Ora i capitali stranieri scoprono l'Africa

AREE EMERGENTI • Rapporto Sace sullo sviluppo a sud del Sahara


Forte interesse per le nuove « tigri »
L’ Africa è un continente in movimento. Ne è convinto Paul Wolfowitz,
nuovo presidente della Banca mondiale, e uomo che non si lascia andare a facili
entusiasmi. Ma per gli 850 milioni di persone che vivono a sud del Sahara, oggi
più poveri che non 25 anni fa, questo potrebbe davvero essere il secolo della
svolta. Magari il tasso di crescita non sarà il 7% previsto per i prossimi
dieci anni da due istituzioni africane: il Nepad ( New partnership for Africa’s
development) e la Commission for Africa. Ma da Washington il Fondo monetario
stima per l’intera area un aumento del Pil del 5,2% nel 2005 e del 5,6% nel
2006.
« L’Africa sub sahariana mostra forti segnali di ripresa grazie all’attuazione
di progetti di sviluppo regionali e all’influenza della congiuntura internazionale
» . La conferma arriva anche dal primo report dell’Ufficio studi di Sace (
l’istituzione dedicata all’assicurazione del credito all’export) creato sotto
la presidenza di Lorenzo Bini Smaghi, dallo scorso giugno rappresentante
italiano nel consiglio Bce. Senza comunque farsi illusioni sul lungo cammino
ancora da compiere: « Il reddito pro capite della regione risulta ancora essere
il più basso al mondo — si legge nel report — ma lo sviluppo economico, insieme
a una minore crescita della popolazione, potrebbe sostenere un aumento dell’
80% del Pil pro capite, portandolo a 1.100 dollari nel 2015 e a 1.800 dollari
nel 2025 » .
Queste le previsioni, che nel caso africano fin troppe volte sono state
disattese dalla realtà. « Ma oggi c’è qualcosa di più rispetto al passato —
afferma Alessandra Lanza, dallo scorso ottobre a capo dell’Ufficio studi Sace e
forte di due anni e mezzo di esperienza al Fmi —. Ci sono soprattutto per la
prima volta l’attenzione e il giudizio positivo di importanti banche
d’investimento internazionali come anche l’interesse concreto degli
imprenditori. Non solo delle ex potenze coloniali, e quindi francesi, inglesi e
olandesi.
Ma anche italiani. Per non parlare dei cinesi e degli americani. È la conferma
di un sentiment che sta cambiando » . Sudan, Eritrea, Etiopia, ma anche Ghana,
Angola, Kenya, Costa d’Avorio e Tanzania sono in effetti i Paesi su cui si
punta l’attenzione dei nostri imprenditori e per i quali sarebbe gradito un
sostegno anche da parte di Sace. Ma il rischio in molti casi resta troppo alto
ed esistono spesso limiti imposti dal Fmi per gli Stati che ancora stanno
rinegoziando il proprio debito e dove non si può operare con garanzie sovrane.
« Parliamo soprattutto di export — sottolinea Alessandra Lanza — perché anche
se per il sostegno agli investimenti ci sono meno vincoli, purtroppo c’è meno
domanda » .

Eppure anche in Africa non mancano Paesi che vantano buone strategie di
politica economica e programmi di riduzione della povertà: Mozambico ( la
performance migliore tra i i Paesi non petroliferi), Uganda, Tanzania ( uno dei
casi più interessanti) e Capo Verde. Con piani di incentivi per gli investitori
esteri di tutto rispetto.


Tutto sta a conoscerli, ma sull’Africa in Italia c’è scarsità di informazione,
dicono in Sace.
Eppure i dati aggregati sul continente nero mascherano
importanti differenze. Botswana e Mauritius hanno avuto tassi di sviluppo
simili a quelli delle tigri asiatiche negli anni 80 e 90. Anche Ghana e Uganda
hanno sperimentato tassi di crescita positivi. Certo i Paesi produttori di
petrolio sono quelli che corrono di più, come Angola, Ciad e Guinea
Equatoriale. E bene sono andati Stati in cui l’agricoltura si è ripresa dalla
siccità degli anni passati, come Etiopia e Ruanda. Ma le attività di
investimento crescono anche in Nigeria, sebbene la sicurezza nel Paese resti
piuttosto incerta.
« Questi Paesi costituiscono mercati potenzialmente importanti per gli
investitori esteri— mette in guardia nelle sue conclusioni il report della Sace
—.
Ma per raggiungere e sostenere le pur incoraggianti prospettive di crescita
bisognerà attuare politiche per il miglioramento della produttività totale dei
fattori e soprattutto rafforzare la governance, attuare riforme istituzionali e
sviluppare le risorse umane » .
Anche per questo il cammino dell’Africa verso lo sviluppo e il superamento dei
mali endemici del continente è ancora lungo. Ma nel mondo globalizzato i tempi
sono velocissimi. E a sud del Sahara nei prossimi anni le sorprese potrebbero
essere molte.

Chiari segni di ripresa anche in Paesi che non producono petrolio

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