Se tutta l’America Latina resta in uno stato
di fermento sociale permanente (ricordiamo solo nelle ultime settimane i
violenti scontri nelle miniere di zinco in
Cile e in Bolivia), la situazione politica messicana è attualmente
quella più instabile ed esplosiva. Dopo il lungo sciopero degli operai
metallurgici la scorsa primavera durato ben 141 giorni, lo scorso maggio sono
entrati in sciopero a oltranza gli oltre 70.000 insegnanti dello Stato di Oaxaca,
che rivendicavano migliori salari e condizioni di lavoro, bloccando l’attività
scolastica di 1,3 milioni di studenti.
Lo scontro sociale nel paese si è acuito
negli ultimi mesi al punto di produrre delle scissioni violente e dei riflessi
anche all’interno delle forze politiche borghesi.Le elezioni generali dello
scorso luglio ufficialmente vinte dal conservatore Felipe Calderón del PAN
(Partido Acción Naciónal) sono state contestate dal candidato populista López
Obrador del PRD (Partido Revoluccionario Democratico), il quale ha accusato il
suo concorrente di brogli, e ha portato in piazza per molti giorni consecutivi
centinaia di migliaia di suoi sostenitori.
Tuttavia l’epicentro della lotta sociale del
paese centroamericano resta lo Stato di Oaxaca dove da maggio ad oggi la lotta
degli insegnanti, lungi dal rifluire si è allargata a macchia d’olio con la
formazione di un’Assemblea Popolare di Oaxaca, che ha visto confluire al suo
interno organizzazioni sociali degli indigeni e sindacali, oltre che molti
studenti e attivisti dei partiti di sinistra, e ha occupato in modo
semi-permanente il centro città e vari uffici pubblici.
I ripetuti scontri con la polizia e le
milizie para-militari foraggiate dai governi municipali hanno portato al caos
più completo e la capitale dello Stato, meta da decenni del turismo
internazionale per i suoi resti archeologici e le sue bellezze architettoniche,
è stata eliminata dagli itinerari dei tour-operator. Negli scontri che si sono
ripetuti quasi quotidianamente a partire dall’estate sono morti una dozzina di
manifestanti e centinaia sono rimasti feriti. Una situazione di stallo – una
sorta di dualismo di potere – che non poteva durare in modo indefinito anche
perché le deboli formazioni di estrema sinistra non sono riuscite ad imporre al
sindacato, controllato storicamente dai populisti, lo sciopero generale in
solidarietà con l’Assemblea Popolare di Oaxaca.
Così a partire dalla mattina del 27 ottobre
si è assistito a un assalto coordinato di gruppi para-militari e della polizia,
che hanno cercato di mettere fine alla rivolta dando l’assalto agli edifici
pubblici controllati dai Comitati Popolari. Negli scontri sono stati uccisi due
lavoratori e un giornalista statunitense di Indymedia che stava documentando
con la sua cinepresa gli avvenimenti. In tutto il centro sono risuonati colpi
d’arma da fuoco e il comitato Popolare ha eretto delle barricate un po’
dappertutto.
Nel momento in cui scriviamo la situazione
resta confusa. Sembra che la polizia sia riuscita a penetrare in alcune zone
del centro e abbia iniziato a smantellare le barricate anche se giungono
notizie che la resistenza non sia stata del tutto spezzata.
Dunque malgrado i masss-media internazionali
cerchino di occultare e di ridimensionare ogni clangore di lotte di classi, non
passa giorno in ogni angolo del globo,
in cui non si assista a forme
più o meno estese e significative di resistenza all’oppressione capitalista.
Qualunque sia l’esito della lotta che si protrae a Oaxaca da ormai sei mesi è
compito prioritario degli internazionalisti non solo di far conoscere e
sviluppare attivamente la solidarietà con queste lotte, ma trarne delle lezioni
per le lotte di domani.
La commovente abnegazione nella lotta e i sacrifici più duri degli
insegnanti di Oaxaca, la loro capacità di estendere il movimento ad altri
settori popolari poteva condurre a piegare i governatari e il governo centrale,
visto il livello di radicalizzazione che lo scontro ha assunto, solo
trasformando lo sciopero di Oaxaca in sciopero generale in tutto il Messico,
solo trasformando questa lotta sindacale in lotta politica. Se ciò non è
avvenuto non è solo il prodotto di un livello di coscienza dei lavoratori
messicani non all’altezza dello scontro in atto, ma anche delle direzioni
sindacali legate al populismo che cercano in ogni modo di evitare una
radicalizzazione delle lotte. Ecco perché in Messico, e non solo, c’è bisogno
di una nuova direzione per il movimento operaio, di una direzione che sappia
far avanzare la coscienza e l’organizzazione di massa, qualunque possa essere
l’esito di lotte spesso difficili e drammatiche come quelle di Oaxaca.