Parigi, 17 ottobre 1961.
Lo stato di emergenza fu introdotto da una legge speciale del 3 aprile 1955 in Algeria, allora dipartimento d’Oltremare. Nello stato d’emergenza, a livello locale i prefetti possono imporre il coprifuoco, il divieto di assembramento (di assemblea), e la libertà di perquisizione anche delle abitazioni senza mandato. Il governo lo può imporre per 12 giorni. Il parlamento può prorogarlo per 3 mesi.
La legge di emergenza venne utilizzata a Parigi nell’ottobre 1961, nell’ultima fase della guerra d’Algeria in cui il FLN agiva anche sul territorio francese, organizzando gli immigrati algerini (uccisione di 22 poliziotti). Il coprifuoco vietava di uscire di casa dopo le 22 ai francesi, dopo le 20 agli immigrati. L’FLN organizzò una manifestazione di protesta il 17 ottobre, cui parteciparono 20 mila persone, uccidendo secondo la polizia circa 50 algerini, circa 400 secondo lo storico J.L. Einaudi che studiò i documenti cimiteriali. Risulta che a centinaia gli immigrati vennero gettati nella Senna dopo essere stati ridotti in fin di vita. Seguì una feroce repressione poliziesca, con pestaggi indiscriminati. Diecimila furono gli arrestati. Il prefetto Papon, che era a capo delle operazioni, durante la II guerra mondiale si era distinto nelle deportazioni di ebrei da Bordeaux.
La memoria di questo massacro si era quasi persa perché il PCF tenne vivo solo il ricordo dei 9 manifestanti uccisi nel febbraio 1962 durante una sua manifestazione per la pace in Algeria (non per l’indipendenza), passando nell’oblìo la strage del 17 ottobre 1961.
Ora un sito internet documenta quelle vicende (http://17octobre1961.free.fr/index.htm).
Parigi, ottobre 1961: massacro razzista
Il cadavere di Fatima Bedar è stato restituito dalla Senna solo il 31 ottobre 1961. Mallek Amar, arrestato il 17 ottobre, 4 giorni dopo era morto. Sono solo due delle centinaia di algerini uccisi nell’ottobre del 1961, dall’imperialismo francese.
Da quarant’anni su questo massacro di Stato è stesa una coltre di silenzio. Inizialmente negli atti ufficiali si cominciò a parlare di due-tre morti vittime della repressione poliziesca, poi saliti a trentadue. Una cifra molto lontana dai duecento, stabiliti sulla base di minuziose ricerche da Jean-Luc Einaudi, nel suo La Bataille de Paris. Il numero esatto degli assassinati è tuttavia ancora ufficialmente “non noto”. La comunità algerina francese stima in circa quattrocento le vittime della polizia, dell’Oas e di altre forze dell’estrema destra, in quel buio mese d’ottobre del 1961.
Una guerra di liberazione nazionale
Il Fln (Fronte di liberazione nazionale) algerino, fondato nel 1954, aveva proclamato l’indipendenza e respinto la proposta gaullista, passata nel 1956, di aderire alla “Comunità francese”, che avrebbe raccolto le ex colonie, sull’esempio del Commonwealth britannico. Alla dichiarazione d’indipendenza del Fln, reagì l’Oas (Organizzazione dell’esercito segreto), che riuniva i coloni francesi in Algeria e godeva del sostegno dell’estrema destra e di settori importanti dell’esercito. Questa coalizione reazionaria tentò un colpo di stato del 1958: al suo fallimento l’Oas fece seguire un’ondata di attentati terroristici contro la popolazione civile algerina. E’ in questo contesto che il Fln decise di esportare la lotta nel cuore della metropoli, in Francia, mentre continuava la pressione sui coloni perché lasciassero l’Algeria. Una strategia in seguito adottata dai palestinesi nella loro lotta contro l’occupazione israeliana. L’indipendenza algerina venne infine raggiunta nel 1962.
Agli inizi degli anni Sessanta si trovavano in Francia circa 300.000 immigrati algerini, dei quali 150.000 a Parigi, molti integrati nel proletariato, soprattutto nell’industria dell’auto, ma la maggioranza viveva in condizioni terribili, nelle bidonvilles attorno alle grandi città. Considerati dalla borghesia, a tutti gli effetti, il “nemico interno”, per la loro partecipazione alle lotte operaie, ma soprattutto per il sostegno che fornivano al Fln. E’ in questo contesto che maturò la repressione: il questore di Parigi, Maurice Papon, chiese il coprifuoco solo per i “musulmani algerini”, dalle 20.00 alle 6.00.
Papon: collaborazionista dello sterminio degli ebrei e assassino degli algerini
Lo stesso questore aveva imposto una norma secondo la quale i “nordafricani” sospetti potevano essere arrestati senza giudizio. Cominciò la “caccia all’arabo”, i rastrellamenti, le retate. 15.000 cittadini francesi d’origine algerina, su iniziava del Fln, scesero in piazza a Parigi la sera del 17 ottobre per sfidare il coprifuoco e protestare contro le misure razziste liberticide. Ne seguì una repressione selvaggia: il massacro e, nei giorni seguenti, arresti di massa e torture, che spesso hanno causato la morte degli arrestati.
Gruppi paramilitari dell’estrema destra, tra i quali membri dell’Oas, hanno affiancato la polizia nell’opera omicida.
Maurice Papon, già responsabile dell’organizzazione del rastrellamento e della deportazione di ebrei verso i campi di sterminio nazisti, nella sua qualità di prefetto della Gironda sotto il regime di Vichy, fu condannato nel 1998 per crimini contro l’umanità ma non è mai finito sotto processo per il massacro dell’ottobre di quarantuno anni fa.
I fatti del 1961 e più in generale la guerra d’Algeria continuano a produrre effetti sulla politica francese: lì si è saldata l’alleanza tra estrema destra, ex coloni e settori dell’esercito, nella quale affonda le radici il fascista Fronte nazionale di Le Pen, ex torturatore in Algeria.
Anche il movimento operaio francese ne è stato profondamente influenzato. In opposizione alla direzione del Pcf, contraria all’indipendenza algerina, si formò uno strato di giovani militanti, molti dei quali in seguito aderirono al trotskismo, radicalizzatisi sulla questione dell’indipendenza algerina.
Gino Candreva
www.sottolebandieredelmarxismo.it