Brzezinski Zbigniew
Pechino non rinuncerà allo sviluppo per la corsa alle armi Al di là delle parole forti, su Taiwan c’ è prudenza. Il 58% dei cinesi non ritiene necessaria un’invasione.
Oggi in Asia orientale è in ascesa la Cina, per ora pacificamente. Per motivi comprensibili, la Cina nutre sentimenti di rancore e persino di umiliazione rispetto ad alcuni capitoli della propria storia. Il nazionalismo è una forza importante, e ci sono gravi ingiustizie su questioni esterne, in specie su Taiwan. Ma il conflitto non è inevitabile, e nemmeno probabile. La leadership cinese non è incline a sfidare gli Stati Uniti sul piano militare, e il suo interesse continua a essere puntato sullo sviluppo economico e sul fatto di essere accettata come grande potenza. La Cina è preoccupata, e quasi affascinata, dalla traiettoria della propria ascesa. A un incontro con i vertici della sua leadership, non molto tempo fa, mi ha colpito la frequenza con cui mi venivano chieste previsioni circa i prossimi quindici o vent’ anni. Non molto tempo fa il politburo cinese ha invitato per un incontro particolare due eminenti professori di formazione occidentale. Dovevano analizzare nove grandi potenze a partire dal XV secolo per vedere come mai fossero emerse e poi crollate. È un esercizio interessante per i vertici di un Paese gigantesco e complesso. Questa attenzione all’ esperienza delle grandi potenze del passato, potrebbe indurre alla conclusione che le ferree leggi della teoria politica e della storia indichino un’ inevitabile collisione o un conflitto. Ma possono essere fatte anche altre considerazioni. Nei prossimi cinque anni la Cina ospiterà parecchi eventi che limiteranno le mosse della sua politica estera. Il più importante, naturalmente, sono i Giochi Olimpici del 2008. La portata dell’ investimento economico e psicologico nei giochi di Pechino è sconvolgente. Prevedo che saranno organizzati magnificamente. E non fatevi illusioni: la Cina alle Olimpiadi intende vincere. Un secondo appuntamento è quello del 2010, quando Shanghai ospiterà l’ esposizione mondiale. Organizzare al meglio questi incontri internazionali è importante per il Paese, e fa pensare che a prevalere sarà una politica estera improntata alla cautela. Più in generale, la Cina è determinata a sostenere la propria crescita economica. Una politica estera di confronto potrebbe interrompere questa crescita, danneggiare centinaia di milioni di cinesi e minacciare il potere del Partito comunista. La leadership cinese sembra razionale, prudente, e consapevole oltre che della crescita anche della persistente debolezza della Cina. Un incremento del ruolo regionale della Cina e lo sviluppo di una «sfera di influenza» cinese implicherà frizioni inevitabili. Nei prossimi anni il potere statunitense potrebbe retrocedere gradualmente e l’ inevitabile declino dell’ influenza giapponese accrescerà il senso di superiorità regionale della Cina. Ma per una collisione vera e propria, la Cina deve avere un esercito capace di uno scontro diretto con gli Stati Uniti. A livello strategico, la Cina mantiene una posizione di minima deterrenza. A 44 anni dall’ acquisto di tecnologia nucleare, lo Stato asiatico dispone di soli 24 missili balistici in grado di colpire gli Usa. Anche oltre l’ ambito del conflitto strategico, un Paese deve avere la capacità di conseguire i propri obiettivi politici prima di impegnarsi in una guerra limitata. È difficile immaginare come la Cina possa promuovere i propri scopi essendo seriamente vulnerabile a un blocco e all’ isolamento messi in atto dagli Stati Uniti. In caso di conflitto, gli scambi marittimi cinesi si interromperebbero completamente. E cessando il flusso di petrolio, l’ economia cinese sarebbe paralizzata. Ho la sensazione che al di là delle parole forti i cinesi siano cauti su Taiwan. Nel marzo scorso, una rivista del Partito comunista annotava che «abbiamo sostanzialmente contenuto l’ aperta minaccia di indipendenza da parte di Taiwan da quando (il presidente) Chen (Shuibian) ha assunto l’ incarico, evitando lo scenario peggiore e mantenendo lo status di Taiwan in quanto parte della Cina». Secondo un sondaggio effettuato a Pechino nello stesso periodo, il 58 per cento degli intervistati considerava non necessaria l’ azione militare. Soltanto il 15 per cento si diceva invece favorevole ad un’ azione bellica per «liberare» Taiwan. Naturalmente, la stabilità di oggi non è garanzia di pace domani. Se per esempio la Cina dovesse soccombere alla violenza interna, il discorso cambierebbe. Se le tensioni socio-politiche o le ineguaglianze sociali diventassero ingestibili, la leadership potrebbe essere tentata di sfruttare le passioni nazionaliste. La possibilità che questo tipo di catastrofe si concretizzi esiste, per quanto minima. Ma non indebolisce la mia convinzione secondo la quale le conseguenze negative che spesso accompagnano l’ ascesa di nuove potenze si possano evitare. La Cina si sta chiaramente integrando nel sistema internazionale. La sua leadership sembra rendersi conto che cercare di spiazzare gli Stati Uniti sarebbe inutile, e che una cauta diffusione dell’ influenza cinese è la via più sicura verso la superiorità globale. (Traduzione di Monica Levy)
Brzezinski Zbigniew