stato italiano.

Le celebrazioni di oggi sono quindi la degna rappresentazione di una classe dirigente che ha sostenuto il fascismo per vent’anni per farlo cadere quando è diventato un ostacolo ai suoi interessi, che ha partecipato alla Resistenza per mutare la forma dello stato, ma non la sua sostanza di garante del dominio del capitale.

Ma la Resistenza è stata anche la lotta della classe lavoratrice per una società migliore, una lotta che priva di una direzione rivoluzionaria è stata prima cavalcata e poi sconfitta dall’antifascismo borghese. Le ragioni di questa lotta sono sempre più valide. Per noi comunisti il modo più coerente per per valorizzare questa resistenza è supportare e dove possibile promuovere lo scontro fra sfruttati e sfruttatori, favorire l’unione fra le diverse organizzazioni che vi partecipano, far lievitare in questo scontro una coscienza politica anticapitalista per abbattere il sistema che ieri ha prodotto il fascismo e oggi continua a produrre, guerre, oppressione, sfruttamento e miseria.

Profughi