ITALIA, GAS-PETROLIO, AFRICA
REPUBBLICA Ven. 12/5/2006 LUCA IEZZI
Dopo il rapimento a Port Harcourt il prezzo del petrolio
è volato a 74 dollari al barile
L´Eni ha partecipazioni nei giacimenti pari ad oltre il
10% della produzione nazionale
In NIGERIA l’ENI estrae il 10% della cospicua
produzione petrolifera possiede il 10,4% di Nigeria Lng (che estrae 8,7 ton. di
gas, che saliranno a 22 ton)
Il 99% delle risorse petrolifere sono monopolizzate
dalle multinazionali, non alleviano la grande miseria della popolazione locale
che i disastri ecologici dell’industria petrolifera.
I petrolieri pensano che il pugno di ferro dei militari
sia il modo migliore per governare l’equilibrio fra 9 stati e 40 etnie (e
garantire la possibilità di estrazione).
ROMA – Nigeria, Iran e Venezuela. Tre paesi da mesi
sono la vera causa della corsa del prezzo del petrolio. Non a caso la notizia
dei rapimenti ieri a New York ha fatto segnare il record di giornata a 74
dollari per un barile. Insieme finiscono sotto il nome di "rischio
geopolitico", ovvero la possibilità che questi grandi fornitori di energia
del mondo possano far venire meno il loro apporto da un momento all´altro.
Quella della Nigeria però è una vicenda particolare visto che le turbolenze
sono tutte interne e proprio le società petrolifere sono al tempo causa e
vittime della violenza del luogo. Il Delta del Niger, dove oggi sono state
rapite tre persone (si arriva a 130 dall´inizio dell´anno) contiene grandi
riserve di petrolio (stimate in 34,5 miliardi di barili) e gas (circa 2,7
miliardi di miliardi di metri cubi), sfruttate da ben settant´anni, ma nulla è
mai arrivato alle popolazioni locali.
Da quando la Shell perforò il primo pozzo nel 1937 le società straniere
hanno gestito direttamente l´oro nero, tuttora il 99% del petrolio estratto
passa da loro (altri grandi produttori, come l´Iran, il Venezuela o
l´Arabia Saudita hanno privilegiato l´azienda nazionale). Dopo la Shell sono
arrivati tutti: americani, francesi e italiani. L´Eni è presente dal ’65 e ora
estrae oltre il 10% della produzione nazionale. Poi ci sono i lavori
d´ingegneria connessi (impianti, raffinerie, tubi, piattaforme) settore dove la
controllata di Eni, Saipem è leader mondiale: solo due mesi fa ha ricevuto
una commessa da 420 milioni di dollari e in Nigeria ha costruito raffinerie e
oleodotti per quasi tutte le compagnie presenti. Poi c´è l´affare del
decennio: lo sfruttamento del gas naturale, prima quasi "prodotto di
scarto" della perforazione ora valida alternativa (anche in termini di
margini di guadagni) del greggio. L´Eni ha 10,4% in Nigeria Lng, una società
che produce circa 8,7 milioni di tonnellate all´anno di gas naturale liquefatto
che saliranno a 22 tonnellate, facendo della Nigeria uno dei maggiori
produttori al mondo.
I 130 milioni di abitanti dello Stato nigeriano – più di metà vivono con
meno di un dollaro al giorno – non hanno vantaggi da questo dono della natura,
ma pagano gli stravolgimenti ambientali e sociali. A questo si aggiunge il
delicato equilibrio della regione divisa in nove Stati e ben quaranta gruppi
etnici. Troppo piccoli per difendersi dalle decisioni del governo centrale
o dagli eserciti privati delle oil company. L´idea dei petrolieri è che le
dittature militari forti sono il mezzo migliore per garantire la sicurezza
delle esportazioni. E così il rapimento dei "preziosi"
occidentali è diventato uno strumento molto duttile: permette di sostenere le
tribù con i riscatti, di negoziare con le compagnie la difesa del proprio
territorio e infine, anche se sempre meno, è una forma di lotta etnica e
politica.
È rimasto famoso lo scontro tra la Shell e il popolo degli Ogoni che nel
1995 portò alla condanna a morte di nove suoi intellettuali dissidenti tra cui
lo scrittore Ken Saro-Wiwa, perché attirò sulla compagnia anglo-olandese le
critiche di tutte le associazioni umanitarie. La Shell fece delle concessioni
alla tribù e all´ambiente, ma i problemi rimangono. La reazione del governo
centrale è sempre molto violenta come quella che contrappone ora gli Ijaws.
Lotta politica o delinquenza comune dettata dalla disperazione, la piaga dei
rapimenti è anche il fallimento della strategia internazionale di sfruttamento
della zona.