Anestesia Operaia
Opportunità rivoluzionaria ed opportunismi nella crisi
per un organizzazione riservata, distinta e separata, dedicata a “sole donne e uomini viventi di lavoro e di salario”
Noi la crisi la stiamo pagando.
È già successo, e non può essere che cosi’.
Senza forza, e senza organizzazione, non si riesce nemmeno a resistere all’attacco padronale.
Ed a poco servono chiacchiere, fumisterie e desideri poco ancorati a rapporti di forza tra le classi sfavorevoli al proletariato.
Solo un lungo e paziente lavoro di collegamento e prima organizzazione tra le avanguardie operaie prodotte dal lungo ciclo incrociato crisi-riflusso può riaprire una prospettiva di classe, che ponga oggi le basi per le lotte del futuro, in vista della rivoluzione sociale.
Ognuno reagisce come può al terremoto della crisi. I padroni europei cercano di approfittare della crisi per rilanciare il proprio blocco imperialista nel mutato scacchiere mondiale, quelli italiani si adeguano scaricandola per intero sui lavoratori, abolendo welfare-state e “diritto del lavoro”, generalizzando precarietà ed insicurezza sociale. Al “rigore” tedesco si affianca oggi la “crescita” italo-francese, ma la ricetta di fondo non cambia: salvataggio di banche e stati, pareggio di bilancio, conti in ordine, riduzione della spesa pubblica, snellimento, sburocratizzazione e riduzione di personale nella pubblica amministrazione, riforma elettorale.
I vertici intereuropei, piu’ o meno inconcludenti, si susseguono alla ricerca di una possibile “unità” intorno al fiscal-compact, che riduca il peso della locomotiva tedesca e riequilibri la cabina di comando della U.E. premiando i “buoni compiti a casa” svolti da Hollande e Monti.
Anche l’ultimo supervertice intereuropeo del 28-29 giugno a Bruxelles, peraltro da definire meglio entro il 2012, propagandato come un altro passo verso l’unione bancaria, di bilancio, economica e politica, ha partorito un difficile accordo per la creazione di un supervisore unico bancario dell’eurozona. In cambio della possibilità di accesso al fondo salvastati, gli stati europei aumentano la percentuale di cessione di sovranità al comando continentale.
Un accordo fragile di fronte alle resistenze localistiche ed ai diversificati interessi statuali geopoliticamente dislocati tra nordEuropa e PIGS. Anche il capitalismo, con i suoi blocchi imperialistici, procede come può e non come vorrebbe, tra frenate ed accelerazioni, accordi e contraddizioni, nel disperato tentativo di superare questa sua ultima crisi.
In Italia, il cielo della politica è attraversato da un nuovo ciclo di “mani pulite” tra scandali, peculati e malversazioni, a preludere nuovi trasformismi e transumanze elettoralistiche.
La declinazione italiana dell’accoppiata europea rigore-crescita è quella di rigore-equità, da tutti, vaticano partiti e sindacati, accettata, ma da nessuno realmente perseguita. D’altra parte, non c’e’ da meravigliarsi.
Nessun apparato, come nessun singolo, rinuncia spontaneamente a laute prebende ed a storici privilegi, né alcuna preghiera o invocazione possono ottenere il risultato tanto falsamente auspicato.
Solo la forza di un radicato movimento di classe, dispiegato ed attrezzato nelle strade, potrebbe spaventare lor signori, imponendo una qualche riduzione delle ingiustizie.
Ma cosi’ non è, anzi.
Ciascun protagonista politico e sindacale, di destra e di sinistra, cerca di trarre, nella crisi, il proprio piccolo vantaggio di bottega, comunque legato all’anticipo o al normale svolgimento elettorale.
In questa situazione di fibrillazione elettoralistica si inseriscono gli odierni riciclaggi, accorpamenti, rifondazioni, ridenominazioni, puntualmente spacciate per “novità” pronte ad essere votate e vendute sul mercato politico prossimo venturo.
Il sindacato di stato, dal canto suo, incapace di organizzare sia pur soltanto una ritirata ordinata di classe sul terreno europeo, lascia passare senza nemmeno l’accenno di una reazione dignitosa ( 3 ore di sciopero dopo la sanguinaria riforma delle pensioni…) il bombardamento tecnico-governativo, “unitariamente” preoccupato solo dalla diminuizione dell’informativa padronale e dalla fine della concertazione.
Sul fronte dei “movimenti”, l’inadeguatezza politica e numerica della risposta fa da collante tra parole d’ordine nazional-utopistiche, il micropraticismo del localismo interclassista e la “testimonianza di se” del sindacalismo autonomo e di base. E una tendenza opportunista frutto da un lato del solito scambiar lucciole per lanterne, dall’altra della perpetuazione ossificata di vere e proprie “camarille di movimento”, tanto inossidabili e mafiosette da non riuscire ancora a capire quanto sia piu’ importante la lotta di classe dei loro beceri sconfinamenti di orticelli.
E cosi’, inversamente proporzionali alle piazze “piene” quando va bene di qualche centinaio di militanti, fioriscono “soggetti politici nuovi” insieme a vecchi progetti di parapartitoni includenti tutto ed il contrario di tutto.
In questo pantano, l’unico dato certo è che la risposta di classe alla crisi non solo non è stata adeguata alla durezza dell’attacco, ma spesso, non c’e’ proprio stata.
Gli operai, i lavoratori, quotidianamente bombardati da riforme antioperaie e da annunci terroristici, hanno smesso di arrampicarsi sui tetti, impegnati come sono ad arrampicarsi sugli specchi per arrivare vivi a fine mese.
Le pur lodevoli lotte locali sono rimaste scollegate e settoriali, spesso perdenti, consegnando l’attuale corpo di classe ad una condizione di anestesia, da cui non si prevede un facile risveglio.
E‘ evidente che queste considerazioni ci portano a dire che, con ogni probabilità, la partita della risposta operaia adeguata alla crisi, italiana ed europea, è persa.
Ma se è vero che la crisi, approfondendo la scarnificazione sociale, provoca dispersione e scoraggiamento, è anche vero che nella chiarificazione dei rapporti di classe e nelle conseguenti lezioni materiali, si intravedono spiragli, possibilità, opportunità, per il lavoro dei militanti rivoluzionari.
Un lavoro di lunga durata che, nell’evitare illusioni e facili entusiasmi, deve avere il coraggio politico di chiudere il conto con tutte le tipologie dell’opportunismo parassitario, impostando un primo agglomerato organizzativo di collegamento tra le avanguardie operaie prodotte dal lungo riflusso del decennio passato e dall’attuale crisi.
Detto chiaramente, se nel contingente la partita è persa, dobbiamo lavorare perché non sia cosi’ nella prospettiva, per le prossime partite di classe. E lavorare alla prospettiva significa impegnarsi oggi, sul terreno dell’unificazione e dell’accumulo delle forze, quelle realisticamente disponibili a porsi sul terreno generale e complessivo della trasformazione sociale. Il corpo esangue di classe non potrà darci molto, ma alcuni nuclei ed individualità di lavoratori stanno comunque approfondendo le proprie analisi e riflessioni, intenzionati ormai ad andar oltre le parole ed a costruire lo strumento politico ed organizzativo per i tempi futuri.
Il movimento di riconoscimento di classe, di passaggio da classe in se a classe per se, ha i suoi motivi ultimi nella determinazione oggettiva del ciclo storico, ma anche nell’intervento organizzato della soggettività rivoluzionaria.
Un intervento organizzato cui intendiamo dare il nostro contributo.
COMBAT – Comunisti per l’Organizzazione di Classe