Rabbia e sconcerto, questi i sentimenti che noi, operai forestali siciliani, proviamo davanti alle ennesime tragedie che colpiscono ancora la nostra infinitamente martoriata categoria di lavoratori, davanti agli incidenti mortali doppiamente sofferti per la diffamazione pianificata e subita a livello nazionale, davanti al grossolano tentativo di soppressione del comparto e alle continue sospensioni e riavviamenti al lavoro. Esposti come siamo agli squilibri politici del governo regionale, ci vediamo travolti dalle conseguenze imprevedibili di una pessima amministrazione regionale, dagli irresponsabili ritardi di oltre due mesi nell’avviamento delle attività annuali di prevenzione e difesa antincendio, sprovvisti di adeguati mezzi e risorse, impegnati per un numero di giornate lavorative fortemente ridotto, prossimi al licenziamento definitivo mentre imperversano centinaia di incendi in tutta la regione.
Quali “lavoratori della montagna” perennemente precari, viviamo le condizioni tradizionali del bracciantato agricolo e subiamo ancora quello che è sempre stato il dispregio delle popolazioni contadine in questa Italia, come in questa Sicilia.
Una Sicilia a vocazione agricola e naturalistica, storicamente soffocata e sfruttata, che, pur essendo uscita dal feudalesimo formalmente nel 1812, ha dovuto attendere le lotte per l’occupazione delle terre degli anni ’40 del secolo scorso, quando, dopo repressione, uccisione dei sindacalisti più battaglieri e la strage di Portella della Ginestra nel 1947, ha visto spezzare le catene del latifondismo solo conquistando la Riforma agraria del 1950 e l’espropriazione delle grandi proprietà.
In quel contesto e in quegli anni è sorta l’Azienda foreste demaniali della Regione con lo scopo di intervenire, parallelamente al Corpo forestale, su un territorio estremamente disboscato nel corso dei precedenti due secoli. Superfici degradate da uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali ad opera di proprietari, imprenditori e gabellieri succeduti ai vecchi baroni e votati alla violenza del profitto. Ma orientata pure a fornire delle risposte tampone all’estremo impoverimento dei lavoratori agricoli, conseguenza del devastante secondo conflitto mondiale. Una soluzione a cui però non si è mai voluto veramente dare continuità, efficienza e stabilità, poiché l’emancipazione dei lavoratori agricoli avrebbe permesso una trasformazione e rottura del sistema di sfruttamento e, di conseguenza, una decrescente controllabilità politica.
In seguito al fenomeno dell’emigrazione di massa verso un Nord industriale, nel corso degli anni ’70 si è generalizzato definitivamente quel processo che, soggetto a scelte politico-economiche internazionali, ha portato alla sfascio, pressoché totale, di una delle più fiorenti economie agricole italiane, quella siciliana. E negli anni ’80, furbescamente, la politica regionale ha individuato nel settore forestale, che aveva visto nel precedente decennio un rallentamento delle attività, un’ottima via di fuga per controllare la crescente disoccupazione giovanile, conseguenza preordinata dei piani economici nazionali.
Sono state prospettate così, con facilità, opportunità di lavoro che tuttavia si concentravano sempre in pochissime giornate annue. Molti hanno tentato questa via, abbandonata in seguito da una parte dei lavoratori e ridimensionata, nel 1993, con il blocco delle nuove assunzioni.
Le successive leggi regionali hanno poi codificato definitivamente la “precarietà stabile”, allontanando così il più possibile la professionalità e la specializzazione efficiente e produttiva del settore.
Oggi, nel 2012, decreti nazionali sanciscono la rinascita del latifondo con la vendita e la privatizzazione del demanio nazionale e, come possibile conseguenza, di quello forestale. Ghiotte prospettive di sfruttamento selvaggio delle risorse forestali meridionali, frutto di attività sessantennali, attirano adesso investitori internazionali provenienti sopratutto da ricchi paesi europei, pronti a trasformare boschi e superfici in industrie energetiche a basso costo e alto reddito. Allo stesso modo si aprono le porte, con sgravi e incentivi, a imprese private che si occuperanno di “manutenzione“ del territorio, con propri operai.
In tutto questo i forestali, che non demordono e si riorganizzano, sono diventati un intralcio per la macchina economica e un peso ormai inutile per quella politica. Dunque si brucino i boschi e i terreni agricoli abbandonati e privi della cura secolare dei nostri vecchi contadini, nel cinico coinvolgimento di altre vite umane. E si piangano le vittime, i nostri numerosi morti che di tanto in tanto vengono ricordati, sussurrando, dagli stessi forestali, nelle squadre di lavoro, passando dai luoghi delle tragedie.
Messina, 9 agosto 2012