Le perquisizioni negli appartamenti abitati da studenti di sesso diverso (noto luogo di “prostituzione”, “corruzione” morale e naturale bacino di reclutamento da parte dei “terroristi comunisti” secondo Erdoğan), l’approvazione della legge che consente alle autorità di oscurare le informazioni pubblicate nei siti internet senza passare per l’approvazione di un tribunale, il farsesco blocco di Twitter (facilmente aggirato dagli utenti), il blocco di Youtube in queste ore, sono solo alcuni degli episodi più eclatanti che hanno animato il dibattito politico turco dall’esplosione della rivolta di Gezi nel giugno 2013 fino ai giorni più recenti. Come è facile intuire questi avvenimenti si configurano come una serie di reazioni scomposte che mettono a nudo non solo la profonda crisi del potere di Recep Tayyip Erdoğan e del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) ma anche l’inasprimento delle contraddizioni all’interno della borghesia turca.
Che il governo di Erdoğan abbia già conosciuto una sensibile erosione di consensi all’interno del blocco sociale che lo sosteneva è chiaro ormai da tempo. La manifestazione più evidente di questo sfaldamento è rappresentata sicuramente dalla frattura tra l’AKP e l’influente ex-amico Fethullah Gulen a capo del movimento Hizmet “Servizio”, profondamente radicato nelle maglie dello Stato attraverso una fitta rete clientelare specialmente all’interno delle forze dell’ordine e che si caratterizza per un indirizzo che unisce un approccio marcatamente liberista, antioperaio e pro Unione Europea, al tradizionale conservatorismo religioso. Il contrasto è divenuto ormai insanabile a seguito del recente scandalo corruzione che condurrà a processo diversi ministri e i loro familiari compreso lo stesso figlio del primo ministro, considerato da Erdoğan nient’altro che una manovra di Hizmet per destituirlo e che ha condotto il governo alla decisione di chiudere definitivamente le dershane, sorta di doposcuola privati attorno a cui ruota un giro d’affari milionario non solo per la borghesia religiosa ma anche quella laica.
Nel frattempo nelle piazze l’AKP ha potuto dare prova del proprio zelo nella repressione in occasione delle mobilitazioni di massa scoppiate nella seconda decade di marzo in tutto il paese a seguito della morte, dopo otto mesi di coma, di Berkin Elvan, un quindicenne colpito da un lacrimogeno durante la rivolta di Gezi mentre usciva di casa per comprare del pane. In questo contesto risulta chiaro che la perdita di credibilità del governo dell’AKP, il rallentamento della crescita economica e la crescita del composito movimento di opposizione di massa iniziato a Gezi, pongano la borghesia turca, specialmente quella industriale, di fronte alla necessità di individuare un punto di riferimento più “affidabile” che possa perseguire i suoi interessi depotenziando la conflittualità politica e sociale che attraversa il paese. E così risulta evidente, come confermato dall’opinione largamente condivisa tra i militanti della sinistra di classe in Turchia, che potrebbe essere proprio il principale partito di opposizione, il kemalista Partito Repubblicano del Popolo (CHP) ad essere il candidato ideale per sostituire Erdoğan, con il sostegno dell’estrema destra (Partito d’Azione Nazionalista o MHP) dell’unione degli industriali turchi (TÜSİAD) e lo stesso movimento di Fethullah Gülen che potrebbe garantire un forte sostegno mediatico (e istituzionale) in cambio di determinate garanzie a salvaguardia dello status delle confraternite e delle organizzazioni religiose.
Le elezioni amministrative del 30 marzo saranno quindi il primo banco di prova che probabilmente confermerà il rafforzamento dei partiti di opposizione il CHP, il MHP e il partito filo-curdo BDP. La principale incognita delle elezioni è rappresentata dal Partito Democratico dei Popoli (HDP), fondato nei mesi scorsi su iniziativa di personalità e militanti della sinistra turca come Sırrı Süreyya Önder (il deputato che fermò le ruspe nei primi giorni di occupazione di Gezi Park), candidato a sindaco di Istanbul. È sul HDP, che si propone di essere il punto di riferimento di “tutti gli strati sfruttati della società”, dai lavoratori alle minoranze etniche e di genere, che si concentrano le speranze della maggior parte delle organizzazioni della sinistra di classe. È necessario precisare che il panorama della sinistra di classe in Turchia presenta una frammentazione organizzativa perfino maggiore di quella italiana e lo stesso si può dire per la varietà nelle posizioni politiche. Tuttavia schematizzando è da rilevare che con le eccezioni degli epigoni della Sinistra Europea del Partito della Libertà e della Solidarietà (ÖDP), che in alcune città ha scelto l’alleanza con il CHP, del Partito Comunista Turco (TKP), che ha scelto di presentarsi autonomamente nella maggior parte dei distretti e il “Fronte Popolare” (Halk Cephesi) che dove possibile ha tentato di dare vita a liste “di fronte” indipendenti con altre organizzazioni, la stragrande maggioranza delle strutture comuniste ha scelto l’appoggio al HDP quale strumento tattico per approfondire quella che, a buona ragione, viene definita una crisi dell’intera impalcatura istituzionale che dal golpe 1980 ha retto il paese.
Da parte nostra non possiamo fare altro che augurarci che il movimento di classe e le organizzazioni comuniste in Turchia, superando le mille difficoltà e contraddizioni sul loro cammino, crescano e continuino combattivamente la loro lotta che è già un esempio per gli sfruttati e i comunisti di ogni paese.