Germania, Israele, armamenti
German Foreign Policy 06-08-17
Metamorfosi
Tesi GFP:
* La Germania utilizza ideologie filo-semite e
responsabilità storiche («a causa e nonostante Auschwitz») per far accettare
dall’opinione pubblica il proprio intervento militare nell’area,
“irrinunciabile”.
* Accordi per cooperazione militare e vendita di armamenti
tedesco-israeliani, risalenti agli anni 1950 e rispondenti al bisogno di alleggerimento
degli USA – e tuttora in corso, vanno di pari passo con la fornitura di
armamenti ai paesi arabi.
Pretesto: “il diritto all’esistenza di Israele” à
invio di unità di marina e di polizia per far rispettare le misure di embargo
israeliane dinanzi alle coste del Libano.
Per Israele la missione militare tedesca non rappresenta un
problema, perché ha la garanzia di relazioni militari e fornimento di armi in
cosro da anni.
Per l’economia tedesca l’alleanza bellica va ad integrare i
buoni affari con i paesi arabi e aggiunge un ulteriore risultato utile: grazie
alle condizioni speciali riconosciute a Israele e alle motivazioni politiche
avanzate (”Difesa degli ebrei”), Berlino si tutela dalle richieste di restituzione
ammontanti a diverse centinaia di miliardi.
Il governo tedesco ha allestito per parecchi giorni una
rappresentazione pubblica del dibattito sulla nuova missione militare per il
Libano, che appare ora ampiamente accettata.
Da decenni l’industria militare tedesca riceve commesse da
Israele, grazie alla cooperazione militare tedesco-israeliana.
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Secondo dati
ufficiali l’export di armi tedesco 1992-1999 ammontò a oltre 2MD di DM; nel
2000-2004 sarebbero state esportate armi in Israele per €500MD. L’ammontare reale sarebbe molto superiore, dato che non vengono
calcolati le prestazioni nel campo delle comunicazioni e la cooperazione
indiretta.
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Parallelamente l’industria
degli armamenti tedesca fornisce il campo arabo, finora per un ammontare molto inferiore
a quello per Tel Aviv: 2000-2004, €200mn ognuno agli Emirati e all’Arabia
Saudita, e €100mn all’Egitto.
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La
cooperazione tedesco-israeliana risale a contatti segreti del 1957, data a cui
risale l’apertura da parte dell’industria tedesca degli armamenti di un campo
di esportazione, volta ufficialmente a proteggere il nuovo Stato.
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I colloqui
segreti tra il ministro della Difesa tedesco del tempo, Franz-Josef Strass e il
suo collega israeliano Simmon Peres, aveva però come sfondo la pressione USA,
che dopo la crisi di Suez avevano forgiato un fronte contro il movimento di
indipendenza arabo e volevano essere alleggeriti sia tecnologicamente che
finanziariamente dalla RFT, con la fornitura di armamenti ad Israele.
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Nel giugno
1962 venne firmato un corrispondente trattato segreto sulle forniture di armi
tedesche e su aiuti all’addestramento militare per le forze israeliane.
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Per la
Germania i contatti a favore della politica america verso Israele venivano
tenuti soprattutto dai socialdemocratici, che per l’opinione israeliana
risultavano più digeribili e potevano utilizzare organizzazioni parallele, in
grado di cooperare disinvoltamente con l’allora forte movimento sindacale di
Tel Aviv e Haifa.
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Nel 1967
venne creata una “Società tedesca per la promozione delle relazioni economiche
con Israele” (Deutsche Gesellschaft zur Förderung der Wirtschaftsbeziehungen
mit Israel), padrino il presidente della Bank für Gemeinwirtschaft (Banca per
l’economia collettiva) di Francoforte (BfG), una impresa del sindacato tedesco
unitario DGB, che doveva integrare con il lato civile gli affari militari in
espansione. Nel 1975 DGB e l’associazione sindacale israeliana Histadrut
concordarono una “Trattato di partnership”, che servì a neutralizzare la
critica di sinistra contro la politica tedesca per il MO.
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Dagli anni
1970 il rafforzamento della politica mediorientale tedesca ha consentito la
realizzazione di interessi contrapposti.
La SPD e le
organizzazioni ad essa collegate servono
all’alleggerimento della iniziale strategia americana, e si
presentandorono come decisi sostenitori di Israele.
Gli ambienti
economici tedeschi, con una storia di collegamenti ai nazisti e forti interessi
all’export nel mondo arabo vengono rappresentanti soprattutto dalla FDP e da
una gran parte di CDU-CSU.
La statistica riflette questa
mutua integrazione: a fine anni 1990 il volume di scambi commerciali
tedesco-israeliano era, con $4,3MD, di poco inferiore a quello con Arabia
Saudita, EAU e Iran ($6.8MD in complesso).
Attualmente sono in atto
oscillazioni dovute per gran parte alla crescente liquidità dei paesi arabi
Gli scambi
tedesco-israeliani del 2005 (€3,7MD) sono stati solo il 15% di quelli con I
paesi del MO (€24,7MD); il ministro dell’economia ha cercato di porre riparo a
questo squilibrio con la creazione (7.6.06) di un Consiglio economico
tedesco-israeliano).
FDP e gran parte di CDU-CSU
mettono in guardia dalle ricadute sul mercato arabo di una missione militare
tedesca a favore di Israele.
Viceversa, per evitare una
rottura con gli interessi dell’industria tedesca, SPD e organizzazioni
collegate cercano di coinvolgere anche paesi arabi nella politica verso Israele
improntata su quella americana.
Il ministro Esteri tedesco
SPD Steinmeier ha però ottenuto un rifiuto dalla Siria.
Frank Stern, in uno studio
dell’Istituto per la storia tedesca all’Università di Tel Aviv: «Il dopo guerra
tedesco è stato la data di nascita dell’
habitus filo-semita». Le elite della Germania occidentale del dopoguerra sono
riuscite a riscattarsi sia moralmente che finanziariamente con questa svolta.
Quello stessi che avevano dovuto rispondere per la guerra di distruzione anti-slava
ed anti-ebrea, ora si presentarono come i protettori dello Stato ebraico. Il
banchiere nazional socialista Hermann j. Abs sottoscrisse nel 1953 a Londra un
accordo sui debiti che portò i paesi occupati e la popolazione ebrea riparazioni
per miliardi. Anche Israele accettò 3,4Md di DM come “riparazioni”.
Da allora il filo-semitismo
funse da copertura politica della politica tedesca mediorientale.
German
Foreign Policy 06-08-17
Metamorphosen
17.08.2006
BERLIN/TEL
AVIV/BEIRUT/DAMASKUS
–
(Eigener Bericht) – Unter friedenspolitischen Vorwänden
("Existenzrecht Israels") betreibt Berlin die Entsendung deutscher
Marine- und Polizeieinheiten in den Nahen Osten. Das in Vorbereitung befindliche
Expeditionskorps soll die
israelischen Embargomaßnahmen vor der libanesischen Küste fortführen und die
bombardierten Straßenverbindungen nach Syrien besetzen.
–
Der vom israelischen Kriegskabinett ausdrücklich
befürwortete Bundeswehr-Einsatz gilt in Tel Aviv als unproblematisch, da durch langjährige Rüstungs- und Militärbeziehungen
mit der Bundesrepublik abgesichert.
–
Die bellizistische Allianz ergänzt glänzende
Geschäfte der deutschen Wehrwirtschaft mit den arabischen Staaten und zeitigt zusätzlichen
Gewinn: Durch die Israel gewährten
Sonderkonditionen und politischen Überhöhungen ("Juden schützen")
bewahrt sich Berlin vor Restitutionsforderungen in hundertfacher Milliardenhöhe.
Nach einer mehrtägigen Inszenierung, bei der es
um die öffentliche Hinnahme neuer Auslandseinsätze der Bundeswehr ging, ist die
Entsendung deutscher Militäreinheiten in den Libanon inzwischen weitgehend akzeptiert.
Truppenangebote wird der deutsche Verteidigungsminister heute in New York
unterbreiten.
Reserven
Wie in ähnlichen
Fällen zuvor hatte die Bundesregierung entsprechende Signale in das Zielgebiet
der Intervention entsandt und war mit der verabredeten Zustimmung bedacht
worden. Den floskelhaften Austausch eröffnete der Berliner Innenminister am
vergangenen Wochenende und teilte mit, Deutschland werde sich seiner
"Verantwortung" nicht entziehen [1]; daraufhin antwortete das
israelische Außenministerium unverzüglich, deutsche Soldaten seien willkommen
[2]. Um die erweiterte Militärkooperation durchzusetzen, berief sich Berlin zum wiederholten
Mal auf die Toten der Shoah. Wegen Auschwitz, wahlweise auch trotz Auschwitz,
sei der Bundeswehr-Einsatz unvermeidlich. Wie der Generalinspekteur der
Bundeswehr daraufhin feststellte, verfüge die deutsche Marine noch über "Reserven".[3]
Kriegswirksam
–
Die deutsch-israelische Militärkooperation beschert der deutschen
Rüstungsindustrie seit Jahrzehnten eine kontinuierliche Auftragslage. Nach offiziellen Angaben
beliefen sich die deutschen Waffenexporte zwischen 1992 und 1999 auf mehr als
zwei Milliarden DM. Von
2000 bis 2004 seien Rüstungsgegenstände im Wert von 500 Millionen Euro nach Israel ausgeführt worden, heißt es in Berlin. Der tatsächliche Umfang deutscher Militärhilfe dürfte weitaus höher liegen, da die Angaben kriegswirksame
Leistungen im Bereich des Nachrichtenwesens sowie mittelbare Zuarbeiten nicht
erfassen.
–
Parallel munitioniert die deutsche Rüstungsindustrie
die arabischen Widersacher Israels mit Exporten, die bislang meist deutlich
unter den tatsächlichen Werten für Tel Aviv liegen. So betrugen die Ausfuhren
nach Saudi Arabien und in die
Vereinigten Arabischen Emirate in den Jahren 2000 bis 2004 jeweils 200
Millionen Euro, nach Ägypten 100 Millionen.
Entlastung
–
Die deutsch-israelische Militärkooperation geht auf geheime
Kontakte im Jahr 1957 zurück. Spätestens zu diesem Zeitpunkt öffnete sich den Rüstungsunternehmen
der Bundesrepublik ein Exportfeld, das nach offizieller Lesart den Schutz des
kurz zuvor neu gegründeten Staates bezweckt.
–
Die geheimen Absprachen zwischen
Franz-Josef Strauß, dem damaligen westdeutschen Verteidigungsminister, und seinem
israelischen Amtskollegen Shimon Peres hatten jedoch einen völlig anderen
Hintergrund:
Sie folgten dem Druck der USA, die nach der
Suez-Krise eine Nahostfront gegen die arabische Unabhängigkeitsbewegung
schmiedeten und dabei von der Bundesrepublik technologisch wie finanziell
entlastet werden wollten –
durch Rüstungsgüter für Tel Aviv.
Ein entsprechender Geheimvertrag über
deutsche Waffenlieferungen und militärische Ausbildungshilfe für die
israelischen Streitkräfte wurde im Juni 1962 abgeschlossen.
Neutralisiert
–
Für Kontakte zugunsten der amerikanischen Israel-Politik
hielten sich in der Bundesrepublik vor allem sozialdemokratische Kreise zur
Verfügung. In der israelischen
Öffentlichkeit galten sie als weniger belastet und verfügten über Parallelorganisationen,
die mit den damals bedeutenden Gewerkschaftsbewegungen in Tel Aviv oder Haifa unbefangener (disinvoltamente)
kooperieren konnten.
–
Unter dem Vorsitzenden der Frankfurter Bank für
Gemeinwirtschaft (BfG), eines Unternehmens der deutschen Einheitsgewerkschaft
DGB, trat im April 1967 eine "Deutsche Gesellschaft zur Förderung der
Wirtschaftsbeziehungen mit Israel" an die Öffentlichkeit.
–
Die
Organisation sorgte für die
zivile Ergänzung der sich ausweitenden Militärgeschäfte. 1975 vereinbarten der DGB
und der israelische Gewerkschaftsbund Histadrut einen "Partnerschaftsvertrag",
der linke Kritik gegen die deutsche Nahost-Politik neutralisieren hilft.
Ergänzung
Seit den 1970er Jahren erlaubt der komplementäre Aufbau
der deutschen Nahost-Politik die Wahrung gegenläufiger Interessen.
–
Dabei bedienen die SPD und die ihr verwandten Organisationen
den Entlastungsbedarf der ursächlichen US-Strategie und gelten als
entschiedene Fürsprecher Israels; deutsche Wirtschaftskreise mit nationalsozialistischer Unternehmensgeschichte
und erheblichen Exportinteressen in der arabischen Welt werden vornehmlich von
der FDP sowie von großen Teilen der CDU/CSU betreut.
–
Diese
wechselseitige Ergänzung spiegelt die Statistik. So lag das deutsch-israelische
Handelsvolumen Ende der 1990er Jahre mit 4,3 Milliarden US-Dollar geringfügig
unter dem deutschen Warenaustausch mit Saudi-Arabien, den Vereinigten
Arabischen Emiraten und dem Iran
(insgesamt 6,8 Milliarden US-Dollar).
Besorgnis
Neuerdings kommt es zu erheblichen Schwankungen, deren
Ursache die zunehmende Liquidität der arabischen Energielieferanten aufgrund
hoher Rohstoffpreise ist. So machte das deutsch-israelische
Handelsvolumen im vergangenen Jahr (3,7 Milliarden Euro) nur noch 15 Prozent
des Handels mit den Staaten des Nahen und Mittleren Ostens aus (24,7 Milliarden
Euro). Diese Unausgewogenheit
ruft in der deutschen Außenpolitik Besorgnis hervor. Am 7. Juni nahm der deutsche
Wirtschaftsminister an der Gründungssitzung eines Deutsch-Israelischen
Wirtschaftsrates teil, der Schwung in die zurückfallenden
Handelsbeziehungen bringen soll.
Mittler
–
Gesteigerte Besorgnis prägt die deutsche Außenpolitik
angesichts ihrer militärpolitischen Versuchung, im Nahen Osten als bewaffnete
Ordnungsmacht aufzutreten. Wie zu erwarten, warnen FDP und große Teile der CDU/CSU vor
den Folgen eines Bundeswehreinsatzes zugunsten Israels:
Der arabische Markt könnte leiden.
–
Umgekehrt
bemühen sich SPD und verwandte Organisationen, in ihre US-basierte
Israel-Politik auch arabische Staaten einzubinden, um einen Bruch mit den deutschen
Industrieinteressen zu vermeiden. Jüngster
Versuch war die Reise des
deutschen Außenministers Frank-Walter Steinmeier in den Nahen Osten. Bei seinen
Komplementär-Aktivitäten, die der deutschen Öffentlichkeit als friedensstiftende
Mittlertätigkeit dargestellt werden, holte sich Steinmeier (SPD) in Syrien
jetzt eine Abfuhr.[4]
Philosemiten
Widersprüche und Übereinstimmungen der außenpolitischen
Interessen im Nahen Osten
werden der deutschen Öffentlichkeit überhöht präsentiert und in eine ursächliche Beziehung zu den
nationalsozialistischen Massenverbrechen gebracht. Demnach müsse Deutschland
(trotz oder wegen Auschwitz) "Israel schützen" und sei "den
Juden" verpflichtet.[5] Solche Darstellungen dominieren die
deutsche Nahost-Politik seit ihrem letztmaligen Scheitern im Jahr 1945 und der
anschließend erzwungenen Umkehr antisemitischer Stereotype. "Der deutsche Nachkrieg war die
Geburtszeit des philosemitischen Habitus", schreibt Frank Stern in einer
Studie des Instituts für Deutsche Geschichte an der Universität Tel Aviv.[6]
Ummantelung
Mit der angeblich
tief empfundenen Zuwendung, die Israel gelte, gelang es den westdeutschen Nachkriegseliten, sich sowohl
moralisch wie finanziell freizukaufen.
–
Dieselben, die den
antijüdischen und antislawischen Vernichtungskrieg zu verantworten hatten, traten nun als Gönner des "Judenstaates"
auf. In London
unterzeichnete der NS-Bankier Hermann J. Abs 1953 ein Schuldenabkommen, das die
okkupierten Staaten und deren jüdische Bevölkerung um gerechtfertigte
Milliardenforderungen brachte. Auch die israelische Seite akzeptierte die
Brosamen der Mörder: 3,45 Milliarden DM als "Wiedergutmachung".
Fortan funktionierte der Philosemitismus
als politische Ummantelung der deutschen Nahost-Politik. Wegen der materiellen
Zugeständnisse an Israel hatte die Bundesrepublik grundsätzliche Störungen aus
Tel Aviv nicht mehr zu befürchten. In
einer "philosemitischen Metamorphose" (Frank Stern) hatten sich die
kaltblütigen Planer des antijüdischen Massenmordes in Förderer des angeblich
heiß geliebten Israel
verwandelt.
Abenteuer
Mit dem instrumentalisierten Philosemitismus, durch den
die spiegelverkehrten Strukturen des rassistischen Judenhasses scheinen, zieht
die deutsche Nahostpolitik in ihr nächstes Abenteuer – weil Berlin möchte, "dass Deutschland zu
den großen Akteuren der Weltpolitik gehört" [7], nicht jedoch, um
"Israel zu schützen".
[1], [2] Schäuble
und Jung offen für Nahost-Einsatz; N24.de 14.08.2006
[3] Bundeswehr hat
Reserven für Nahost-Truppe; Financial Times Deutschland 15.08.2006
[4] s. dazu
Bürgerkrieg
[5] Beispielhaft:
Israel muss geschützt werden; Berliner Zeitung 16.08.2006
[6] Frank Stern: Im
Anfang war Auschwitz. Antisemitismus und Philosemitismus im deutschen
Nachkrieg, Gerlingen 1991
[7] Israel muss geschützt
werden; Berliner Zeitung 16.08.2006