Olmert: «Non mi ritiro dalla Cisgiordania»

Mara Gergolet

Il premier: non è più tra le
nostre priorità. Via libera all’espansione degli insediamenti

GERUSALEMME — Il ritiro dalla Cisgiordania non
si farà. A certificare il decesso del piano con il quale è stato eletto,
l’accantonamento dell’eredità di Sharon che doveva segnare la direzione della
politica israeliana, è il premier Ehud Olmert
. In un’audizione davanti al
Comitato per gli Affari Esteri e la Difesa della Knesset, ieri mattina, ha ammesso
quanto i suoi consiglieri già avevano anticipato: «Ciò che mi sembrava giusto
pochi mesi fa, non è più tale. La guerra in Libano ha cambiato molte cose. Il
piano di convergenza (come Olmert aveva ribattezzato il ritiro dalla
Cisgiordania, ndr) non è più tra le priorità di questo governo».
Parole nette. Ma il radicale cambio di strategia s’è misurato ancor di più ieri
mattina dai giornali. Riportavano il bando per la costruzione di 690 case
nelle colonie in Cisgiordania: «342 unità abitative» a Beitar Illit, «348 unità
abitative» a Maale Adumim, i due insediamenti a est di Gerusalemme che Israele
ha annunciato di voler annettere, benché si trovino al di là della Linea verde.
La vecchia idea di creare la cintura attorno alla città, il celebre «piano E1» della
Grande Gerusalemme, contestato e denunciato dai palestinesi (e a più riprese
anche dalla comunità internazionale) perché restringerebbe, «chiudendolo», il
loro accesso a Gerusalemme
.
Nei due insediamenti, tra i più grandi della Cisgiordania, vivono ormai 60
mila coloni: circa 23 mila a Beitar Illit, in prevalenza ortodossi, tra i più
poveri di Israele, con un tasso di crescita della popolazione tra i più alti
.
«È la prova — dice il movimento Peace Now — che il governo Olmert sta
diventando sempre più di destra in tutti i sensi: invece di evacuare gli
avamposti illegali, invece di congelare la crescita delle colonie, le finanzia
tagliando sui budget sociali». Il Yesha Council, il consiglio dei coloni,
accusa il governo dell’opposto: di fare «troppo poco troppo tardi».
Una decisione che può essere letta in molti modi. Anche come un’implicita
offerta ai partiti di destra a unirsi al governo. Che Olmert stia pensando di
allargare la maggioranza, è un’idea condivisa da molti analisti
. Netanyahu
ha fatto sapere di non essere interessato, si sonda il partito dei russi di
Lieberman. Tra le tante speculazioni, una molto accreditata vede i laburisti
farne le spese e uscire dal governo.
Evidente che la rinuncia al ritiro (Olmert lo comunicherà alla Rice nei
prossimi giorni) e alla piattaforma elettorale crea un vuoto che ha da essere
riempito. Non solo con la politica interna e la ricostruzione del nord colpito
dai katiuscia. Ed è qui che Olmert, sempre davanti alla Commissione della
Knesset, ha fatto sapere di voler riattivare i contatti con Abu Mazen. Un
incontro tra i due, dice la Livni, ora è possibile. Tanto più se sarà
rilasciato il caporale Shalit rapito a Gaza. L’intesa tra i due governi,
l’Egitto come mediatore, pare vicina: Shalit in cambio di 800 prigionieri
palestinesi
. Ma più significative ancora sono le parole che ieri Olmert ha
dedicato alla Siria: «Se dovessimo andare in guerra con Damasco,
abbandoneremo le limitazioni che ci siamo autoimposti in Libano»
. A tre
settimane dalla tregua, Olmert sembra aver fatto le prime scelte: riapriamo ai
palestinesi, ma nessuna concessione alla Siria.

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