NIGERIA – MASSACRI “ISLAMICI” PER GLI APPETITI SANGUINARI DI FRAZIONI BORGHESI E POTENZE

La Nigeria, un grande paese con una superficie e una popolazione all’incirca tre volte l’Italia, nel 1914 venne unificata dai colonizzatori britannici che unirono i loro due protettorati del Nord e del Sud, storicamente regni contrapposti, favorendo la cristianizzazione al Sud, ma non al Nord (religio instrumentum regni, ma anche divide et impera…). Dopo l’indipendenza (1960), l’unificazione del paese, non derivata da una lotta di liberazione nazionale ma imposta dai colonialisti, non fa che costringere in uno stesso involucro amministrativo una storica divisione politica, che ha visto otto tentativi di secessione, e che ora esplode in un conflitto su cui soffiano non solo frazioni del Nord, ma anche potenze del MO e forse anche vecchie metropoli.

Come per il tentativo di secessione del Biafra nel 1967 – che provocò tra 1 e 3 milioni di morti e nel quale le due potenze colonialiste contendenti europee, Francia e Inghilterra, appoggiarono rispettivamente Biafra e Nigeria – l’oggetto principale dello scontro politico in corso rimane il controllo della rendita petrolifera.

Sono proseguiti nelle due prime settimane del nuovo anno gli assalti sferrati con armi pesanti e bombe incendiarie dai guerriglieri di Boko Haram contro città e villaggi in tre Stati nigeriani del Nordest: Yobe, Adamawa e Borno. Questo dopo che i ribelli avevano già conquistato la base della Forza multinazionale di stanza a Baga composta da militari di Nigeria, Chad e Niger, e messo in fuga uno degli ultimi avamposti dell’esercito del governo centrale. Centinaia le persone uccise, annientata dalle fiamme una città di 10 000 abitanti, atroce sofferenza ovunque. Nel 2014 sarebbero state oltre diecimila le vittime di questi furiosi attacchi, e 1,7 milioni le persone costrette a fuggire da un’area delle dimensioni del Belgio, dove 11 governatorati sono ora sotto il controllo di Boko Haram. Migliaia hanno cercato rifugio nel confinante Chad. Il totale dei profughi nei cinque anni scorsi sarebbe di 3 milioni, secondo la BBC.

Così, a poche settimane dalle elezioni presidenziali (14 febbr.), in cui il presidente in carica Goodluck Jonathan, cristiano del Sud, cerca un secondo mandato, il governo sembra in difficoltà di fronte all’evidente rafforzamento militare di questo gruppo settario sunnita, creato nel 2002 nello Stato settentrionale di Borno dall’imam islamista salafita, Mohammed Yusuf (nota 1). È originario di quest’area il contendente alla presidenza nigeriana, il musulmano Muhammadu Buhari (nota 2), del partito All Progressives Congress – Congresso di tutti i Progressisti (APC) (nota 3). La BBC (11.12.’14) rileva che, per la sua reputazione di incorruttibilità e di ferrea disciplina, Buhari è da alcuni considerato l’uomo adatto per fare i conti con la ribellione del Nord, a cui ha rifiutato la possibilità di negoziati. Il Guardian (14.01.’15) sollecita Buhari a sostituire “l’incapace” presidente in carica. Sembra sostenerlo anche l’ex presidente nigeriano Obasanjo. Secondo l’ex presidente di Goldman Sachs Asset Management, Jim O’Neill, gli investitori privati vedrebbero “positivamente” la sconfitta di Goodluck Jonathan. I due candidati attuali si erano già confrontati nel 2011, in una campagna elettorale con scontri sanguinosi, oltre le 800 vittime.

La radicalizzazione di Boko Haram ebbe inizio nel 2009, alimentata dai continui tafferugli tra cristiani e musulmani, dalla brutale repressione poliziesca, dalla mancata introduzione della sharia come legge dello stato di Borno, diversamente da come avevano già fatto diversi altri stati settentrionali. Nel corso dei violentissimi scontri in tutto il Nord (nota 4) del luglio 2009 tra Boko Haram ed esercito morirono 700 membri del gruppo, e venne assassinato anche il leader Yusuf, già nelle mani della polizia. Il suo successore, Shekau, dal 2010 ha riorganizzato militarmente il gruppo, a cui ora sembrano affluire armi pesanti e copiosi finanziamenti. Finanziamenti in parte certamente derivanti dai riscatti chiesti per i numerosi sequestri, ma che alcuni analisti pensano possano in gran parte provenire assieme alla nuove armi da Al Qaeda del Maghreb (AQIM), armata dalla Nato nella guerra di Libia del 2011, o/e dai gruppi islamisti radicali siriani finanziati e armati dalle potenze globali e locali contro il governo di Assad, e/o da organizzazioni civili legate ad Al Qaeda, con sede in Arabia Saudita e Gran Bretagna, come la Saudi Islamic World Society e Al-Muntada Trust Fund.

Boko Haram recluta facilmente i suoi guerriglieri e kamikaze tra i contadini impoveriti dello stato di Borno, tra i sottoproletari delle aree urbane, ma anche tra gli studenti o i lavoratori qualificati privi di qualsiasi prospettiva occupazionale. Nel 2012 si calcola fossero 11 milioni i giovani disoccupati.

Nonostante, o meglio proprio perché la Nigeria è il paese più popoloso, ricco ed economicamente potente dell’Africa, le contraddizioni economico-sociali sono altrettanto rilevanti. Oltre i ¾ della popolazione vive in assoluta povertà, con meno di un dollaro al giorno. È inoltre presente una forte diseguaglianza economico-sociale e una divisione religiosa tra un Centro-Nord prevalentemente musulmano, agricolo, più povero dove prevale la legge musulmana (sharia) e dove sono ancora presenti rapporti economici semi-feudali, e un Sud cristiano, economicamente più avanzato e più ricco grazie alle royalties petrolifere delle quali alcuni movimenti come il MEND, il Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger, hanno strappato maggiori briciole per le popolazioni locali.

A questo quadro socio-economico si aggiunge un apparato governativo corrotto e criminale, che intasca impunemente tangenti miliardarie in cambio di appalti oppure, come nel caso dei funzionari del gruppo petrolifero statale NNPC, trattiene decine di miliardi di introiti spettanti all’erario.

Per sintetizzare lo scenario in cui si situa il movimento di ribellione di Boko Haram:

da una parte abbiamo la sua supposta internazionalizzazione sotto la spinta degli eventi in corso nell’area del Medio Oriente e Nord Africa, dall’altra il suo rafforzamento all’interno della Nigeria è alimentato dalla violenta disgregazione economica e sociale, causata dal veloce sviluppo del petrolifero e dall’integrazione del paese nel mercato mondiale, che ha provocato un esodo dalle campagne senza che la popolazione rurale riesca a trovare nelle città sufficienti fonti di sussistenza.

Inoltre, sfidando e destabilizzando con le sue operazioni militari di conquista territoriale il governo in carica – che sta privilegiando i rapporti economico-finanziari con la Cina, Boko Haram può oggettivamente rappresentare una leva utile per i concorrenti di Pechino, a partire dagli Usa. La Nigeria, come il Sudan e l’Angola, sono i tre maggiori campi di battaglia della contesa tra Cina e Stati Uniti in Africa. In un’intervista a Washington Times (06.04.’14), il principe Adetokunbo Sijuwade – la cui famiglia reale ha fatto grandi investimenti nei trasporti e nelle infrastrutture petrolifere nel Sud del paese – rileva che la Cina ha sorpassato gli Usa in quasi tutti i più importanti settori dell’economia nigeriana. Se americani ed europei continuano a prevalere negli investimenti per lo sfruttamento petrolifero offshore, gli interessi cinesi stanno crescendo in tutti gli altri settori, particolarmente nel bancario, costruzioni-infrastrutture, produzione e distribuzione di energia.

Il brutale conflitto etnico-religioso tra Boko Haram e lo Stato rappresenta solo una faccia delle contraddizioni che stanno scuotendo la Nigeria. È un conflitto per rivendicare una maggiore partecipazione all’apparato di governo, locale e/o nazionale, e con essa una maggiore quota nella spartizione delle risorse. Il tutto ammantato di ideologie arretrate. Sono le atrocità compiute in questo conflitto che lo hanno portato anche sulle prime pagine dei giornali occidentali, più che il rischio che potrebbe rappresentare per gli interessi delle potenze.

L’altra faccia delle contraddizioni nigeriane, quella della moderna lotta delle classi, dello scontro tra la borghesia e il proletariato nigeriano non fa notizia, perché finora non ha un impatto politico significativo. Ma è in corso, ed è destinata ad essere quella storicamente determinante. Scrive Daily Trust, 5.01.2015: «Nel 2014, in pratica tutti i settori dell’economia nigeriana hanno dovuto digerire la pillola amara di scioperi e proteste per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Lo scorso anno è stato un anno pieno di lotte». Sono scesi in lotta: i dirigenti e il personale scolastico e universitario; gli elettrici; i dipendenti della sanità; i salariati del gas e petrolifero; i dipendenti del giudiziario; gli aeroportuali, i marittimi, il pubblico impiego, i ferrovieri. Diverse di queste lotte si sono prolungate per diversi giorni. Il 29 dicembre scorso, il sindacato del Pubblico Impiego, ASCSN, ha lanciato il seguente monito: «Qualsiasi tentativo da parte del governo di licenziare i lavoratori o di ridurre i loro salari in nome dell’austerità equivarrà ad una dichiarazione di guerra contro i lavoratori nigeriani, e sarà combattuta dai lavoratori organizzati e dai loro alleati».

Alcuni dati sugli interessi cinesi in Nigeria

La società ferroviaria statale China Railway Construction Corporation ha siglato il maggior contratto estero, valore di quasi $12 MD, per la costruzione di 1400 Km di ferrovia lungo le coste della Nigeria. L’organo di stampa governativo Xinhua prevede che il contratto genererà ordini per l’esportazione di equipaggiamenti costruiti in Cina per $4MD, e creerà in Nigeria 200 000 posti di lavoro, direttamente e indirettamente. Non è noto se il contratto preveda anche un finanziamento da parte dei cinesi. Nel 2013 durante la visita a Pechino del presidente nigeriano Goodluck Jonathan venne siglato un accordo per un prestito a basso interesse da $1,1 MD per lo sviluppo di infrastrutture in Nigeria.

I gruppi statali cinesi CNOOC, CNPC e Sinopec, hanno iniziato a investire fortemente nel petrolifero nigeriano, soprattutto nei blocchi offshore, meno vulnerabili ai movimenti di rivendicazione e ai sabotaggi delle popolazioni locali.

Lo sviluppo del mercato nigeriano per le merci cinesi, e l’acquisizione di quote nei gruppi nigeriani sono, assieme al settore petrolifero, tra le priorità dichiarate, e sostenute con ampie linee di credito e assicurazioni, dal governo cinese. La Nigeria è, dopo il Sudafrica, la seconda maggiore destinazione dell’export cinese in Africa e il maggiore per i gruppi delle costruzioni cinesi. Nell’interscambio commerciale Cina-Nigeria, $17,7 MD nel 2010, l’87,3% è rappresentato dalle esportazioni cinesi, che comprendono tessili, veicoli, macchinari industriali, equipaggiamento elettrico, delle telecomunicazioni, e altri prodotti manifatturieri. L’inondazione di merci cinesi a buon prezzo ha provocato la perdita di posti di lavoro nel manifatturiero, soprattutto nel tessile, dove si calcola una perdita di 350 000 addetti. I sindacati nigeriani denunciano inoltre le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i salariati nigeriani delle società cinesi, i bassi salari, la discriminazione contro i nativi, e in generale le violazioni della legislazione sul lavoro. Purtroppo queste denunce sono impugnate da un organo dell’imperialismo americano, l’American University in Cairo!

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La Nigeria è divenuta la maggiore economia del continente africano, nell’ultimo decennio ha visto una crescita media del 7%.

Il suo PIL, di recente ricalcolato, è 521 MD di $ contro i $350MD del Sudafrica, anche se quello pro-capite è la metà, attorno ai $2700. Ha 178 milioni di abitanti – pari a un 1/5 di tutta l’Africa Subsahariana, e in forte crescita, +3,5% l’anno – la metà dei quali è costituita da giovani (tra i 15 e i 34 anni); grandi riserve in gran parte ancora inesplorate di risorse naturali, gas e petrolio in primo luogo, di cui è il maggior produttore africano con un picco di quasi 2 milioni di b/g; giovani e dinamici gruppi economici, alcuni grandi gruppi internazionalizzati, come Dangote, Seplat, John Holt Plc, Transnational Corporation of Nigeria Plc, ROCAD Construction Limited.



Nigeria Boko Haram
La guerra sanguinaria per bande per potere e petrolio, faccia oscura del conflitto in Nigeria

nigeria_salario minimo
La lotta di classe, faccia moderna delle contraddizioni nigeriane. Il salario minimo deve essere un salario che permette di vivere dignitosamente, parola d’ordine di una manifestazione di lavoratori nigeriani

Nota 1: Il nome originale del gruppo è Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’Awati Wal-Jihad (“Coloro che si dedicano alla diffusione degli insegnamenti del Profeta e la Jihad”), poi chiamato Boko Haram (tradotto in “L’educazione occidentale è peccato”). Il suo fondatore Mohammed Yusuf era stato influenzato dal fondamentalista musulmano Maitatsine, che rifiutava l’educazione imposta alla popolazione dai britannici a partire dal 1903, quando conquistarono e posero fine al califfato islamico di Sokoto, che occupava l’attuale nord del paese. Yusuf aveva in precedenza fondato a Maiguri una moschea e una scuola islamica, per i figli delle famiglie musulmane povere a cui lo Stato di Borno non era in grado di offrire un’educazione. Con l’obiettivo di tornare ad un califfato islamico, l’attività di Yusuf, che riusciva ad attirare sempre più giovani, era soprattutto di denuncia contro la corruzione dello Stato, ritenuto inoltre illegittimo in quanto non islamico.

Nota 2: Nel 1983, quando alcune isole nigeriane sul lago Chad vennero annesse da soldati del Chad, il generale Buhari respinse l’attacco militare del Chad nel Nord-est Nigeria, fatto che gli è ascritto anche oggi a merito. Nel dicembre dello stesso anno Buhari salì al potere con un colpo di Stato, e venne rovesciato nel 1985, da un altro colpo di Stato. Durante la sua campagna contro sprechi e corruzione gettò in carcere circa 500 uomini politici, funzionari e uomini d’affari. Emise un decreto che limitava la libertà di stampa.

Nota 3: APC è nato nel 2013 dalla fusione di quattro partiti dell’opposizione e rimpolpato da defezioni di personaggi eminenti del PDP, Partito Democratico del Popolo, al potere dal 1999.

Nota 4: La scintilla fu il rifiuto della nuova legge che imponeva di portare il casco in moto.