Onu ancora senza intesa Usa e Francia si dividono

Michele Farina

Tempi più lenti per la
risoluzione. Prodi: «Preoccupato»

NEW YORK — «Noi e i francesi siamo d’accordo su
diverse cose», dice John Bolton. Ne cita una sola: «Che il caffè alla loro
ambasciata è orribile». Minimizza, il rappresentante Usa all’Onu. Mescola
ottimismo («Continuiamo a lavorare per una soluzione, sabato scorso avevamo
raggiunto un accordo che sembrava difficile, possiamo rifarlo ancora») e
frustrazione: «È come colpire un bersaglio in movimento. Di sicuro ci aspetta
ancora molto caffè».
Bolton parla al secondo piano del Palazzo di Vetro, sul muro azzurro il logo Onu
con la scritta «Consiglio di Sicurezza» in inglese e francese. Due lingue, due
vie diplomatiche che ieri, alla ricerca di una (ri)soluzione che ponga fine
alla guerra in Libano, sono tornate a separarsi.
Divisi. Non come ai tempi dell’Iraq ma divisi. La Francia accetta le critiche
fatte da Libano e Lega Araba alla bozza di risoluzione presentata insieme agli
americani il 5 agosto e accettata da Israele.
Parigi sembra pronta a recepire in larga misura la proposta di Beirut:
immediato cessate il fuoco, ritiro di Israele, dispiegamento di 15 mila soldati
libanesi nel Sud, rafforzamento dell’Unifil, il contingente di osservatori Onu.
All’America (e a Israele) questo non basta: la condizione per il ritiro è la
presenza di una «robusta» forza internazionale capace di intervenire
militarmente contro Hezbollah e garantire, nelle parole di Bolton, che non si
torni allo «status quo ante»
.
È Jacques Chirac a confermare la frizione. Da Tolone, l’abbronzato
presidente francese riconosce: «Sembra proprio che gli Stati Uniti nutrano
riserve circa l’adozione di una proposta» che tenga conto della linea di
Beirut. «Non riesco a immaginare che non si arrivi a un accordo», dice il
presidente. Parole forti: «Abbandonare gli sforzi per un immediato cessate il
fuoco sarebbe la più immorale delle risposte». Il monito: in caso di mancato
accordo all’Onu «ciascuno esporrà chiaramente la propria posizione, compresa la
Francia con la sua risoluzione». Come dire: i francesi andranno avanti anche da
soli
, di fatto addossando a Washington la responsabilità di un mancato
cessate il fuoco. Con i britannici defilati e i cinesi convitati di pietra,
i russi sembrano schierati con Parigi. Il viceministro degli Esteri Denisov ha
detto ieri che Mosca approva il dispiegamento dei 15 mila militari libanesi
.
Senza entrare nei dettagli, anche il presidente del Consiglio Romano Prodi
ribadisce l’appello per un’immediata cessazione dei combattimenti e «per una
pace giusta e duratura». Obiettivo più lontano: «Spero ancora in un accordo —
dice Prodi — ma ci sono disparità: la situazione si presenta più complessa e
più complicata di alcune ore fa».
Di fianco al Consiglio di Sicurezza, oltre la riproduzione di Guernica di
Picasso, c’è la sala del Consiglio Economico e Sociale. Il soffitto, opera di
uno svedese, non è mai stato ultimato, volutamente: un modo per indicare che
gli obiettivi dell’Onu non sono mai finiti. Un’ironia non voluta. Quel soffitto
sembra rappresentare l’impasse attuale alle Nazioni Unite.
La Casa Bianca minimizza i contrasti, mette in guardia Hezbollah e lancia un
monito a Israele. «Non vogliamo un’escalation del conflitto», dice Tony Snow,
portavoce di Bush: una critica mirata alla decisione di estendere l’offensiva
di terra in Libano. Il Segretario di Stato Condi Rice ha spedito ieri a Beirut
il suo vice David Welch. Grande gelo
. Secondo l’agenzia
Ap, che cita fonti del governo di Beirut, Welsh ha ribadito il no di Israele al
ritiro delle truppe prima dell’arrivo di una vera forza internazionale. Alla
partita in corso a New York ha accennato anche il capo di Hezbollah in tv:
Nasrallah ha bocciato la risoluzione «degli americani» come «iniqua e
ingiusta».
Sulla pelle dei civili, continua quello che la Reuters chiama il «sudoku
diplomatico» dell’estate 2006. Bolton e il collega francese Jean-Marc de La
Sablière hanno continuato ieri a bere cattivo caffè e lavorare di penna al
testo di una risoluzione comune che, non si sa con quali miracoli lessicali,
potrebbe arrivare al voto questa settimana. Un fallimento segnerebbe una
sconfitta anche per Condi Rice. Secondo Insight, il settimanale del Washington
Times vicino ai falchi Cheney-Rumsfeld, tra la Rice e il presidente Bush ci
sarebbe stato uno strappo dopo la strage di Cana: Condi chiedeva una tregua sul
campo e l’apertura di negoziati con Siria e Iran, considerati i mandanti di
Hezbollah. Il presidente non le avrebbe dato retta
.

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