“Ora dobbiamo unire l´Iraq” – D. MASTROGIACOMO

Ha votato probabilmente il 60% degli iracheni, che ha sfidato attentati e minacce.
Appello del premier ALLAWI all’unità del paese: “Le elezioni sono una sconfitta per i terroristi”.
Già in corso trattative per il nuovo governo. Dagli sciiti (probabilmente prima forza politica) segnali distensivi verso i sunniti. I curdi chiedono il posto di presidente. BAGDAD – È il giorno dei bilanci. Ma anche quello dei progetti verso un futuro pieno di incognite. Con un quadro politico rivoluzionato, gli equilibri sconvolti, i timori dei paesi confinanti, la delusione mista a rabbia dei perdenti, l´esultanza dei vincenti. Sullo sfondo si affaccia il rischio di un conflitto etnico su cui farà sicuramente leva la resistenza, alla ricerca di un riscatto, e l´esercito di al Qaeda ben piazzato sul terreno. Se queste elezioni hanno impresso una svolta all´Iraq distrutto da una guerra imposta da pochi e osteggiata da molti, è anche vero che si parte da zero. Un´economia distrutta, il 60 per cento di disoccupazione, una vita civile e sociale cancellata.
Gli iracheni hanno dimostrato di essere un popolo coraggioso. Andare alle urne in un paese punteggiato di attentati e di assalti che in due anni ha mietuto centinaia di vittime, moltissime civili, non era un puro e semplice esercizio di democrazia applicata. Era un incubo. Ma lo hanno affrontato in molti. Sicuramente una maggioranza. Ci vorrà tra una settimana e dieci giorni prima di conoscere i risultati ufficiali. Forse si sapranno prima le percentuali sulla partecipazione. Anche se il dato del 60 per cento è riconosciuto da tutti come il più attendibile.
L´Iraq ora deve fare i conti con questo vuoto. Costituisce un pericolo evidente per il futuro assetto politico e amministrativo del paese. Lo riconosce lo stesso premier in carica Iyad Allawi che ieri, nella conferenza stampa del post-elezioni, ha chiamato tutti gli iracheni all´unità.
Forte di un consenso che già lo proietta verso una nuova carica di prestigio, forse la stessa di primo ministro, Allawi ha voluto prendersi una rivincita nei confronti del suo attuale nemico. «Le elezioni di domenica», ha detto, «sono state una sconfitta per il terrorismo. I terroristi sapevano che non potevano vincere. Ci sono stati sette kamikaze. Erano tutti stranieri. Uno yemenita, tre sudanesi, un egiziano, un ceceno, un siriano. Il loro progetto di entrare in alcuni seggi elettorali è stato sventato grazie al coraggio delle forze di sicurezza. Ci sono stati 37 morti. Ma la lealtà dei nostri poliziotti, dell´esercito e della Guardia nazionale ha avuto un forte impatto. Voglio ringraziarli tutti. Oggi siamo entrati in una nuova fase ed esorto tutti gli iracheni a proseguire nel cammino che hanno scelto». Al Qaeda ha immediatamente risposto alle parole di speranza del premier: «Le elezioni sono un gioco americano, per questo la guerra santa contro gli infedeli continuerà fino a quando la bandiera dell´Islam non sventolerà sull´Iraq».
L´impatto del voto c´è stato. Si è avvertito subito. Ieri, forse per la prima volta, l´Iraq ha vissuto una giornata relativamente tranquilla. Era in vigore ancora il coprifuoco, ma le auto potevano nuovamente circolare
. Eppure non c´è stata alcuna autobomba e le sole vittime sono state 3 marines, oltre a due feriti, uccisi in combattimento nella provincia di Babilonia.
Anche ieri abbiamo fatto un giro per Bagdad. L´atmosfera era più distesa. Ma la festa che si respirava nei quartieri sciiti contrastava molto con il clima cupo, preoccupato e teso di quelli a maggioranza sunnita. Negozi sbarrati, strade deserte, commenti aspri, prospettive cupe. Sono già iniziate le trattative. «Gli uomini politici», osservava un diplomatico, «non possono rinunciare a fare politica». Dureranno gran parte del mese di febbraio, una volta resi noti i risultati per l´elezione dei 275 seggi dell´Assemblea costituente. Il compito che attende il nuovo governo sarà titanico. Dovrà tenere conto dei nuovo equilibri e rendere l´Esecutivo più rappresentativo che in passato. Viene data per scontata la vittoria dei partiti sciiti, raggruppati nell´Alleanza unita irachena. Dovrebbero ottenere tra i 100 e i 160 seggi. Abdel Aziz Akim, figura storica tra i candidati sciiti, si augura che «i sunniti siano integrati nel futuro governo». I curdi rivendicano una partecipazione massiccia al voto (80 per cento) e già avanzano una prima richiesta: vogliono la poltrona del primo ministro o, almeno, quella da presidente. Non parlano ancora di autonomia, per non alimentare le preoccupazioni di Siria, Turchia e Iran. I paesi arabi guardano con apprensione ad una vittoria sciita: potrebbe incrinare l´equilibrio etnico dell´area. Re Abdallah di Giordania ha messo in guardia contro «una crociata sciita» che potrebbe estendersi dal Libano all´Iran. Fuori, la resistenza, fa i conti con il nuovo quadro. Un silenzio che annuncia altre strategie. Forse peggiori. La jihad è ancora in corso.

“Non si può votare sotto occupazione” la rabbia del portavoce degli Ulema

BAGDAD – «Sì, è vero», ci dice l´imam Omar Ragheb, portavoce del Comitato degli Ulema sunniti, «contestiamo la legittimità di queste elezioni. Non si può votare sotto occupazione. Non ci sono garanzie di reale democrazia e il voto non è stato espresso liberamente ovunque».
La grande affluenza ha dimostrato però una volontà di votare.
«Non sarei così convinto. La partecipazione non è stata così alta come si afferma. L´immagine data dai media non è reale. Non si è votato in molti quartieri. E a Bagdad i giornalisti hanno potuto vedere solo 5 seggi, stabiliti con criteri non chiari».

“Dobbiamo lavorare tutti insieme per costruire un paese migliore”

BAGDAD – «Una delle più belle giornate dell´Iraq», dice Saad al Janabi, segretario dell´Iraqi national group.
Anche senza sunniti?
«Non è vero che i sunniti non hanno votato. Il voto è mancato solo in province particolarmente turbolente».
Ammettiamo che abbiano vinto curdi e sciiti, che farete?
«Bisogna lavorare alla nuova Costituzione e rilanciare l´economia».
E cosa farete di quel 40 per cento che non ha votato?
«Faremo del tutto per convincerli che non esistono divisioni».

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